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L’Italia non può aspettare che il problema delle sofferenze bancarie si risolva da sé

L’ultimo bollettino dell’ Abi ci ha tristemente avvertito che a settembre la massa delle sofferenze presente nei bilanci delle banche italiane ha sfondato anche muro dei 200 miliardi di euro  (il 13% in più rispetto al 2014). Ora, è vero come ricorda il Presidente dell’Abi Antonio Patuelli, che il flusso di operazioni che entrano nella spirale del credito deteriorato sta rallentando, tuttavia molti osservatori ritengono che ci vorranno almeno due anni prima di registrare una vera riduzione di questo insano fardello.

Il Cerved, addirittura, prevede che la massa delle posizioni deteriorate (attualmente intorno ai 350 mld) possa crescere sino al 2020. Il che vuol dire che solo fra qualche anno, le banche, riducendo gli accantonamenti a fronte delle perdite attese, potranno realmente incrementare gli sforzi a sostegno delle imprese.

Purtroppo, il punto è che semplicemente non ci sono a disposizione due anni per aspettare che questo fardello si assorba da solo grazie a un miglioramento della situazione economica generale.

E non sono disponibili anche a causa della differente velocità con cui le nuove normative di vigilanza incidono, da una parte, sul sistema bancario a livello macro, e, dall’altra, sulle singole banche e le singole imprese.

Qui il problema sorge dal fatto che tutte le recenti regole sono state concepite per rendere il sistema bancario nel suo complesso strutturalmente più solido e stabile.

E in effetti, un sistema bancario più solido rende più forti anche le aziende perché riesce a erogare il credito in maniera continuativa ed equilibrata in quanto svincolato dall’emergenza, dalle pressioni esterne e della sindrome del controllore. Ciò premesso, il problema sta proprio nel citato differenziale di velocità. Infatti, le nuove normative di vigilanza, anche a causa della complessità delle variabili in gioco, possono migliorare il livello di sicurezza del sistema bancario globale solo lentamente, nel lungo periodo.

Al contrario, le più severe politiche di accantonamento, le nuove norme sul credito tollerato e le novità sugli sconfinamenti delle imprese (past due) incidono subito sugli accantonamenti dei singoli istituti, limitando così nell’immediato, le loro capacità di sostenere il mondo imprese. Tra l’altro la nuova regolamentazione di vigilanza ha una diversa velocità di impatto anche all’interno della stessa Ue.

Infatti nei sistemi bancari anglo-sassoni, più dediti alla finanza che al sostegno delle imprese, la velocità di impatto delle nuove normative in esame è decisamente inferiore rispetto ai sistemi bancari dei Paesi latini.

Come appare moderata anche la velocità di propagazione del fenomeno dalle banche alle imprese.

Infatti, le aziende del Centro Europa, abituate da sempre a non poter fare un grande affidamento sul sostegno degli istituti di credito, si sono rafforzate patrimonialmente e hanno creato negli anni fonti alternative al prestito bancario quali, ad esempio, un efficiente mercato delle obbligazioni corporate. Al contrario, in Italia, dove le banche dedicano gran parte degli impieghi al finanziamento delle aziende medio piccole e, quindi, sono molto più esposte alla problematica del credito deteriorato, la velocità di impatto delle nuove regole di vigilanza è massima. Come massima, peraltro, è la velocità di propagazione del fenomeno alle Pmi del nostro Paese.

Infatti le nostre imprese proprio perché storicamente appoggiate dal sistema bancario, si sono trovate a fronteggiare l’inaridimento dei flussi creditizi dovuto alle nuove regole in esame senza poter contare su fonti alternative al credito ordinario.

E allora nel contesto italiano se si vuole davvero traghettare le nostre pmi fuori dalla crisi non possiamo assolutamente abbandonare la ricerca di una soluzione strutturale al problema del credito deteriorato.

E questo nonostante l’inteso fuoco di sbarramento di Bruxelles. Che poi si tratti di una Bad Bank, di una Opportunity Bank (visto che non si tratta di salvare le nostre banche , ma di dare prova di una nuova opportunità alle nostre imprese) o di una Asset Management Company non è così importante.   Come non è di fondamentale rilevanza se interverrà una garanzia della Cassa Depositi e Prestiti o della Sace o se prevarrà qualche altra formula mista pubblica-privata.

L’importante è trovare una soluzione complessiva in grado di rendere nuovamente fluido il credito diretto alle imprese. Anche perché sedersi sulla riva del Grande Fiume ad attendere il passaggio della salma del nostro credito deteriorato mi pare francamente troppo pericoloso. Il rischio, infatti, è quello di veder passare prima, nella corrente, i poveri resti delle nostre pmi.


Autore: Andrea Ferretti
Fonte:

Milano Finanza

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