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Smart working diviene legge: cos’è, come funziona, cosa potrebbe cambiare?

Lo Smart working, o anche detto “lavoro agile”, ormai da tempo presentato in Parlamento, è stato approvato dal Consiglio dei Ministri lo scorso 28 gennaio. Si tratta di un ddl collegato alla Legge di Stabilità 2016  che ambisce a fornire una cornice  normativa per questa nuova tipologia di lavoro in riferimento a diritti, doveri, infortuni e retribuzione, affinché possano essere sfruttate a pieno le potenzialità dello ‘smart working’ legate agli incrementi di produttività. A predisporre il Ddl, precisa il Corriere della Sera, è stato chiamato il professor Maurizio Del Conte,  docente di diritto del lavoro dell’Università Bocconi, per conto del Governo sulla scia di un progetto già presentato un paio di anni fa da tre parlamentari: Alessia Mosca, Irene Tinagli e Barbara Saltamartini. Si compone di 9 articoli che disciplinano i vari aspetti del lavoro fuori dall’azienda (diritti, privacy, infortuni, retribuzione), ma viene lasciato ampio spazio alla contrattazione tra le parti.

Come funziona lo smart working

La relazione introduttiva del ddl spiega che “è la modalità flessibile di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato allo scopo di incrementare la produttività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro”

L’unico obiettivo per l’azienda, che resta però quello di primaria importanza è che venga raggiunto il risultato stabilito. Lo scopo, quindi, è sicuramente quello di rendere più semplice la vita del lavoratore, ma soprattutto quello di incrementare la produttività

  1. Il requisito fondamentale dello ‘smart working’ è la volontarietà. “Agile” è definita la prestazione effettuata da lavoratori dipendenti – non partite Iva – fuori dei locali aziendali: oggi per tre quarti dei casi vuol dire da casa, anche se crescono le imprese che si collegano con hub o coworking esterni.
  2. Dovrà essere concordato tra azienda e lavoratore all’interno del quadro normativo predisposto dal ddl

Le questioni su cui bisogna discutere sono, dopo l’approvazione del CdM:

la gestione dell’orario di lavoro, la smaterializzazione del luogo di lavoro, la regolamentazione della retribuzione non rilevando più il tempo di lavoro, ma il raggiungimento del risultato.

Punti cardine del ddl

  • Il ‘lavoro agile’ potrà essere a tempo determinato o indeterminato e potrà riguardare anche un solo giorno alla settimana;
  • il lavoro da casa deve essere retribuito in misura ‘non inferiore’ a quello svolto in ufficio;
  • gli infortuni dovranno essere coperti dall’ Inail;
  • sono riconosciuti al ‘lavoro agile’ gli stessi incentivi fiscali legati alla contrattazione di secondo livello.

Cosa cambierà con la legge sul ‘lavoro agile’?

Secondo una ricerca del Politecnico di Milano sullo smart working in Europa, l’Italia risulta essere al 25° posto, su 27 nazioni (Croazia esclusa che, all’epoca della ricerca non era ancora entrata nell’Unione), per quanto riguarda l’adozione del lavoro agile. La ricerca evidenziava i vantaggi dello smart working per tutto il sistema economico.

Lo scopo del lavoro agile viene definito dall’articolo 1 del ddl “Incrementare la produttività e la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro”. Per quanto riguarda i lavoratori, i vantaggi sono evidenti in modo particolare per le donne.

Per quanto concerne la produttività, essa risulta incrementata anche del 40 per cento nelle aziende che hanno deciso di farvi ricorso in modo massiccio e che, a livello nazionale, potrebbe essere quantificata fino a 27 miliardi, oltre a 10 miliardi in meno di costi fissi.

Dati che rendono evidente il tentativo di incentivare il lavoro da casa così regolamentato, puntando ad un incremento significativo del numero di aziende che ne fanno uso e che, comunque, sono già passate, pur in assenza di norme, dall’8 per cento del 2014 al 17 per cento del 2015.

Il principio affermato dal ddl è la volontarietà a sua volta regolata da un accordo scritto fra le parti, nel quale siano definiti modalità e utilizzo dei device tecnologici. L’intesa deve indicare anche le fasce orarie di riposo. Il lavoro agile può essere a tempo determinato o indeterminato, ma si può recedere solo per giusta causa o con un preavviso non inferiore ai 30 giorni. La legge interviene su tutta una serie di materie (diritti, privacy, infortuni e retribuzione), ma costituisce inoltre una norma-cornice che lascia spazio alla contrattazione collettiva e individuale.

Smart working: in Italia esiste già?

Come anticipato nonostante l’assenza di una regolamentazione alcune imprese avevano già tentato con successo la strada del lavoro agile, nello specifico, secondo uno studio della School of Management del Politecnico di Milano, nel 2015, il 17% delle grandi imprese italiane ha già dato vita progetti di Smart working, incrementando il numero delle imprese aderenti che nel 2014 erano l’8%.
Il 14% delle grandi imprese stanno al momento valutando se avviare progetti del genere in futuro, e un altro 17% ha avviato iniziative di flessibilità ma rivolte solo a particolari profili, ruoli o esigenze delle persone.

Sono le piccole-medie imprese quelle più restie al cambiamento che fanno riscontrare il numero più basso di adesioni: solo il 5% ha già avviato lo Smart Working, il 9% ha introdotto informalmente logiche di flessibilità e autonomia, mentre oltre una su due non conosce ancora questo approccio o non si dichiara interessata.

Lo Smart working sembra ad oggi una valida opportunità di cambiamento da inserire nel mondo lavorativo, specie per le donne che spesso sopperiscono alle mancanze del welfare e hanno sulle proprie spalle anche il ruolo di ‘care giver ’e faticano a conciliare lavoro e famiglia, ma come sostiene Mariano Corso, responsabile scientifico dell’osservatorio Smart working:

“Non si deve commettere l’errore di generare il classico effetto moda, introducendo un cambiamento solo superficiale senza cogliere l’opportunità di ripensare profondamente cultura e modelli organizzativi per liberare nuove energie dalle persone”


Autore: Erica Venditti
Fonte:
Redazione Credit Village

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