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Banche, investitori esteri a caccia in Italia

Sarà un incontro riservato e a porte chiuse. Ma sarà soprattutto il primo vero appuntamento del 2015 in cui i vertici delle banche italiane si troveranno faccia a faccia con i loro “finanziatori”, ovvero molti dei maggiori fondi di investimento al mondo. Tema dell’incontro – organizzato oggi e domani a Milano dalla banca d’affari elvetica Ubs – sono ovviamente le prospettive del settore. Soprattutto in una fase concitata come questa, in cui si tratta di capire quali possono essere i riflessi (eventuali) delle nuove indicazioni patrimoniali contenute in una lettera riservata inviata nelle scorse settimane da Francoforte. 


All’appuntamento partecipano i top manager delle principali istituzioni finanziarie italiane (tra cui Intesa, UniCredit, Banco Popolare, Ubi, Bpm, Mediobanca, Credem, Mediolanum, Unipol, Assicurazioni Generali, Azimut, Anima, Banca Generali e FinecoBank), cui si aggiungono i vertici dell’Abi, e dei top player di Russia, Turchia, Grecia, Georgia e Israele. Da Innocenzo Cipolletta a Federico Ghizzoni e Victor Massiah, da Alberto Nagel a Ennio e Massimo Doris, i maggiori banchieri italiani incontreranno riservatamente i rappresentanti di circa 150 tra i principali fondi di investimento globali, tra cui una ventina provenienti dagli Stati Uniti.
Molte le domande cui i manager italiani dovranno rispondere, specialmente ora che le dimissioni di Giorgio Napolitano, benché ampiamente attese, possono aprire varchi di incertezza. «L’interesse per l’Italia rimane elevato – spiega Matteo Ramenghi, capo della ricerca sull’Italia e strategist sulle banche Emea per Ubs e coordinatore della conferenza – Tuttavia gli investitori sono in attesa di vedere gli esiti economici delle riforme avviate fino ad ora e si chiedono se l’Italia sia davvero in grado di portare avanti un cambiamento serio senza tornare alle elezioni, uno scenario che potrebbe generare nuovamente volatilità sul comparto». 


Questi due giorni di incontri saranno anche l’occasione per molti investitori per capire il sentiment dei banchieri rispetto a un consolidamento nel settore delle popolari che molti osservatori danno oramai pronto a partire. Qualora scattasse l’atteso risiko, il segmento potrebbe aumentare sensibilmente la propria redditività, portandola fino al 9% dall’attuale 3% medio, secondo una ricerca targata Ubs. Il settore bancario italiano è il secondo più frammentato d’Europa dopo la Germania, e sulla carta il rischio limitato di possibili sovrapposizioni in caso di fusioni dovrebbe facilitare un processo di aggregazione. 


Nel lungo periodo, sottolinea la banca d’affari, non è da escludere l’ingresso di soggetti stranieri. Ma per il momento il tema di maggiore attualità è l’aggregazione tra i singoli soggetti, in fusioni che potrebbero essere incentivate dalle riforme del settore attualmente in elaborazione. «Tassi bassi e una crescita lenta minano la profittabilità delle popolari. Oggi il ritorno medio sul capitale netto tangibile (Rote, ndr) si aggira tra il 2 e il 4% – spiega Ramenghi – In caso di un consolidamento che, una volta avviato, interessasse l’intero comparto, potremmo assistere a sinergie nell’ordine del 10% dei costi che potrebbero portare il Rote anche al 9%, pur in uno scenario di tassi bassi».


Difficile che nei colloqui tra banchieri e investitori non si affronti il tema delle quotazioni dei titoli, che continuano a rimanere a sconto rispetto alla maggior parte dei competitor europei. Così come è improbabile che l’attenzione non cada anche sull’evoluzione della performance reddituale delle banche, che negli ultimi trimestri ha dimostrato una buona tenuta al netto degli accantonamenti «grazie all’incremento dei margini di interesse: merito dell’abbassamento del costo del funding, della riduzione dei costi e dell’ottima performance dall’asset management», spiega l’analista.
Ma per migliorare ulteriormente i profitti non si può prescindere da una ripresa dei volumi. E in questo contesto l’atteso allentamento quantitativo della Bce può essere il driver di un cambiamento di scenario per le banche italiane, che per Ubs potrebbero diventare le maggiori beneficiarie delle mosse espansive. «Gli istituti italiani sono ricchi di Btp, quindi registrerebbero plusvalenze sui portafogli finanziari. Inoltre un prevedibile indebolimento dell’euro darebbe fiato alle aziende esportatrici, e l’Italia, insieme alla Germania, è il paese del Vecchio Continente che più avrebbe da guadagnare da una svalutazione – conclude Ramenghi -. Ecco perchè le banche italiane sono quelle che potrebbero trarre maggiore vantaggio dall’avvio del Qe».


Fonte:

Il Sole 24 Ore

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