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Imposta su fatture non pagate, la parola alla Corte di giustizia

Per il recupero dell’Iva sui crediti impagati la parola passa al giudice europeo. La Commissione tributaria regionale della Lombardia ha disposto il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia della questione riguardante la variazione in diminuzione dell’imposta, nel caso in cui la fattura emessa dal fornitore non sia, poi, pagata (in tutto o in parte) dal cliente.

La norma di riferimento (articolo 26,2 comma, Dpr 633/72) prevede la facoltà di riduzione in tre ipotesi: (i) nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili del contratto; (2) mancato pagamento a causa di procedure concorsuali o esecutive rimaste infruttuose; (3) abbuoni e sconti. Nella controversia devoluta alla Gtr Lombardia si discute dei “bad credits”, con riferimento alla seconda delle tre ipotesi contemplate dalla norma. Secondo l’interpretazione del l’Agenzia, il diritto di recupero dell’Iva spetta solo dopo aver esperito le procedure esecutive che devono, appunto, risultare infruttuose. Il che è ragionevole, se il credito è di rilevante importo, tale da giustificare, appunto, il procedimento di esecuzione. Nella realtà economica, però, si manifesta il caso di crediti di modesto importo unitario, riferiti ad un numero notevole di clienti morosi, specie nei settori dei servizi destinati al pubblico (servizi di telefonia, di energia eccetera). Per queste posizioni appare manifesta la anti – economicità di una procedura esecutiva che, se posta come condizione per l’esercizio del diritto di recupero dell’imposta, determina di fatto l’assunzione a carico del fornitore del relativo costo. L’ordinanza critica tale interpretazione con riferimento agli articoli 90 e 185 della direttiva 2006/112/Ce, ove si prescrive (articolo 90) e si ammette (articolo185), rispettivamente perla base imponibile e per l’imposta, la riduzione a posteriori quale effetto del mancato pagamento del corrispettivo addebitato.

Proprio su questo punto il giudice remittente interroga la Corte di giustizia, chiedendo se la limitazione applicativa che, di fatto, viene introdotta attraverso l’obbligo preventivo di (tentata) escussione sia compatibile con i principi di neutralità, nonché ai principi di proporzionalità ed effettività che regolano l’Iva a livello euro – unionale. Va sottolineato che il recupero dell’imposta è prevista dalla direttiva quale conseguenza del mancato pagamento, indipendentemente dal fatto che il cliente abbia o meno consumato il servizio, e senza alcuna ulteriore previsione procedurale. Per tale motivo si può sostenere che il legislatore nazionale, nella formulazione della norma, e l’agenzia delle Entrate, nella sua interpretazione, abbiano ecceduto, rispetto a quanto concesso dai principi euro – unionali sopra richiamati. E in effetti, se pure è vero che la direttiva concede agli Stati membri un certo margine discrezionale nell’applicazione di tali norme, è altrettanto vero che gli oneri imposti al contribuente non devono eccedere quanto necessario al fine di garantire l’esatta riscossione dell’imposta e di evitare evasioni: situazioni che sono estranee al caso della mancata riscossione dei crediti di modesto importo. Esattamente questi sono i concetti già espressi dalla Corte di giustizia, in riferimento all’articolo 90 della direttiva, in particolare nelle sentenze 15.5.2014, causa C-337/13, Almos (punti da33 339) 63.9.2014, causa C-589/12, Gmak Uk, riprendendo quanto in precedenza indicato nella sentenza 3.7.1997, causa C-33O/95, Goldsmiths (punti io e 18)


Autore: Paolo Centore
Fonte:

Il Sole 24 Ore

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