Posto che tutto ciò che di negativo si poteva dire su Moody’s, S&P e Fitch in termini di perdita di credibilità ed autorevolezza è già stato detto, appare opportuno, a questo punto cercare di capire se sia ormai giunto il momento di intervenire concretamente per porre seri limiti a un insano oligopolio.
In effetti, a ben vedere, la necessità di risolvere il problema diviene ogni giorno più urgente per il semplice fatto che, a causa della duplice crisi, la vera partita del rating non si gioca più sulla valutazione più o meno accurata delle aziende, ma si è di fatto trasferita sul campo, assai più insidioso, della valutazione degli Stati e dei bilanci pubblici. Esiste, infatti, una Scala Mercalli virtuale applicabile ai rating, che misura, in questo caso, non più la gravità dei danni causati dai sismi, bensì quelli provocati al sistema finanziario dal comportamento distorto delle agenzie in generale e delle tre sorelle in particolare. Il primo grado riguarda le aziende non quotate di dimensioni limitate: in questo caso, tutto sommato, l’incapacità di una società di rating di evidenziare per tempo un pericolo di default causa danni abbastanza limitati a livello di sistema in quanto coinvolge essenzialmente le banche affidanti.
Molto più seri, invece, i danni nel caso in cui le Agenzie non riescano a individuare correttamente la reale rischiosità di un’azienda quotata che emetta anche obbligazioni (secondo grado della scala); in questo caso, infatti, l’attribuzione di un rating troppo ottimistico può consentire a titoli più rischiosi di penetrare nei portafogli dei fondi comuni e dei fondi pensione, trasferendo così il rischio di default anche ai piccoli azionisti e soprattutto agli ignari obbligazionisti. Ma se passiamo al terzo grado, che riguarda gli Stati e i rischi sovrani, il discorso cambia radicalmente perché le conseguenze di giudizi inadeguati e dei comportamenti delle signore del rating non si abbattono più solamente sulle schiere di azionisti e obbligazionisti (comunque degne di tutela), ma sui milioni di cittadini dei Paesi coinvolti, che vengono risucchiati in una spirale di tagli alla spesa pubblica e riduzioni di salari e pensioni. Ma il vero problema, che realmente può minare la struttura stessa del sistema finanziario, lo troviamo al quarto grado della scala ossia al livello che riguarda i Paesi in conclamato stato di crisi quali la Grecia e l’Irlanda: qui, di fatto, le logiche, le strategie e gli obiettivi di Ue, governi e Fmi divergono inesorabilmente da quelli perseguiti dalle tre sorelle. A questo livello, infatti, si trovano a convivere, da una parte, i citati soggetti istituzionali impegnati nel tentativo di proteggere l’intera Eurozona dal rischio di contagio e, dall’altra, le agenzie di rating che continuano a inviare al mercato un mix esplosivo di segnali di rischio reale, di segnali di pericolo generico (warning, outlook negativi) e minacce (sotto forma di report ed esternazioni) perfettamente in grado di vanificare le azioni intraprese dai primi.
Dunque, se questo è lo scenario, forse è giunto il momento di convincerci che non possiamo più permetterci il lusso, come avvenuto in passato, di basare tutto sulle valutazioni inappellabili di tre giudici del tutto indifferenti al fatto che ogni loro mossa possa avere gravi conseguenze, non solo economiche, ma anche socio politiche, su mercati resi isterici da due anni di crisi continua. Preso atto di ciò, appare quindi fondamentale intervenire tempestivamente almeno sul quarto livello della Scala Mercalli prevedendo, per esempio, che in presenza della richiesta formale di aiuti da parte di un Paese membro in crisi conclamata, l’attuale meccanismo di valutazione del rischio Paese sia automaticamente sospeso (il che spunterebbe le armi alla speculazione) e il successivo monitoraggio della situazione sottratto alle agenzie di rating private. Risulta evidente, infatti, che un complesso piano di risanamento non si muove in maniera lineare, ma si sviluppa nel medio periodo lungo un sentiero che potrebbe evidenziare, specie all’inizio, numerosi alti e bassi prima che il Paese in crisi imbocchi il ciclo virtuoso. Né si può escludere, in corso d’opera, la necessità di ridefinire i target di periodo (vediGrecia) o l’eventualità di erogare ulteriori aiuti finanziari comunque volti al raggiungimento dell’obiettivo finale.E in uno scenario così mutevole non è assolutamente pensabile che il raggiungimento di tale obiettivo – che tra l’altro comporta enormi sacrifici per le popolazioni – possa essere in qualche modo ostacolato o reso più costoso dai giudizi spot e dalle esternazioni intempestive di 3 entità private che devono invece, almeno in questi casi, uscire di scena. Al loro posto saranno gli stessi organismi comunitari e il Fmi – coinvolti nell’intervento e responsabili dell’erogazione delle diverse tranche dei finanziamenti concessi – a informare puntualmente i mercati sul rispetto del piano, sul raggiungimento delle tappe prefissate e sull’efficacia delle azioni intraprese. E, in tutta sincerità, il rischio che questi organismi possano subire indebite pressioni da parte di qualche governo mi appare infinitamente inferiore rispetto al rischio che le sorti dell’euro dipendano in buona misura dalle signore del rating, di dubbia indipendenza e assolutamente convinte di aver ricevuto un’investitura a divinis.
Autore: Andrea Ferretti
Fonte: Milano Finanza
Posto che tutto ciò che di negativo si poteva dire su Moody’s, S&P e Fitch in termini di perdita di credibilità ed autorevolezza è già stato detto, appare opportuno, a questo punto cercare di capire se sia ormai giunto il momento di intervenire concretamente per porre seri limiti a un insano oligopolio.
In effetti, a ben vedere, la necessità di risolvere il problema diviene ogni giorno più urgente per il semplice fatto che, a causa della duplice crisi, la vera partita del rating non si gioca più sulla valutazione più o meno accurata delle aziende, ma si è di fatto trasferita sul campo, assai più insidioso, della valutazione degli Stati e dei bilanci pubblici. Esiste, infatti, una Scala Mercalli virtuale applicabile ai rating, che misura, in questo caso, non più la gravità dei danni causati dai sismi, bensì quelli provocati al sistema finanziario dal comportamento distorto delle agenzie in generale e delle tre sorelle in particolare. Il primo grado riguarda le aziende non quotate di dimensioni limitate: in questo caso, tutto sommato, l’incapacità di una società di rating di evidenziare per tempo un pericolo di default causa danni abbastanza limitati a livello di sistema in quanto coinvolge essenzialmente le banche affidanti.
Molto più seri, invece, i danni nel caso in cui le Agenzie non riescano a individuare correttamente la reale rischiosità di un’azienda quotata che emetta anche obbligazioni (secondo grado della scala); in questo caso, infatti, l’attribuzione di un rating troppo ottimistico può consentire a titoli più rischiosi di penetrare nei portafogli dei fondi comuni e dei fondi pensione, trasferendo così il rischio di default anche ai piccoli azionisti e soprattutto agli ignari obbligazionisti. Ma se passiamo al terzo grado, che riguarda gli Stati e i rischi sovrani, il discorso cambia radicalmente perché le conseguenze di giudizi inadeguati e dei comportamenti delle signore del rating non si abbattono più solamente sulle schiere di azionisti e obbligazionisti (comunque degne di tutela), ma sui milioni di cittadini dei Paesi coinvolti, che vengono risucchiati in una spirale di tagli alla spesa pubblica e riduzioni di salari e pensioni. Ma il vero problema, che realmente può minare la struttura stessa del sistema finanziario, lo troviamo al quarto grado della scala ossia al livello che riguarda i Paesi in conclamato stato di crisi quali la Grecia e l’Irlanda: qui, di fatto, le logiche, le strategie e gli obiettivi di Ue, governi e Fmi divergono inesorabilmente da quelli perseguiti dalle tre sorelle. A questo livello, infatti, si trovano a convivere, da una parte, i citati soggetti istituzionali impegnati nel tentativo di proteggere l’intera Eurozona dal rischio di contagio e, dall’altra, le agenzie di rating che continuano a inviare al mercato un mix esplosivo di segnali di rischio reale, di segnali di pericolo generico (warning, outlook negativi) e minacce (sotto forma di report ed esternazioni) perfettamente in grado di vanificare le azioni intraprese dai primi.
Dunque, se questo è lo scenario, forse è giunto il momento di convincerci che non possiamo più permetterci il lusso, come avvenuto in passato, di basare tutto sulle valutazioni inappellabili di tre giudici del tutto indifferenti al fatto che ogni loro mossa possa avere gravi conseguenze, non solo economiche, ma anche socio politiche, su mercati resi isterici da due anni di crisi continua. Preso atto di ciò, appare quindi fondamentale intervenire tempestivamente almeno sul quarto livello della Scala Mercalli prevedendo, per esempio, che in presenza della richiesta formale di aiuti da parte di un Paese membro in crisi conclamata, l’attuale meccanismo di valutazione del rischio Paese sia automaticamente sospeso (il che spunterebbe le armi alla speculazione) e il successivo monitoraggio della situazione sottratto alle agenzie di rating private. Risulta evidente, infatti, che un complesso piano di risanamento non si muove in maniera lineare, ma si sviluppa nel medio periodo lungo un sentiero che potrebbe evidenziare, specie all’inizio, numerosi alti e bassi prima che il Paese in crisi imbocchi il ciclo virtuoso. Né si può escludere, in corso d’opera, la necessità di ridefinire i target di periodo (vediGrecia) o l’eventualità di erogare ulteriori aiuti finanziari comunque volti al raggiungimento dell’obiettivo finale.E in uno scenario così mutevole non è assolutamente pensabile che il raggiungimento di tale obiettivo – che tra l’altro comporta enormi sacrifici per le popolazioni – possa essere in qualche modo ostacolato o reso più costoso dai giudizi spot e dalle esternazioni intempestive di 3 entità private che devono invece, almeno in questi casi, uscire di scena. Al loro posto saranno gli stessi organismi comunitari e il Fmi – coinvolti nell’intervento e responsabili dell’erogazione delle diverse tranche dei finanziamenti concessi – a informare puntualmente i mercati sul rispetto del piano, sul raggiungimento delle tappe prefissate e sull’efficacia delle azioni intraprese. E, in tutta sincerità, il rischio che questi organismi possano subire indebite pressioni da parte di qualche governo mi appare infinitamente inferiore rispetto al rischio che le sorti dell’euro dipendano in buona misura dalle signore del rating, di dubbia indipendenza e assolutamente convinte di aver ricevuto un’investitura a divinis.
Autore: Andrea Ferretti
Fonte: Milano Finanza