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Una montagna sul tavolo dell’Abi, quella dei crediti difficili

Il momento – qualche giorno dopo l’esito del referendum di Atene – non sarà tra i migliori per disegnare prospettive in uno scenario ormai diventato, per le banche, europeo. 
I cambiamenti degli ultimi dodici mesi sono stati però così significativi da fare dell’assemblea dell’Abi di oggi un appuntamento comunque importante per fare il punto dei nodi risolti e quelli da risolvere. Non per nulla nel corso dell’ultimo anno – nel novembre scorso – è partita la vigilanza unica della Bce, tappa fondamentale nel perfezionamento dell’Unione bancaria, che ha completamente cambiato gli orizzonti operativi e normativi delle aziende di credito italiane.

È del resto mutato anche lo scenario economico che- crisi greca permettendo – è passato dalla recessione alla ripresa, dal calo generalizzato dei prestiti a famiglie e imprese all’aumento dei finanziamenti, seppure dominato dall’impennata dei mutui per l’acquisto della casa, saliti nei primi mesi di quest’anno del 50% rispetto allo stesso periodo del 2014, in un quadro di tassi di interesse così bassi da non trovare precedenti nel passato.
Nel tracciare la linea tra le cose fatte e gli interrogativi a cui dare una risposta il presidente dell’associazione che riunisce le banche italiane, Antonio Patuelli non potrà non mettere al primo posto gli sforzi fatti dal sistema per rafforzare il capitale- quasi 50 miliardi secondo i calcoli del Corriere Economia, vedi altro servizio in pagina – e per allinearsi ai parametri europei. Positiva per l’Abi e per il suo presidente che ha martellato il governo sull’urgenza di un intervento, è l’armonizzazione delle regole nazionali con le europee sulla deducibilità delle perdite su crediti: solo 2 anni fa le banche dovevano spalmarle in 18 anni, poi, un anno fa, il termine è stato portato a 5 anni ed ora è all’attenzione del Parlamento il decreto del governo che prevede la facoltà di segnarle nel bilancio dell’anno in cui si realizzano, come avviene nel resto del continente.

Modifiche
Importante è stata anche per le banche – ma la norma riguarda pure le imprese e pure i privati che vogliono rientrare in possesso di immobili affittati ad inquilini morosi – la modifica delle procedure fallimentari per ridurre i tempi del recupero dei crediti che attualmente sono di 7 anni e mezzo con punte – secondo i dati raccolti dall’Abi – addirittura fino a 20 anni. Per Patuelli, «è una misura di legalità», come lo sono anche l’impegno espresso dalle banche – alla luce peraltro della severità dei parametri di adeguamento del capitale previsti dagli accordi di Basilea2 e Basilea3 – a non finanziare più aziende che nascondono gli utili e quello nella lotta al riciclaggio. Tra le cose positive dell’ultimo anno i banchieri mettono anche la firma del contratto nazionale di categoria, arrivata dopo una lunga e difficile vertenza sindacale.

Ritardi
E ora i ritardi, i nodi da sciogliere. Il primo riguarda le sofferenze. La riduzione dei tempi del recupero crediti, sicuramente contribuirà a rendere più appetibili le partite deteriorate delle banche favorendone la cessione sul mercato delle cartolarizzazioni che comunque è bloccato. Ma per alleggerire le banche italiane dal peso di 350 miliardi di crediti difficili di cui quasi 200 inesigibili, occorre un intervento di sistema e una garanzia pubblica che per ora Bruxelles non vuole far passare. Da questa strozzatura discende, secondo le autorità monetarie, anche il fatto che il credito alle imprese sia ripreso ma solo col contagocce a fronte, come si è detto, di un rapido risveglio dei mutui e del credito al consumo verso le famiglie. I flussi, ancora insufficienti, soprattutto visti gli attuali bassissimi livelli di tassi di interesse, di finanziamenti all’economia rappresentano comunque uno dei nodi da sciogliere. Secondo le banche si tratta soprattutto di prudenza che discende anche dalla incertezza sulla normativa. Ed ecco la grande lamentela e assieme richiesta del sistema italiano che Patuelli avanzerà all’assemblea dove interverranno e parleranno il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco e il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan.
Bisogna metter fine alla «babele normativa», è lo slogan dell’Abi che critica la pluralità di organismi regolatori – dalla Bce all’Eba, allo Sms, alle autorità nazionali – e chiede coordinamento, armonizzazione e un testo unico. Oltre ovviamente alla revisione delle penalizzazioni nella misurazione dei rischi operativi che valuta più severamente quelli sui prestiti all’economia rispetto per esempio a quelli finanziari sui derivati.
Quanto a Banca d’Italia e governo le richieste di armonizzazione con la normativa europea si concentrano ormai sulle regole previste per il calcolo degli interessi. Dopo la lettera della commissione europea che, due settimane fa, ha messo in discussione la norma contenuta nella legge di stabilità del 2014, passata sotto il nome di divieto di anatocismo, l’Abi aspetta le decisioni del Cicr che deve ancora dare , dopo più di un anno, le indicazioni attuative della disposizione.

Fonte:

Il Corriere della Sera

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