Aquileia Capital Service (ACS), azienda specializzata nella gestione di crediti deteriorati, ha confermato un nuovo e massiccio taglio del personale. Durante l’ultimo incontro con i sindacati, avvenuto venerdì 27 settembre, la società ha ribadito la decisione di ridurre drasticamente la forza lavoro nella sede principale di Tavagnacco (Udine) e di chiudere definitivamente gli uffici di Roma e Milano. Questo piano comporterà il licenziamento di 66 dipendenti su un totale di 76, con la dismissione prevista per la fine dell’anno.

La notizia dei 66 licenziamenti arriva pochi mesi dopo un altro significativo ridimensionamento. Nel dicembre 2023, infatti, ACS aveva già proceduto con il licenziamento di 50 dipendenti nella stessa sede di Tavagnacco. Questa nuova procedura di riorganizzazione è stata avviata l’8 agosto scorso, innescata da decisioni legate alla proprietà della società, Bain Capital, un fondo statunitense di private equity che ha acquisito il controllo di ACS nel 2020.

Gli esuberi si concentreranno principalmente nella sede friulana di Tavagnacco, dove saranno coinvolti 43 dei 53 lavoratori. Tuttavia, il colpo più duro lo subiranno gli uffici di Roma e Milano, dove verranno licenziati tutti i 23 dipendenti. La procedura formale di licenziamento collettivo è stata avviata il 30 settembre, con un incontro tra il management e le organizzazioni sindacali fissato per la prima metà di ottobre.

I rappresentanti sindacali hanno espresso grande frustrazione e preoccupazione per la situazione. Andrea Rigonat (Fisac Cgil), Guido Fasano (Fabi) e Gennaro Manco (First Cisl) di Udine hanno dichiarato che ACS si è mostrata completamente indisponibile a prendere in considerazione soluzioni alternative ai licenziamenti. Secondo i sindacati, questa scelta è stata dettata dal principale cliente e proprietario di ACS, Bain Capital, che ha deciso di affidare i contratti di special servicing a un’altra azienda, limitando il futuro di ACS al solo master servicing, una forma di gestione ridotta dei crediti.

“La società ha mostrato un’indisponibilità totale nel cercare soluzioni alternative”, hanno sottolineato i segretari provinciali dei sindacati. L’assurdità, secondo loro, è che “il lavoro non manca”. I dieci dipendenti che resteranno a Tavagnacco saranno impiegati esclusivamente per completare le pratiche burocratiche legate alla chiusura.

I sindacati hanno espresso un profondo rammarico per la mancanza di collaborazione da parte dell’azienda e del socio proprietario nella ricerca di soluzioni che potessero limitare l’impatto sociale dei licenziamenti. Nonostante ciò, hanno promesso di continuare a lottare per i lavoratori, portando il caso davanti a tutte le sedi competenti, incluso il Ministero del Lavoro.

La richiesta principale dei sindacati è di ridurre il numero dei licenziamenti e, in caso di un’ulteriore risposta negativa da parte dell’azienda, di trovare soluzioni di sostegno economico per i dipendenti coinvolti.

 

Questa nuova ondata di licenziamenti rappresenta un ulteriore passo verso la completa dismissione di ACS, che un tempo era una realtà occupazionale importante in Friuli Venezia Giulia. I sindacati continuano a denunciare l’iniquità di una decisione che, secondo loro, non rispecchia la reale domanda di lavoro, e rimane da vedere quale sarà l’esito dei prossimi incontri tra le parti. Nel frattempo, i lavoratori si trovano di fronte a un futuro incerto, con la prospettiva di perdere il loro impiego entro la fine dell’anno.

 

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