Nel corso dell’ UTP summit, evento organizzato dal Sole 24 Ore, si è parlato di stime per i volumi di posizioni Unlikely To Pay potenzialmente in raddoppio rispetto a quanto registrato prima della pandemia.
In particolare, secondo la società di consulenza KPMG, a partire dai 48,9 miliardi di fine 2020 si potrebbe arrivare a uno scenario post crisi con una forchetta variabile tra 55 e 100 miliardi.
Secondo Riccardo Serrini, amministratore delegato di Prelios, primo operatore nel mercato degli Utp con 10 miliardi in gestione, che di recente ha reso noto un nuovo conferimento da 52 milioni nel fondo back to bonis (leggi l’articolo) l’impatto del Covid sulle inadempienze probabili sarà significativo «con grande diversificazione da settore a settore, perché vediamo quotidianamente che le capacità di reazione delle imprese sono eterogenee. Si registra una percentuale di scivolamento anche per le piccole imprese. Ciò dimostra ch non è un tema legato solo alla nuova finanza ma è come si accompagna l’azienda ad uscire dalla crisi».
Un elemento che potrebbe fare la differenza, secondo Serrini, è costituito dalla possibile estensione delle GACS anche ai crediti UTP
Massimo Gianolli, a.d. di Generalfinance, società leader nel mercato del factoring verso società distressed, mette in evidenza d’altra parte che, a differenza del mercato delle sofferenze, gli Utp presentano un grado di complessità maggiore, e per questo – trattandosi di imprese ancora vive – non si può avere approccio generalizzato: «C’è la fase di emergenza, dove il credito è ancora decisivo, ma poi ogni caso deve trovare la sua cura».
Federico Ghizzoni, presidente di Clessidra Capital Credit, ha evidenziato come in questi mesi sia cresciuta la sensibilità degli imprenditori : «Spesso sono loro a bussare alla nostra porta per chiedere un intervento. In qualche modo è il segnale di un cambio di passo anche nella mentalità da parte degli imprenditori, che – complice la pandemia – si scoprono più propensi a valutare l’opportunità di un supporto esterno, sia in una logica di diversificazione del rischio, sia nella consapevolezza che nuove competenze, in alcuni casi, sono indispensabili.»
Marco Raccah, General Manager Aurora Recovery Capital, non esita a parlare di «responsabilità sociale dell’Utp, che spesso è uno specchio del Paese e delle sue potenzialità». E per Giovanni Gilli, presidente Intrum Italy, «è giunto il momento di allargare la platea degli investitori a cui offrire gli Utp. Il track record ancora non aiuta, ma si è innescato un processo virtuoso che può continuare, soprattutto se dal regolatore non ci saranno pressioni sulle banche a cedere più di quanto non serva». Per Guido Lombardo, chief investment officer Credito Fondiario, «altro elemento decisivo per il ritorno di chi investe è la qualità della piattaforma, la miglior garanzia di una gestione ottimale del sottostante e quindi dei ritorni possibili».
C’è inoltre un interesse crescente per le attività con sottostante immobiliare. «Anche perché adesso sul mercato – spiega Fabio Panzeri, direttore generale Servicing & Operations del Gruppo Prelios – si sta affermando il tema dei portafogli: l’ingresso di asset più articolati sicuramente favorirà l’accelerazione anche di questo mercato». Concorda Oscar Pittini, presidente Hera Holding: «L’industria si sta strutturando, e con essa la consapevolezza della sua rilevanza. Far ripartire un asset real estate significa movimentare un indotto importante con ricadute sociali ed economiche rilevanti».
Nel corso dell’ UTP summit, evento organizzato dal Sole 24 Ore, si è parlato di stime per i volumi di posizioni Unlikely To Pay potenzialmente in raddoppio rispetto a quanto registrato prima della pandemia.
In particolare, secondo la società di consulenza KPMG, a partire dai 48,9 miliardi di fine 2020 si potrebbe arrivare a uno scenario post crisi con una forchetta variabile tra 55 e 100 miliardi.
Secondo Riccardo Serrini, amministratore delegato di Prelios, primo operatore nel mercato degli Utp con 10 miliardi in gestione, che di recente ha reso noto un nuovo conferimento da 52 milioni nel fondo back to bonis (leggi l’articolo) l’impatto del Covid sulle inadempienze probabili sarà significativo «con grande diversificazione da settore a settore, perché vediamo quotidianamente che le capacità di reazione delle imprese sono eterogenee. Si registra una percentuale di scivolamento anche per le piccole imprese. Ciò dimostra ch non è un tema legato solo alla nuova finanza ma è come si accompagna l’azienda ad uscire dalla crisi».
Un elemento che potrebbe fare la differenza, secondo Serrini, è costituito dalla possibile estensione delle GACS anche ai crediti UTP
Massimo Gianolli, a.d. di Generalfinance, società leader nel mercato del factoring verso società distressed, mette in evidenza d’altra parte che, a differenza del mercato delle sofferenze, gli Utp presentano un grado di complessità maggiore, e per questo – trattandosi di imprese ancora vive – non si può avere approccio generalizzato: «C’è la fase di emergenza, dove il credito è ancora decisivo, ma poi ogni caso deve trovare la sua cura».
Federico Ghizzoni, presidente di Clessidra Capital Credit, ha evidenziato come in questi mesi sia cresciuta la sensibilità degli imprenditori : «Spesso sono loro a bussare alla nostra porta per chiedere un intervento. In qualche modo è il segnale di un cambio di passo anche nella mentalità da parte degli imprenditori, che – complice la pandemia – si scoprono più propensi a valutare l’opportunità di un supporto esterno, sia in una logica di diversificazione del rischio, sia nella consapevolezza che nuove competenze, in alcuni casi, sono indispensabili.»
Marco Raccah, General Manager Aurora Recovery Capital, non esita a parlare di «responsabilità sociale dell’Utp, che spesso è uno specchio del Paese e delle sue potenzialità». E per Giovanni Gilli, presidente Intrum Italy, «è giunto il momento di allargare la platea degli investitori a cui offrire gli Utp. Il track record ancora non aiuta, ma si è innescato un processo virtuoso che può continuare, soprattutto se dal regolatore non ci saranno pressioni sulle banche a cedere più di quanto non serva». Per Guido Lombardo, chief investment officer Credito Fondiario, «altro elemento decisivo per il ritorno di chi investe è la qualità della piattaforma, la miglior garanzia di una gestione ottimale del sottostante e quindi dei ritorni possibili».
C’è inoltre un interesse crescente per le attività con sottostante immobiliare. «Anche perché adesso sul mercato – spiega Fabio Panzeri, direttore generale Servicing & Operations del Gruppo Prelios – si sta affermando il tema dei portafogli: l’ingresso di asset più articolati sicuramente favorirà l’accelerazione anche di questo mercato». Concorda Oscar Pittini, presidente Hera Holding: «L’industria si sta strutturando, e con essa la consapevolezza della sua rilevanza. Far ripartire un asset real estate significa movimentare un indotto importante con ricadute sociali ed economiche rilevanti».