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Il punto sicuramente più delicato e più discusso relativamente alla scioglimento o sospensione dei contratti pendenti è costituito dall’individuazione di quali contratti possano essere oggetto di tale domanda da parte del debitore.
 
Prima del 27 giugno (entrata in vigore del Dl 83/2015) non vi era nessun contratto che specificamente fosse indicato dalla previsione di cui all’articolo 169 bis della legge fallimentare, salvo un’indicazione che escludeva particolari tipologie quali quelle di lavoro subordinato, di preliminare di acquisto di immobile da adibire a prima casa o quale sede principale dell’attività di impresa, di finanziamenti destinati ad uno specifico affare, nonché di locazione di immobile, laddove il debitore fosse il locatore.

Il legislatore d’urgenza ha ritenuto opportuno regolare la figura del contratto di locazione finanziaria, stabilendo che il concedente ha diritto alla restituzione del bene ed è tenuto a versare al debitore una somma, a favore della procedura pari al maggiore importo realizzato dalla vendita o ricollocazione del bene rispetto al credito residuo in linea capitale.

Altresì, in base al principio dell’autonomia della clausola compromissoria, in caso di scioglimento del contratto, tale clausola rimane pienamente valida di talché ogni controversia conseguente allo scioglimento del contratto dovrà essere discussa in sede arbitrale
A fronte di tali esclusioni potrebbe argomentarsi che tutti gli altri contratti possono essere oggetto di domanda di scioglimento o sospensione.
Invero, in dottrina e giurisprudenza si era discusso se la disciplina dei contratti pendenti di cui agli articolo 72 e seguenti della legge fallimentare fosse applicabile, in quanto tale, anche a questa fattispecie di scioglimento ad istanza di parte stante la diversa categorizzazione in «contratti pendenti» e «contratti in corso di esecuzione».
Tuttavia, il recente decreto legge ha modificato la rubrica dell’articolo sostituendo «in corso di esecuzione» con «pendenti», per cui tale differenziazione appare oggi superata, quanto meno a livello terminologico; per pendenti devono intendersi quei contratti in cui le prestazioni siano ineseguite, o non compiutamente eseguite, da entrambe le parti.
Occorre, quindi, esaminare la sostanza del problema come affrontato dalla giurisprudenza per potere comprendere al meglio quale potrà essere il suo futuro dopo l’intervento riformatore.

È stato affermato che possano essere oggetto di domanda di scioglimento o sospensione sia i contratti sinallagmatici, purché una delle parti non abbia esaurito la propria prestazione, che quelli con prestazioni a carico di una sola parte (ad esempio il debitore) con l’avvertenza che l’operatività dell’articolo 169 bis della legge fallimentare debba essere valutata in termini più ampi poiché il debitore, a differenza del fallito, mantiene un significativo potere gestorio sul proprio patrimonio.
In questo senso, i tribunali hanno ritenuto genericamente ammissibili le domande di scioglimento aventi ad oggetto i contratti di appalto, i preliminari di compravendita e di permuta di immobili, i contratti bancari (quali l’affidamento di linee di credito, il conto corrente, il conto anticipi, l’anticipo fatture, il mandato all’incasso), i contratti di investimento in strumenti derivati, nonché il contratto di affitto d’azienda.

 


Fonte:

Il Sole 24 Ore

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