Le imprese finanziariamente virtuose – meno rischiose dal punto di vista creditizio, con indicatori di sostenibilità positivi e un minor tasso di infortuni sul lavoro e di contratti a termine – tendono a essere quelle con un migliore bilanciamento di genere, specialmente ai livelli dirigenziali. Le aziende con un CEO donna e un CdA prevalentemente maschile mostrano un rischio di default inferiore al 3% (2,97%), rispetto a un rischio più che doppio nelle imprese senza mix di genere: 6,79% per le aziende a totale guida maschile e 7,29% per quelle a guida femminile. La situazione è intermedia (4,43%) per le aziende con un CdA con ampia rappresentanza femminile e un CEO uomo. Questi dati sono indipendenti dalle dimensioni aziendali e dal livello di fatturato.
A rivelarlo è Cerved Rating Agency, specializzata nella valutazione del merito creditizio delle imprese e nella misurazione delle performance ESG. L’agenzia ha analizzato oltre 14.000 società di capitali, focalizzandosi poi su un sottocampione di 9.500 imprese con un amministratore delegato, esaminando le diverse combinazioni di bilanciamento di genere tra CEO e CdA.
“Il bilanciamento di genere nelle figure apicali aziendali rappresenta un’importante leva di vantaggio competitivo che è nell’interesse del Paese promuovere e valorizzare”, commenta Fabrizio Negri, Amministratore Delegato di Cerved Rating Agency.
Le 9.500 imprese del campione sono state divise in due gruppi: uno con bilanciamento di genere (1.425 aziende) e uno senza (8.075). Il primo gruppo, che fattura complessivamente quasi 1.200 miliardi di euro e impiega oltre 780.000 persone, mostra margini di redditività superiori (Ebitda margin del 8,72% contro 8,22%) e livelli di indebitamento mediani più contenuti (rapporto tra posizione finanziaria netta e patrimonio netto di 0.33 contro 0.36).
Geograficamente, le imprese con bilanciamento di genere si concentrano maggiormente al Nord (1.059 aziende, pari al 17,78%) e al Centro (227 aziende, 14,09%), mentre al Sud sono meno diffuse (139 aziende, 7,19%). Tuttavia, in tutte le regioni queste imprese presentano livelli di rischiosità inferiori di almeno 2 punti percentuali rispetto alle aziende senza bilanciamento di genere, con il Centro che mostra una differenza addirittura di quasi 3,5 punti percentuali.
Le regioni con una più alta percentuale di imprese gender-balanced sono la Valle d’Aosta (23,33%), il Friuli-Venezia Giulia (21,66%), il Piemonte (20,62%), la Liguria (18,98%), la Lombardia (17,36%), l’Emilia Romagna (17,23%), la Toscana (16,55%) e il Veneto (15,64%). Al Sud, invece, la Calabria presenta solo il 5,08% di imprese bilanciate, nonostante il livello di rischio sia significativamente inferiore (dal 8,62% al 4,24%). Anche altre regioni del Sud come Sicilia, Basilicata, Puglia, Molise e Campania mostrano percentuali basse ma una significativa riduzione del rischio di default per le imprese bilanciate.
Anche nelle imprese quotate si osservano gli stessi meccanismi: le probabilità di default salgono fino quasi al 5% nelle società senza bilanciamento di genere, contro il 2% delle altre.
Le imprese finanziariamente virtuose – meno rischiose dal punto di vista creditizio, con indicatori di sostenibilità positivi e un minor tasso di infortuni sul lavoro e di contratti a termine – tendono a essere quelle con un migliore bilanciamento di genere, specialmente ai livelli dirigenziali. Le aziende con un CEO donna e un CdA prevalentemente maschile mostrano un rischio di default inferiore al 3% (2,97%), rispetto a un rischio più che doppio nelle imprese senza mix di genere: 6,79% per le aziende a totale guida maschile e 7,29% per quelle a guida femminile. La situazione è intermedia (4,43%) per le aziende con un CdA con ampia rappresentanza femminile e un CEO uomo. Questi dati sono indipendenti dalle dimensioni aziendali e dal livello di fatturato.
A rivelarlo è Cerved Rating Agency, specializzata nella valutazione del merito creditizio delle imprese e nella misurazione delle performance ESG. L’agenzia ha analizzato oltre 14.000 società di capitali, focalizzandosi poi su un sottocampione di 9.500 imprese con un amministratore delegato, esaminando le diverse combinazioni di bilanciamento di genere tra CEO e CdA.
“Il bilanciamento di genere nelle figure apicali aziendali rappresenta un’importante leva di vantaggio competitivo che è nell’interesse del Paese promuovere e valorizzare”, commenta Fabrizio Negri, Amministratore Delegato di Cerved Rating Agency.
Le 9.500 imprese del campione sono state divise in due gruppi: uno con bilanciamento di genere (1.425 aziende) e uno senza (8.075). Il primo gruppo, che fattura complessivamente quasi 1.200 miliardi di euro e impiega oltre 780.000 persone, mostra margini di redditività superiori (Ebitda margin del 8,72% contro 8,22%) e livelli di indebitamento mediani più contenuti (rapporto tra posizione finanziaria netta e patrimonio netto di 0.33 contro 0.36).
Geograficamente, le imprese con bilanciamento di genere si concentrano maggiormente al Nord (1.059 aziende, pari al 17,78%) e al Centro (227 aziende, 14,09%), mentre al Sud sono meno diffuse (139 aziende, 7,19%). Tuttavia, in tutte le regioni queste imprese presentano livelli di rischiosità inferiori di almeno 2 punti percentuali rispetto alle aziende senza bilanciamento di genere, con il Centro che mostra una differenza addirittura di quasi 3,5 punti percentuali.
Le regioni con una più alta percentuale di imprese gender-balanced sono la Valle d’Aosta (23,33%), il Friuli-Venezia Giulia (21,66%), il Piemonte (20,62%), la Liguria (18,98%), la Lombardia (17,36%), l’Emilia Romagna (17,23%), la Toscana (16,55%) e il Veneto (15,64%). Al Sud, invece, la Calabria presenta solo il 5,08% di imprese bilanciate, nonostante il livello di rischio sia significativamente inferiore (dal 8,62% al 4,24%). Anche altre regioni del Sud come Sicilia, Basilicata, Puglia, Molise e Campania mostrano percentuali basse ma una significativa riduzione del rischio di default per le imprese bilanciate.
Anche nelle imprese quotate si osservano gli stessi meccanismi: le probabilità di default salgono fino quasi al 5% nelle società senza bilanciamento di genere, contro il 2% delle altre.