C’è un filo rosso che lega Italia, Grecia, Spagna, Portogallo e Ungheria Sono tutti “sorvegliati speciali” sul fronte dei crediti bancari deteriorati. Un carico pesante che rischia di imbrigliare il sistema finanziario anche nei prossimi anni, rallentando i germogli di ripresa. Al polo opposto si trovano i Paesi scandinavi, con in testa la Svezia, dove i crediti deteriorati rappresentano solo lo 0,4% del totale, seguita da Norvegia (0,7%) e Finlandia (1,6%). Lo rivela la fotografia scattata dal rapporto “European retail and Sme credit – Recovery time?” realizzato dalle società di consulenza Oliver Wyman e Intrum Justifia, che monitora lo stato del credito al dettaglio e alle Pmi europee. Non a caso il nodo delle sofferenze è stato uno dei rilievi mossi dalla Commissione Ue all’Italia nella pagella della settimana scorsa, proprio mentre nel settore del credito si discute dell’ipotesi di una bad bank. In Italia i crediti deteriorati viaggiano su livelli elevati, pari al 18% del totale dei crediti, con un livello di sofferenze quadruplicato negli ultimi sei anni oltre i 180 miliardi. «Una situazione – spiegano Edoardo Ginevra, partner di Oliver Wyman, e Davide Baldini, principal della società di consulenza-che paga il prezzo della crisi economica, dell’andamento negativo del mercato immobiliare e di standard e processi di erogazione e gestione tradizionalmente più orientali alla conoscenza storica del cliente e alla presenza di garanzie reali che al profilo del business da affidare e alla sostenibilità del cash flow aziendale». Un livello così elevato, aggiunge Davide Magri, ad. di Intrum Justitialtalia,«rappresenta un costo aggiuntivo per il sistema bancario che viene naturalmente scaricato sui clienti e quindi sul sistema». Rispetto al 2008, tuttavia, secondo Magri, le istituzioni europee hanno creato le condizioni per un progressivo miglioramento e, come ha dimostrato l’asset quality review della Bce, le banche, incluse quelle italiane, sono oggi assai più solide rispetto a qualche anno fa. La storia più recente di inversione del trend, ricordano da Oliver Wyman, è quella dell’Irlanda, «che 4-5 anni fa era il Paese più problematico dell’Eurozona e oggi sta raccogliendo i frutti della creazione di una bad bank di sistema e della revisione dei processi del credito». Qua! è dunque la ricetta per cambiare passo anche nel nostro Paese? Ginevra e Baldini sono favorevoli a un gioco di squadra per smaltire lo stock: « L’Italia non può permettersi i costi sul bilancio pubblico delle iniziative di bad bank poste in atto da Irlanda e Spagna. Vanno trovate soluzioni innovative e adatte al nostro tessuto produttivo, con il contributo di tutti gli attori in gioco: banche, imprese e istituzioni». Magri invita a guardare alle esperienze di Usa e Gran Bretagna, «che da anni hanno creato un settore dedicato interamente alla gestione del credito problematico per offrire servizi in outsourcing alle banche»
Fonte:
Il Sole 24 Ore
C’è un filo rosso che lega Italia, Grecia, Spagna, Portogallo e Ungheria Sono tutti “sorvegliati speciali” sul fronte dei crediti bancari deteriorati. Un carico pesante che rischia di imbrigliare il sistema finanziario anche nei prossimi anni, rallentando i germogli di ripresa. Al polo opposto si trovano i Paesi scandinavi, con in testa la Svezia, dove i crediti deteriorati rappresentano solo lo 0,4% del totale, seguita da Norvegia (0,7%) e Finlandia (1,6%). Lo rivela la fotografia scattata dal rapporto “European retail and Sme credit – Recovery time?” realizzato dalle società di consulenza Oliver Wyman e Intrum Justifia, che monitora lo stato del credito al dettaglio e alle Pmi europee. Non a caso il nodo delle sofferenze è stato uno dei rilievi mossi dalla Commissione Ue all’Italia nella pagella della settimana scorsa, proprio mentre nel settore del credito si discute dell’ipotesi di una bad bank. In Italia i crediti deteriorati viaggiano su livelli elevati, pari al 18% del totale dei crediti, con un livello di sofferenze quadruplicato negli ultimi sei anni oltre i 180 miliardi. «Una situazione – spiegano Edoardo Ginevra, partner di Oliver Wyman, e Davide Baldini, principal della società di consulenza-che paga il prezzo della crisi economica, dell’andamento negativo del mercato immobiliare e di standard e processi di erogazione e gestione tradizionalmente più orientali alla conoscenza storica del cliente e alla presenza di garanzie reali che al profilo del business da affidare e alla sostenibilità del cash flow aziendale». Un livello così elevato, aggiunge Davide Magri, ad. di Intrum Justitialtalia,«rappresenta un costo aggiuntivo per il sistema bancario che viene naturalmente scaricato sui clienti e quindi sul sistema». Rispetto al 2008, tuttavia, secondo Magri, le istituzioni europee hanno creato le condizioni per un progressivo miglioramento e, come ha dimostrato l’asset quality review della Bce, le banche, incluse quelle italiane, sono oggi assai più solide rispetto a qualche anno fa. La storia più recente di inversione del trend, ricordano da Oliver Wyman, è quella dell’Irlanda, «che 4-5 anni fa era il Paese più problematico dell’Eurozona e oggi sta raccogliendo i frutti della creazione di una bad bank di sistema e della revisione dei processi del credito». Qua! è dunque la ricetta per cambiare passo anche nel nostro Paese? Ginevra e Baldini sono favorevoli a un gioco di squadra per smaltire lo stock: « L’Italia non può permettersi i costi sul bilancio pubblico delle iniziative di bad bank poste in atto da Irlanda e Spagna. Vanno trovate soluzioni innovative e adatte al nostro tessuto produttivo, con il contributo di tutti gli attori in gioco: banche, imprese e istituzioni». Magri invita a guardare alle esperienze di Usa e Gran Bretagna, «che da anni hanno creato un settore dedicato interamente alla gestione del credito problematico per offrire servizi in outsourcing alle banche»
Fonte:
Il Sole 24 Ore