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Banche, un bluff-test

Altro che stress-test: sarebbe più giusto parlare di bluff-test, nel caso delle simulazioni di crisi finanziaria pilotate dalle banche centrali europee nelle scorse settimane per tutti i principali istituti bancari europei. Dopo il crack delle due banche irlandesi, Allied Irish e Bank of Ireland, è emersa con prepotenza l’inefficacia degli stress-test appena svolti, nonostante fossero avvenuti sotto la supervisione della Banca d’Irlanda e il controllo remoto della Bce. I due istituti poi saltati li avevano infatti superati senza difficoltà. Ma in tutta Europa questi stress-test, che avevano esaminato lo stato di salute di 91 istituti, si sono rivelati all’acqua di rose, tanto che ne hanno bocciati appena sette. Eppure, nonostante il discredito che ha quindi immediatamente colpito questa modalità di verifica della buona salute bancaria, si parla già di ripeterli: in modo diverso, ma ripeterli, tra il prossimo febbraio e la fine di giugno. In effetti l’inattendibilità degli ultimi riscontri è emersa in tutta la sua imbarazzante gravità, col caso-Irlanda. E quest’inaffidabilità (oggi degli stress test come ieri dei rating delle principali agenzie, che ancora elogiavano una Lehman Brothers già boccheggiante e a un passo dal crack) è ossigeno puro nei polmoni degli speculatori. A denunciarlo per prima, è stata la Confindustria, per bocca del suo direttore generale Giampaolo Galli. Ma alternative non se ne trovano, nel repertorio degli strumenti profilattici anti-crisi. E infatti la Commissione europea spinge per ripetere i test, ma invoca che non siano più limitati, come gli ultimi, esclusivamente alla tenuta in termini di capitale ma siano estesi al parametro della liquidità. La capacità di resistenza alla crisi testata finora riguardava infatti solo il livello dei capitali di proprietà di ciascun istituto, cioè la capacità di assorbire le eventuali perdite su crediti, e appunto non quello della liquidità, che è stato invece il vero detonatore della crisi finanziaria irlandese. Cosa potrebbero nascondere, su questo fronte non esplorato dai test, le banche portoghesi e spagnole, prossime probabili vittime dei mercati?Ma il tema investe in pieno il settore creditizio italiano. E l’Abi di Giuseppe Mussari, molto risentita su questo fronte, sta facendo una prudente azione di lobby per far valere le sue ragioni. Le nostre banche hanno molti impieghi verso la clientela, e ciò ha richiesto in alcuni casi il rafforzamento patrimoniale; ma non hanno esposizione significativa sul mercato dei derivati, potenzialmente un pozzo senza fondo per le perdite finanziarie. Il fatto che finora gli stress test abbiano preteso di illuminare le pieghe più minute dei rischi bancari, trascurando quelli finanziari, si è risolto in un problema per l’Italia e in un favore alle banche di impostazione anglosassone, che hanno mantenuto ben nascosti i loro panni sporchi. Sarebbe ora che questa asimmetria insensata cessasse. Di fatti, il peso contrattuale italiano negli organismi internazionali (dalla Banca centrale europea alla Banca dei regolamenti internazionali) che sovraintendono alla materia è piuttosto modesto, ma l’obiettivo comune delle nostre autorità è di far valere la sostanziale immunità degli istituti di credito italiani dal virus dei derivati, ridimensionando invece l’impatto del rischio implicito nel loro portafoglio crediti, che, frazionato com’è tra miriadi di piccoli clienti, ha tanti piccoli focolai di pericolo ma non è minacciato dall’esplosizione dei pochi grandi rischi che contraddistinguono invece il portafoglio impieghi dei colossi bancari stranieri.


Autore: Sergio Luciano
Fonte: Italia Oggi

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