Una delle novità più importanti introdotte dalla Riforma Cartabia è rappresentata dal ruolo sempre più centrale degli strumenti di alternative dispute resolution: in particolare le nuove previsioni normative hanno valorizzato la portata della mediazione, ampliandone l’ambito di applicazione grazie ad un incremento delle materie obbligatorie con effetto deflattivo sul carico di lavoro dei Tribunali. Se nel 2022, infatti, tale onere interessava l’8,5% dei giudizi civili, oggi la percentuale sale a circa il 20% dei contenziosi civili.
In particolare, la novellata legge sulle mediazioni ne prevede l’obbligatorietà, quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale, anche per controversie in materia di fornitura di energia elettrica e gas, disponendo altresì (in caso di giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo) un generale obbligo di attivazione della domanda in capo al convenuto opposto.
Occorre tuttavia rilevare un mancato coordinamento tra le nuove diposizioni in materia di mediazione e i testi Regolamentari di settore che, già da tempo, avevano previsto per il consumatore strumenti conciliativi di fronte ad Organismi specializzati nel gestire problematiche peculiari legate alla fornitura di energia elettrica o gas.
Ci riferiamo in particolare alle previsioni contenute nel Testo Integrato per la Conciliazione (T.I.CO), in vigore sin dal 2017, che – come noto – disciplina le procedure di risoluzione extragiudiziale delle controversie tra utenti finali e operatori nei settori regolati dall’autorità per l’Energia elettrica, il gas ed il sistema idrico, prevendo che siano i primi a dover tentare la conciliazione stragiudiziale (tentativo previsto, anche in tale caso, quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale in linea con le disposizioni di cui al Codice del Consumo – art. 141 comma 6, lettera c).
Se da un lato, quindi, sembrerebbe essere il convenuto opposto (Fornitore di energia) a doversi muovere per primo attivando una mediazione obbligatoria, dall’altro l’attore opponente (cliente finale / consumatore) sembrerebbe onerato dal dover attivare una conciliazione T.I.CO…e per entrambi pende la spada di Damocle dell’improcedibilità nel caso di mancata attivazione del corretto strumento…
Come uscire quindi da questo cul-de-sac? Quale strumento prediligere in caso di opposizione a decreto ingiuntivo?
Come sempre in questi casi, nell’attesa che vengano effettuati i dovuti correttivi a livello normativo, ci lasciamo guidare dalla giurisprudenza che, entrata nel merito della questione, sembra per ora prediligere l’applicabilità del T.I.CO: ciò in quanto la procedura di conciliazione risulta più agevolmente accessibile per la parte, a costi estremamente contenuti (sicuramente meno incisivi rispetto alle nuove misure tabellari previste per la mediazione), consentendo una valida way out per la risoluzione delle controversie in tempi molto rapidi.
Quella del T.I.CO rappresentata allo stato, a tutti gli effetti, una disciplina più favorevole per il consumatore-cliente finale in grado di ristabilire la fisiologica simmetria con il Fornitore, necessaria per instaurare una conciliazione definibile come “paritetica” ai sensi di quanto previsto dal Codice del Consumo e dalle Direttive Comunitarie.
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Una delle novità più importanti introdotte dalla Riforma Cartabia è rappresentata dal ruolo sempre più centrale degli strumenti di alternative dispute resolution: in particolare le nuove previsioni normative hanno valorizzato la portata della mediazione, ampliandone l’ambito di applicazione grazie ad un incremento delle materie obbligatorie con effetto deflattivo sul carico di lavoro dei Tribunali. Se nel 2022, infatti, tale onere interessava l’8,5% dei giudizi civili, oggi la percentuale sale a circa il 20% dei contenziosi civili.
In particolare, la novellata legge sulle mediazioni ne prevede l’obbligatorietà, quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale, anche per controversie in materia di fornitura di energia elettrica e gas, disponendo altresì (in caso di giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo) un generale obbligo di attivazione della domanda in capo al convenuto opposto.
Occorre tuttavia rilevare un mancato coordinamento tra le nuove diposizioni in materia di mediazione e i testi Regolamentari di settore che, già da tempo, avevano previsto per il consumatore strumenti conciliativi di fronte ad Organismi specializzati nel gestire problematiche peculiari legate alla fornitura di energia elettrica o gas.
Ci riferiamo in particolare alle previsioni contenute nel Testo Integrato per la Conciliazione (T.I.CO), in vigore sin dal 2017, che – come noto – disciplina le procedure di risoluzione extragiudiziale delle controversie tra utenti finali e operatori nei settori regolati dall’autorità per l’Energia elettrica, il gas ed il sistema idrico, prevendo che siano i primi a dover tentare la conciliazione stragiudiziale (tentativo previsto, anche in tale caso, quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale in linea con le disposizioni di cui al Codice del Consumo – art. 141 comma 6, lettera c).
Se da un lato, quindi, sembrerebbe essere il convenuto opposto (Fornitore di energia) a doversi muovere per primo attivando una mediazione obbligatoria, dall’altro l’attore opponente (cliente finale / consumatore) sembrerebbe onerato dal dover attivare una conciliazione T.I.CO…e per entrambi pende la spada di Damocle dell’improcedibilità nel caso di mancata attivazione del corretto strumento…
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Come sempre in questi casi, nell’attesa che vengano effettuati i dovuti correttivi a livello normativo, ci lasciamo guidare dalla giurisprudenza che, entrata nel merito della questione, sembra per ora prediligere l’applicabilità del T.I.CO: ciò in quanto la procedura di conciliazione risulta più agevolmente accessibile per la parte, a costi estremamente contenuti (sicuramente meno incisivi rispetto alle nuove misure tabellari previste per la mediazione), consentendo una valida way out per la risoluzione delle controversie in tempi molto rapidi.
Quella del T.I.CO rappresentata allo stato, a tutti gli effetti, una disciplina più favorevole per il consumatore-cliente finale in grado di ristabilire la fisiologica simmetria con il Fornitore, necessaria per instaurare una conciliazione definibile come “paritetica” ai sensi di quanto previsto dal Codice del Consumo e dalle Direttive Comunitarie.
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