«Abbiamo parlato con tanti interlocutori perché ci fa piacere e vogliamo parlare con tutti». Così pochi giorni fa Giuseppe Castagna, ceo di Banco Bpm, parlava delle strade del risiko per l’ex popolare lombardo-veneta. Ma, aggiungeva, «ormai siamo rimasti in pochi». E i pochi, guardando ai gruppi italiani, si riducono fondamentalmente a due: Bper e Unicredit.
Dietro le parole di Castagna si intravede un dibattito dentro il consiglio presieduto da Massimo Tononi tra chi propende per l’una o l’altra soluzione. Il mercato è in attesa che da aprile il nuovo ceo Andrea Orcel dia la rotta a Unicredit, su Mps o altrove. Orcel potrebbe valutare un’opa su Banco Bpm, per recuperare terreno su Intesa Sanpaolo-Ubi. È una strada che ad alcuni importanti soci di Banco Bpm come Davide Leone (5%) non dispiacerebbe. Ma c’è anche l’altra strada che Castagna sta valutando: la fusione con Bper, apprezzata anche dal primo azionista della banca emiliana, Carlo Cimbri di Unipol. In Banco Bpm, il fronte di soci italiani — le fondazioni (5%) e gli industriali Remo Girondi, Sandro Veronesi, Dario Tommasi (6,7%) — potrebbe sostenere Castagna nel tavolo con Bologna. La fusione avrebbe senso industriale, con Banco Bpm che porterebbe in dote le jv assicurative con Covea e Cattolica, dalle quali è in uscita. In più c’è il risparmio gestito. Ieri Alessandro Melzi D’Eril, ceo di Anima ha detto che in caso di fusione Banco Bpm-Bper «l’evoluzione naturale» sarà la fusione tra Arca sgr (al 57% di Bper) e Anima, il cui primo azionista è Banco Bpm. C’è però il tema del concambi. Banco Bpm oggi vale 3,2 miliardi, Bper 2,6 miliardi, e da un lato gli aspetti industriali, dall’altro quelli di governance peseranno in maniera decisiva nell’ambito di un fusione alla pari. E in ogni caso dovranno essere negoziati in modo da poter passare il vaglio dell’assemblea di Banco Bpm, ormai da tempo una public company.
Fonte: Il Corriere della Sera
«Abbiamo parlato con tanti interlocutori perché ci fa piacere e vogliamo parlare con tutti». Così pochi giorni fa Giuseppe Castagna, ceo di Banco Bpm, parlava delle strade del risiko per l’ex popolare lombardo-veneta. Ma, aggiungeva, «ormai siamo rimasti in pochi». E i pochi, guardando ai gruppi italiani, si riducono fondamentalmente a due: Bper e Unicredit.
Dietro le parole di Castagna si intravede un dibattito dentro il consiglio presieduto da Massimo Tononi tra chi propende per l’una o l’altra soluzione. Il mercato è in attesa che da aprile il nuovo ceo Andrea Orcel dia la rotta a Unicredit, su Mps o altrove. Orcel potrebbe valutare un’opa su Banco Bpm, per recuperare terreno su Intesa Sanpaolo-Ubi. È una strada che ad alcuni importanti soci di Banco Bpm come Davide Leone (5%) non dispiacerebbe. Ma c’è anche l’altra strada che Castagna sta valutando: la fusione con Bper, apprezzata anche dal primo azionista della banca emiliana, Carlo Cimbri di Unipol. In Banco Bpm, il fronte di soci italiani — le fondazioni (5%) e gli industriali Remo Girondi, Sandro Veronesi, Dario Tommasi (6,7%) — potrebbe sostenere Castagna nel tavolo con Bologna. La fusione avrebbe senso industriale, con Banco Bpm che porterebbe in dote le jv assicurative con Covea e Cattolica, dalle quali è in uscita. In più c’è il risparmio gestito. Ieri Alessandro Melzi D’Eril, ceo di Anima ha detto che in caso di fusione Banco Bpm-Bper «l’evoluzione naturale» sarà la fusione tra Arca sgr (al 57% di Bper) e Anima, il cui primo azionista è Banco Bpm. C’è però il tema del concambi. Banco Bpm oggi vale 3,2 miliardi, Bper 2,6 miliardi, e da un lato gli aspetti industriali, dall’altro quelli di governance peseranno in maniera decisiva nell’ambito di un fusione alla pari. E in ogni caso dovranno essere negoziati in modo da poter passare il vaglio dell’assemblea di Banco Bpm, ormai da tempo una public company.
Fonte: Il Corriere della Sera