Scelti per voi

Bad bank, ultimo atto; trattativa a Bruxelles sugli aiuti di stato

L’ ennesimo progetto è pronto. Revisionato, ripensato e riscritto per tener conto delle obiezioni fin qui avanzate dalla Commissione Ue, e in particolare dal commissario alla concorrenza, Margreth Vestager. Di questo ha parlato con lei il ministro dell’ Economia Pier Carlo Padoan giovedì scorso a Bruxelles: « Quello della bad bank è uno dei temi che abbiamo trattato ma non c’è nessun calendario. A livello tecnico il dialogo è praticamente continuo». È presto per sapere se il nuovo piano, elaborato dal ministero dell’Economia con la consulenza del Boston Consulting Group, sia quello che riuscirà a far breccia nella Grande Muraglia eretta dalla Commissione Ue a difesa del mercato. Perché la partecipazione dello Stato italiano a una bad bank di sistema che acquisti i crediti problematici degli istituti, liberando i loro bilanci da questo gravame che frena i finanziamenti alle famiglie e alle imprese e quindi ostacola la ripresa, è stato finora considerato aiuto di Stato.

Certo, in particolari casi lo Stato-e lo ha già fatto con il Monte dei Paschi – può decidere di intervenire. Ma, se lo fa e riconosce che l’aiuto c’è, si apre una procedura che per gli istituti di credito porta dritto a un piano di ristrutturazione che verrà seguito dalla Banca Centrale Europea secondo le norme sull’Unione Bancaria. Ma le banche zavorrate dai crediti problematici non trovano conveniente questa soluzione. E comunque non è per loro una priorità, non tutte si trovano nella posizione del Monte dei Paschi. Tutte, infatti, hanno messo in moto, con fatica e sacrifici, vari aumenti di capitale in questi anni, e hanno in parte svalutato i non performing loans (Npl) in bilancio, e adesso non hanno voglia di entrare in una procedura di questo tipo, che coinvolgerebbe anche azionisti e obbligazionisti (cosiddetto battiti). Così per ora si tengono le sofferenze, sperando di trovare una soluzione via via che l’economia torna a riprendersi. O sperando prima o poi in una soluzione di sistema a cui tanto tiene l’esecutivo per dare più spinta a una ripresa che c’è ma sembra ancora troppo fiacca. Il presidente del Consiglio Matteo Renzi, per la verità, si è speso molto.

Renzi aveva invitato in Italia il presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker, per discutere anche di bad bank. Ma poi c’è stata soltanto una conversazione telefonica tra i due su questo tema. Altri incontri a livello tecnico si sono susseguiti e in uno di questi, con il vice presidente della Commissione Ue, Vladis Dombrovskis, anche il Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, ha presentato il punto di vista dell’Italia il 13 aprile scorso. L’idea che avrebbe esposto è che un intervento tramite una bad bank non si configurerebbe come un aiuto di Stato ma sarebbe al contrario volto a porre rimedio a un’inefficienza del mercato. Infatti se tutte le banche vendessero simultaneamente i propri crediti problematici (pari, ricordiamolo, alla bella cifra di 180 miliardi)  il mercato non sarebbe in grado di assorbirli provocando una diminuzione di prezzo per la normale legge della domanda e dell’offerta. L’intervento dello Stato non sarebbe quindi volto ad alterare ma a ripristinare il corretto funzionamento del mercato. Ma questa argomentazione per ora non ha fatto breccia nella Grande Muraglia della Commissione, dove a livello tecnico, come vice direttore alla direzione generale della Concorrenza, gli italiani fronteggiano un vero mastino come Gert-Jan Koopman che già conobbero anni addietro nella trattativa su Alitalia/Malpensa.

Il progetto italiano di bad bank resta al momento riservato e soprattutto soggetto a continue limature e modifiche per rispondere obiezioni della Commissione Ue. Filtra però l’idea di mettere in piedi, laddove venissero superati gli ostacoli, un veicolo da circa 8 miliardi con una leva di 1 a 10 da ottenere emettendo obbligazioni, quindi con la possibilità di acquisire crediti problematici fino a 80 miliardi. Lo Stato darebbe una garanzia sulle eventuali perdite derivanti da un recupero finale inferiore al prezzo pagato: se ad esempio si comprassero dei crediti deteriorati al 30 per cento del loro valore e si recuperasse soltanto il 25 percento, la perdita verrebbe coperta con la garanzia dello Stato. In caso contrario, non ci sarebbe esborso di denari pubblici. Sullo sfondo resta il problema principale: le banche hanno ancora a bilancio questi crediti, anche dopo averli più volte svalutati, a prezzi molto superiori a quelli che gli investitori sono disposti a pagare oggi sul mercato. Vendendo a prezzi di mercato, emergerebbero dunque più o meno grandi minusvalenze. La bad bank con garanzia statale sulle perdite potrebbe far alzare il prezzo di mercato dei crediti in sofferenza e per questa via aiutare indirettamente le banche. Almeno quelle medie e piccole, perché nell’ultimo progetto del governo sarebbero proprio loro il target e non più la generalità del sistema. Le più grandi, come già accade, possono trovare soluzioni autonome. In attesa della bad bank, e ammesso che prima o poi il progetto del governo riesca davvero a oltrepassare la solida barricata della Commissione europea, lo stesso esecutivo ha messo in piedi un Piano B, che non sostituisce il Piano A ma lo integra e può intanto andare avanti da solo perché non dipende da un’approvazione esogena. Una prima misura, già pronta, è quella di modificare la deducibilità fiscale delle perdite su crediti: oggi lo si può fare in cinque anni ma negli altri paesi è invece immediata e anche in Italia sarà presto così. Un altro provvedimento quasi pronto riguarda l’accelerazione dell’iter giudiziario di escussione del pegno, in genere un immobile a fronte del prestito inesigibile, per il quale in Italia ci vogliono tempi biblici, dai cinque ai sette anni e più. Il governo vorrebbe introdurre, insieme a sezioni fallimentari apposite già previste a Roma e a Milano, tempi certi per recuperare i beni a garanzia dei crediti. Completerebbe l’opera un più efficace sistema di pubblicità degli immobili in vendita alle aste fallimentari nei tribunali e la possibilità di ottenere facilmente un finanziamento per la loro acquisizione. Comunque, in mancanza di interventi straordinari dello Stato, molte grandi banche hanno già cominciato a organizzarsi per conto loro per gestire i non performing loans. Le modalità pratiche di intervento sono diverse. L’avvocato Patrizio Messina dello studio legale Orrick ha svolto un dettagliato studio su questa materia catalogando i possibili interventi degli istituti in quattro distinte caselle.

 

  1. Operazioni di vendita di Npi a investitori terzi. Diverse banche hanno ceduto portafogli di crediti in sofferenza a investitori privati, che hanno strutturato un’operazione di cartolarizzazione degli stessi. «La realizzazione di queste operazioni – osserva Messina – è stata positivamente influenzata dall’ultima asset quality review realizzata dalla Bce nel 2014, che ha portato a significative rettifiche nella valorizzazione dei crediti nei bilanci delle banche, avvicinando la distanza tra venditori e acquirenti». Unicredit è l’istituto che più ha usato questa formula: nel 2014 ha ceduto un portafoglio di Npl di 950 milioni a Cerberus, mentre già nel 2013 la controllata Uccmb, la banca specializzata nella gestione di crediti anomali, aveva ceduto 700 milioni a Anacap Financial partners. Anche il Monte dei Paschi ha venduto a Fortress un portafoglio di 380 milioni. Il Gruppo Banca Popolare di Bari ha ceduto Npl per 400 milioni. Infine, 22 banche di credito cooperativo hanno venduto nel 2013Npl per l40milioni di euro;nel 2014 altri 27 istituti hanno ceduto 250 milioni.

 

  1. Operazioni strutturate. In questo caso la banca cede l’intera piattaforma di gestione dei crediti in sofferenza (compreso il personale, gli edifici e il software) che ha in casa, e non solo uno o più pezzi di portafoglio. Lo ha fatto, all’inizio del 2015, Unicredit vendendo la controllata Uccmb, incluso comunque un portafoglio di 2,4 miliardi, a Fortress.

 

  1. Affidamento in outsourcing della gestione di Npl. Alcune banche hanno preferito, anziché cedere i crediti in sofferenza, tenerli all’interno affidando però a un soggetto terzo la loro gestione. Proprio in questo mese di aprile Creval e Cerved hanno finalizzato l’accordo per lo sviluppo di una partnership industriale a lungo termine per la gestione di crediti non performing. In particolare il Credito Valtellinese ha ceduto a Cerved il 100 per cento di Finanziaria San Giacomo (prima controllata dalla stessa Creval) per 27,1 milioni di euro. Al contempo è stato sottoscritto un contratto pluriennale per la gestione dell’intero  portafoglio Npl del gruppo Creval.

 

  1. Operazioni di cartolarizzazione infragruppo per ottimizzare la gestione dei crediti deteriorati. Questa è una soluzione tutta interna, tesa a separare gli Npi dal resto. Alcuni gruppi bancari hanno ceduto crediti deteriorati a un veicolo di cui sono essi stessi azionisti. La loro gestione viene poi affidata a un unico servicer dello stesso gruppo. Infine, i crediti problematici vengono cartolarizzati e venduti come titoli Abs agli stessi soggetti cedenti.

 

 

 


Autore: Adriano Bonafede
Fonte:

Repubblica

Credit Village è oggi il punto di incontro e riferimento - attraverso le sue tre aree, web, editoria, eventi - di professionisti, manager, imprenditori e operatori della gestione del credito. Nasce nel 2002 con l’intento di diffondere anche in Italia, così come avveniva nel mondo anglosassone, la cultura del Credit e Collection Management.