20 agosto 2020 –
Più di 30mila aste immobiliari rinviate, per un valore di quasi 3,7 miliardi di euro. È questo l’effetto della sospensione dell’attività degli uffici giudiziari durante il periodo di lockdown. Un dato che, insieme al calo del 40% delle procedure di esecuzione immobiliare (quelle che portano alla vendita dei beni del debitore e al rimborso, spesso parziale, dei creditori), nel primo semestre di quest’anno, fotografa un’impasse che rischia di affondare un settore già caratterizzato da tempi lunghissimi (nel 2019 la durata media è stata di 4,6 anni e a fine anno risultavano ancora aperti più di 27mila fascicoli avviati oltre dieci anni prima) e di cancellare i passi avanti registrati negli ultimi anni.
Anche perché la ripartenza autunnale sarà tutt’altro che facile visto l’andamento negativo del mercato immobiliare anch’esso colpito dalla crisi economica innescata dal coronavirus: secondo l’ultimo rapporto di Nomisma, nel 2020, i prezzi del residenziale scenderanno del 2,6%, mentre il calo delle compravendite sarà del 18 per cento. In questo scenario la velocità nella chiusura delle esecuzioni immobiliari è fondamentale poiché, oltre a permettere al creditore di ottenere (in tutto o in parte) il dovuto, consente di recuperare liquidità e di reimmetterla nel sistema economico.
A disegnare il quadro è il sesto report messo a punto dal Tavolo di studio sulle esecuzioni T6. «Se nulla cambia, i tribunali torneranno ad essere pienamente operativi dopo la metà di settembre – spiega Stefano Scopigli, presidente dell’Osservatorio T6 – e il Dl Cura Italia ha bloccato le procedure esecutive relative all’abitazione principale (che rappresentano il 50% dell’attività) fino al 30 ottobre 2020. In pratica si tratta di uno stop di 270 giorni che determinerà un forte accumulo di arretrato».
Alle 30.815 aste rinviate nel periodo di lockdown dei tribunali si aggiungeranno, quindi, le procedure sulla casa ferme fino al 30 ottobre. Ma lo stop dell’attività giudiziaria ha tagliato anche le iscrizioni, riducendole del 40%: nel primo semestre (gennaio – giugno) le nuove procedure esecutive sono infatti passate dalle 22.319 del 2019 alle 13.381 del 2020.
Per il futuro, invece, il blocco si tradurrà di sicuro un allungamento dei tempi e frenerà il processo virtuoso di riduzione delle pendenze innescato prima. Nel 2019 grazie all’aumento della produttività dei tribunali, che sono stati capaci di definire un numero di fascicoli superiore a quelli iscritti nell’anno, l’arretrato è calato del 14%: a fine 2019 le pratiche da chiudere erano 204.602, contro le 239.869 di fine 2018.
Si è invece allungata di 5 mesi la durata media dei procedimenti, salita da 4,2 a 4,6 anni (da 1.538 a 1.688 giorni). Un dato che però, secondo l’Osservatorio, va letto insieme alla riduzione dell’arretrato e alla luce del sistema di calcolo utilizzato per ottenerlo. «Il nostro metodo è diverso da quello del ministero e si basa sulla durata delle singole procedure chiuse nell’anno esaminato – spiega Scopigli -. Ci consente quindi di calcolare i tempi della singola pratica ma è influenzato dalla definizione dei fascicoli più vecchi. L’aumento di durata può essere quindi spiegato in modo più ottimistico con il gran numero di procedimenti chiusi».
A parte alcuni tribunali che vantano performance più positive, la media europea di tre anni è comunque ancora lontana. Per il 13,4% delle 204.602 procedure aperte a fine 2019 (oltre 27mila fascicoli), il percorso giudiziario per il recupero dei crediti problematici è partito infatti più di dieci anni fa.
Ma la situazione è molto diversa da tribunale a tribunale. Le maggiori difficoltà sono al Sud: a Potenza il 51,8% delle pratiche è ultradecennale, a Matera il 43,3 e a Salerno il 40,7%. Dall’altra parte, senza alcun fascicolo con più di dieci anni ci sono i tribunali di Rimini, Gorizia, Aosta, Bolzano e Napoli Nord.
La differenza fra Nord e Sud emerge anche dall’esame dei tribunali che, secondo il calcolo della durata effettuato dall’Osservatorio T6, vantano i tempi più veloci e in linea con i valori europei. Sono infatti tutti localizzati al Centro-Nord: a Trieste per chiudere una procedura bastano infatti 2 anni e 5 giorni, a Ferrara 2 anni e 41 giorni mentre a Trento 2 anni e mezzo.
Fonte: Il Sole 24 Ore
20 agosto 2020 –
Più di 30mila aste immobiliari rinviate, per un valore di quasi 3,7 miliardi di euro. È questo l’effetto della sospensione dell’attività degli uffici giudiziari durante il periodo di lockdown. Un dato che, insieme al calo del 40% delle procedure di esecuzione immobiliare (quelle che portano alla vendita dei beni del debitore e al rimborso, spesso parziale, dei creditori), nel primo semestre di quest’anno, fotografa un’impasse che rischia di affondare un settore già caratterizzato da tempi lunghissimi (nel 2019 la durata media è stata di 4,6 anni e a fine anno risultavano ancora aperti più di 27mila fascicoli avviati oltre dieci anni prima) e di cancellare i passi avanti registrati negli ultimi anni.
Anche perché la ripartenza autunnale sarà tutt’altro che facile visto l’andamento negativo del mercato immobiliare anch’esso colpito dalla crisi economica innescata dal coronavirus: secondo l’ultimo rapporto di Nomisma, nel 2020, i prezzi del residenziale scenderanno del 2,6%, mentre il calo delle compravendite sarà del 18 per cento. In questo scenario la velocità nella chiusura delle esecuzioni immobiliari è fondamentale poiché, oltre a permettere al creditore di ottenere (in tutto o in parte) il dovuto, consente di recuperare liquidità e di reimmetterla nel sistema economico.
A disegnare il quadro è il sesto report messo a punto dal Tavolo di studio sulle esecuzioni T6. «Se nulla cambia, i tribunali torneranno ad essere pienamente operativi dopo la metà di settembre – spiega Stefano Scopigli, presidente dell’Osservatorio T6 – e il Dl Cura Italia ha bloccato le procedure esecutive relative all’abitazione principale (che rappresentano il 50% dell’attività) fino al 30 ottobre 2020. In pratica si tratta di uno stop di 270 giorni che determinerà un forte accumulo di arretrato».
Alle 30.815 aste rinviate nel periodo di lockdown dei tribunali si aggiungeranno, quindi, le procedure sulla casa ferme fino al 30 ottobre. Ma lo stop dell’attività giudiziaria ha tagliato anche le iscrizioni, riducendole del 40%: nel primo semestre (gennaio – giugno) le nuove procedure esecutive sono infatti passate dalle 22.319 del 2019 alle 13.381 del 2020.
Per il futuro, invece, il blocco si tradurrà di sicuro un allungamento dei tempi e frenerà il processo virtuoso di riduzione delle pendenze innescato prima. Nel 2019 grazie all’aumento della produttività dei tribunali, che sono stati capaci di definire un numero di fascicoli superiore a quelli iscritti nell’anno, l’arretrato è calato del 14%: a fine 2019 le pratiche da chiudere erano 204.602, contro le 239.869 di fine 2018.
Si è invece allungata di 5 mesi la durata media dei procedimenti, salita da 4,2 a 4,6 anni (da 1.538 a 1.688 giorni). Un dato che però, secondo l’Osservatorio, va letto insieme alla riduzione dell’arretrato e alla luce del sistema di calcolo utilizzato per ottenerlo. «Il nostro metodo è diverso da quello del ministero e si basa sulla durata delle singole procedure chiuse nell’anno esaminato – spiega Scopigli -. Ci consente quindi di calcolare i tempi della singola pratica ma è influenzato dalla definizione dei fascicoli più vecchi. L’aumento di durata può essere quindi spiegato in modo più ottimistico con il gran numero di procedimenti chiusi».
A parte alcuni tribunali che vantano performance più positive, la media europea di tre anni è comunque ancora lontana. Per il 13,4% delle 204.602 procedure aperte a fine 2019 (oltre 27mila fascicoli), il percorso giudiziario per il recupero dei crediti problematici è partito infatti più di dieci anni fa.
Ma la situazione è molto diversa da tribunale a tribunale. Le maggiori difficoltà sono al Sud: a Potenza il 51,8% delle pratiche è ultradecennale, a Matera il 43,3 e a Salerno il 40,7%. Dall’altra parte, senza alcun fascicolo con più di dieci anni ci sono i tribunali di Rimini, Gorizia, Aosta, Bolzano e Napoli Nord.
La differenza fra Nord e Sud emerge anche dall’esame dei tribunali che, secondo il calcolo della durata effettuato dall’Osservatorio T6, vantano i tempi più veloci e in linea con i valori europei. Sono infatti tutti localizzati al Centro-Nord: a Trieste per chiudere una procedura bastano infatti 2 anni e 5 giorni, a Ferrara 2 anni e 41 giorni mentre a Trento 2 anni e mezzo.
Fonte: Il Sole 24 Ore