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Nagel e Gros-Pietro dicono no alla bad bank di Stato

Secco no dei vertici di Intesa Sanpaolo e Mediobanca alla costituzione di una bad bank pubblica (o a prevalenza pubblica) che si faccia carico dei crediti deteriorati del sistema contribuendo così ad alleggerire i bilanci degli istituti italiani e a favorire la ripresa dell’attività creditizia.

Nel corso dell’audizione di ieri in Senato, nell’ambito dell’indagine conoscitiva avviata dalla commissione Finanze e Tesoro di Palazzo Madama su «sistema bancario italiano nella prospettiva della vigilanza europea», sia il presidente del consiglio di gestione di Intesa,  Gian Maria Gros-Pietro, sia l’ad di Mediobanca,  Alberto Nagel, hanno espresso la propria contrarietà all’ipotesi di una bad bank finanziata dal settore pubblico sul modello di quella spagnola.

Una bad bank «a matrice squisitamente pubblica», oggi in Italia «è abbastanza difficile nei fatti e poco praticabile», ha sottolineato Nagel, secondo cui una soluzione di questo tipo arriverebber fuori tempo massimo. «Due anni fa», ha aggiunto il numero uno di Piazzetta Cuccia, «era il tempo migliore per lanciarla, quando lo ha fatto la Spagna, ma l’Italia ha perso il treno e oggi con i meccanismi nuovi di regolamentazione del bail in è abbastanza irrealistico pensare che si possa fare».

Diverso, secondo Nagel, è pensare ad «aiuti del legislatore» ad esempio «dimezzando» i tempi di esecuzione delle ipoteche immobiliari. Per Nagel si può pensare a «una struttura che sia in grado di ridurre il gap tra chi vende il credito e chi compra. La differenza potrebbe essere assorbita da soggetti che hanno questa missione, come il Tesoro o la Cdp attraverso tranche junior o mezzanine» che farebbero da «ammortizzatore di questa differenza» ma «con proporzioni che non configurino aiuti di Stato».

Sarebbe necessaria, comunque «una partecipazione di diversi soggetti privati e pubblici». Un’altra via potrebbe appunto essere quella di «aiuti da parte del legislatore, per diminuire alcune anomalie, come i tempi di riscossione di crediti ed esecuzioni di ipoteche immobiliari, che al momento sono più o meno al doppio rispetto agli altri paesi». Tutto questo, ha osservato l’ad di Mediobanca «ha un valore finanziario, perché un operatore che compra crediti e deve a sua volta esperire quelle esecuzioni attribuisce valore a quegli anni». «Dimezzare» questi tempi, così come andare verso «una regolamentazione più simile a quella europea» in materia di «deduzione delle perdite fiscali connesse alle cessioni delle partite problematiche», sarebbero «due elementi che insieme alla garanzia di enti statali come Tesoro o Cdp potrebbero aiutare» a mettere in campo una iniziativa «più privata che pubblica».

Sulla stessa lunghezza d’onda anche Gros-Pietro, secondo cui anche se Intesa non ne ha bisogno «questo non vuol dire che una bad bank non possa essere utile per altri operatori», soprattutto «per quelli che non possono fare da soli». Secondo il presidente del consiglio di gestione della Ca’ de Sass, un intervento di questo tipo deve però essere fatto «con strumenti di mercato e senza aiuti di Stato». E’ evidente, tuttavia, che qualche forma di facilitazione pubblica è comunque necessaria. «Se le imprese falliscono»,ha spiegato Gros-Pietro, «è un danno per il sistema, perché si lacera il tessuto produttivo, si vanificano le competenze e restano i debiti non pagati». Il danno insomma è pubblico e per questo sarebbe giustificato «un intervento anche parzialmente pubblico». Le formule «sono le più diverse e già la Bei si è offerta per sottoscrivere una parte dei rischi. Non dico che sia l’unica strada ma è una strada buona, interessante».


Autore: Andrea Di Biase
Fonte:

Milano Finanza

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