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Banche senza rete, c’è il bail in

Dal 1° gennaio 2016 entra in vigore in Italia la disciplina del bail in, che si può tradurre con «garanzia interna»: in pratica in caso di crisi bancaria lo Stato non interverrà più per salvare gli istituti di credito. L’onere del salvataggio sarà a carico in primo luogo degli azionisti e degli obbligazionisti subordinati e poi anche dei correntisti. Ma sono salvi i risparmi inferiori ai 100 mila euro.

In realtà le regole sono un po’ più complesse (un approfondimento sul numero di ItaliaOggi Sette in edicola da lunedì 14). Ma la sostanza del discorso è che nel rapporto tra la banca e il suo cliente/azionista viene meno la rete di protezione offerta dalla implicita garanzia dello Stato: di fatto, in Italia, finora le crisi bancarie si sono sempre risolte con un intervento diretto o indiretto (magari attraverso Bankitalia) del Tesoro. Un assaggio di quello che potrebbe succedere si è avuto nei giorni scorsi con il tentativo del governo di salvare quattro piccole banche in grave difficoltà prima del 1° gennaio, cioè prima dell’obbligo di applicare le rigide regole del bail in. Il tentativo, un po’ pasticciato, ha comunque portato ad una parziale applicazione delle stesse regole, con conseguente perdita accollata ad azionisti e obbligazionisti subordinati. Un obbligazionista si è suicidato. Ed è montata una polemica pesantissima.

Non c’è dubbio quindi che le nuove regole provocheranno un mutamento non solo del rapporto tra cliente e contribuente, ma anche dell’intero assetto del mondo bancario. L’obiettivo del legislatore europeo nel dettare le regole del bail in è limitare il rischio di moral azzard, da parte delle banche le quali, fino a ieri, sapevano che, in caso di dissesto, sarebbe comunque intervenuto lo stato: in questo modo tendevano a spingere la ricerca del profitto oltre i normali livelli di rischiosità. Dal primo gennaio non sarà più così. La banca, se non vuole perdere il cliente, dovrà presentare una situazione patrimoniale più che tranquillizzante. In realtà il rischio che le piccole banche si trovino a fronteggiare una fuga di correntisti e obbligazionisti permarrà nonostante tutti gli sforzi che queste potranno fare per cercare di infondere fiducia nella clientela. E’ inevitabile che il cliente più ansioso e magari meno preparato tenda a cercare il rifugio più sicuro per i suoi risparmi, ora che il rischio al quale sono esposti è notevolmente aumentato.

Un esodo potenziale che, se non viene controllato, rischia di creare sfracelli. Ed è forse per evitare questo incubo che il presidente del consiglio, Matteo Renzi, il 6 dicembre ha annunciato in tempi brevi (cioè dopo Natale) l’obiettivo di “consolidare le banche del credito cooperativo, facendone uno dei gruppi bancari più solidi sul modello del Credit Agricole”. Il riferimento all’istituto di credito francese, la prima banca mutualistica d’Europa, esprime l’intenzione del governo di arrivare ad un sistema a rete con a capo una holding partecipata dal basso. Obiettivo condiviso dagli stessi istituti di credito cooperativo italiani.

In altri termini, le direttive europee sulla risoluzione delle crisi bancarie hanno cambiato le regole del gioco: lo Stato nei confronti dei risparmiatori non sarà più una mamma, sempre pronta a intervenire in caso di bisogno. Al massimo potrà essere un fratello maggiore, in grado di dare qualche buon consiglio e di togliere dalla circolazione qualche gioco troppo pericoloso. Ma poi il fratello minore deve imparare a contare sulle sue forze, sapendo che delle sue scelte poco oculate sarà lui a pagare le conseguenze.


Autore: Marino Longoni
Fonte:

Italia Oggi

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