Commento di Marcello Grimaldi, Presidente di UNIREC
La prima sezione penale della Corte di Cassazione – con la sentenza n. 26018 del 16 giugno 2023 – è tornata ancora una volta sul delicato tema del bilanciamento tra il diritto del creditore all’esatto adempimento e l’aspettativa del debitore di vedere esercitata correttamente l’azione di recupero.
La Suprema Corte ha annullato la condanna del legale rappresentante di una società di gestione e tutela del credito per il reato di molestie ex art. 660 c.p., concretizzatosi in una serie di telefonate al debitore finalizzate a favorire una soluzione bonaria. Secondo la Cassazione il Tribunale ha commesso l’errore di non tenere conto della documentazione prodotta dalla difesa da cui risultava che l’amministratore della società aveva impartito istruzioni organizzative dirette “a garantire la limitazione dei contatti telefonici a determinati e giorni della settimana e a mantenere le iniziative nei binari corretti dell’interlocuzione negoziale”. A tali condizioni, viene meno la responsabilità del legale rappresentate tanto a titolo di dolo, quanto di colpa.
Quindi, gli Ermellini hanno affermato il principio secondo cui il legale rappresentante di una agenzia di recupero non è responsabile del reato di molestie, laddove abbia predisposto un’organizzazione ed un sistema di procedure ed istruzioni volti a garantire che il percorso di confronto con il consumatore si svolga secondo i criteri di correttezza.
In tale quadro, un sicuro parametro di riferimento per individuare un modello di correttezza nell’azione delle agenzie di recupero è costituito dal Codice di condotta, adottato dal Forum Unirec-Consumatori ai sensi dell’articolo 27 bis del Codice del Consumo, quindi vincolante per la società ricorrente ed alla base della policy interna richiamata dalla sentenza.
Detto Codice, nel regolare i contatti del debitore e di terzi, fissa il limite di un colloquio effettivo al giorno e massimo tre la settimana. Sono “colloqui effettivi” quelli in cui l’operatore si è effettivamente intrattenuto con l’interlocutore. Quindi i tentativi andati a vuoto non rilevano – né potrebbe essere diversamente – ai fini del rispetto dei limiti imposti dal Codice di condotta.
A questo punto, senza entrare nel merito della complessa vicenda, non ci si può esimere dall’osservare che al debitore sarebbe bastato rispondere ad uno solo dei tentativi di contatto per sottrarsi ad ulteriori telefonate.
Del resto, rispondere al contatto telefonico e affrontare le ragioni creditorie in un colloquio costruttivo avrebbe determinato la possibilità di avviare una trattativa di tipo consulenziale a tutto vantaggio dell’obbligato, così da evitare – secondo il ‘modello di recupero sostenibile’ delineato dal Codice di condotta dell’industry – che il creditore intraprenda azioni di carattere esecutivo.
Non si può dimenticare, infatti, che i contatti fra l’agenzia di recupero e il debitore si svolgono fra soggetti “qualificati” in quanto controparti del rapporto obbligatorio inadempiuto. Nell’adempimento delle obbligazioni, le parti hanno il dovere di comportarsi secondo correttezza e buona fede e, quindi, il debitore non può pretendere di sottrarsi ad ogni tentativo di contatto da parte del suo creditore. Quest’ultimo non può essere trattato alla stregua del venditore a distanza di beni o servizi di cui non avvertiamo alcuna necessità.
L’agenzia di recupero, infatti, ha buon titolo per agire a tutela dei diritti del creditore, ma al contempo cerca di porre rimedio all’inadempimento del debitore, senza ricorrere all’espropriazione forzata, bensì muovendosi in un’ottica di composizione bonaria della possibile lite giudiziaria.
In conclusione, evitare di rispondere al telefono non costituisce una via efficace per non adempiere alle proprie obbligazioni. Il protrarsi dell’inadempimento e il rifiuto di dialogo con chi propone una soluzione conciliativa, espone irrimediabilmente il debitore a conseguenze ben più gravi non solo per l’aggravio delle spese e degli interessi, ma anche – e soprattutto – perché a quel punto il creditore potrebbe decidere di procedere al pignoramento.
Ma per dare piena attuazione al modello di recupero sostenibile delineato dal Codice di condotta, è necessario contattare il debitore per offrirgli la possibilità di avviare un confronto. Ecco perché il Codice di condotta dà rilievo solo ai “colloqui effettivi”. Nella misura in cui tale un modello sia correttamente applicato, si deve escludere che la condotta dell’agenzia di recupero possa dar luogo al reato di molestie.
Questa deve essere la chiave di lettura della decisione della Suprema Corte, nell’interesse non solo delle società di tutela del credito e dei creditori ma dell’intero sistema economico che si confronta quotidianamente con la difficoltà di gestione del debito e del credito deteriorato.
Commento di Marcello Grimaldi, Presidente di UNIREC
La prima sezione penale della Corte di Cassazione – con la sentenza n. 26018 del 16 giugno 2023 – è tornata ancora una volta sul delicato tema del bilanciamento tra il diritto del creditore all’esatto adempimento e l’aspettativa del debitore di vedere esercitata correttamente l’azione di recupero.
La Suprema Corte ha annullato la condanna del legale rappresentante di una società di gestione e tutela del credito per il reato di molestie ex art. 660 c.p., concretizzatosi in una serie di telefonate al debitore finalizzate a favorire una soluzione bonaria. Secondo la Cassazione il Tribunale ha commesso l’errore di non tenere conto della documentazione prodotta dalla difesa da cui risultava che l’amministratore della società aveva impartito istruzioni organizzative dirette “a garantire la limitazione dei contatti telefonici a determinati e giorni della settimana e a mantenere le iniziative nei binari corretti dell’interlocuzione negoziale”. A tali condizioni, viene meno la responsabilità del legale rappresentate tanto a titolo di dolo, quanto di colpa.
Quindi, gli Ermellini hanno affermato il principio secondo cui il legale rappresentante di una agenzia di recupero non è responsabile del reato di molestie, laddove abbia predisposto un’organizzazione ed un sistema di procedure ed istruzioni volti a garantire che il percorso di confronto con il consumatore si svolga secondo i criteri di correttezza.
In tale quadro, un sicuro parametro di riferimento per individuare un modello di correttezza nell’azione delle agenzie di recupero è costituito dal Codice di condotta, adottato dal Forum Unirec-Consumatori ai sensi dell’articolo 27 bis del Codice del Consumo, quindi vincolante per la società ricorrente ed alla base della policy interna richiamata dalla sentenza.
Detto Codice, nel regolare i contatti del debitore e di terzi, fissa il limite di un colloquio effettivo al giorno e massimo tre la settimana. Sono “colloqui effettivi” quelli in cui l’operatore si è effettivamente intrattenuto con l’interlocutore. Quindi i tentativi andati a vuoto non rilevano – né potrebbe essere diversamente – ai fini del rispetto dei limiti imposti dal Codice di condotta.
A questo punto, senza entrare nel merito della complessa vicenda, non ci si può esimere dall’osservare che al debitore sarebbe bastato rispondere ad uno solo dei tentativi di contatto per sottrarsi ad ulteriori telefonate.
Del resto, rispondere al contatto telefonico e affrontare le ragioni creditorie in un colloquio costruttivo avrebbe determinato la possibilità di avviare una trattativa di tipo consulenziale a tutto vantaggio dell’obbligato, così da evitare – secondo il ‘modello di recupero sostenibile’ delineato dal Codice di condotta dell’industry – che il creditore intraprenda azioni di carattere esecutivo.
Non si può dimenticare, infatti, che i contatti fra l’agenzia di recupero e il debitore si svolgono fra soggetti “qualificati” in quanto controparti del rapporto obbligatorio inadempiuto. Nell’adempimento delle obbligazioni, le parti hanno il dovere di comportarsi secondo correttezza e buona fede e, quindi, il debitore non può pretendere di sottrarsi ad ogni tentativo di contatto da parte del suo creditore. Quest’ultimo non può essere trattato alla stregua del venditore a distanza di beni o servizi di cui non avvertiamo alcuna necessità.
L’agenzia di recupero, infatti, ha buon titolo per agire a tutela dei diritti del creditore, ma al contempo cerca di porre rimedio all’inadempimento del debitore, senza ricorrere all’espropriazione forzata, bensì muovendosi in un’ottica di composizione bonaria della possibile lite giudiziaria.
In conclusione, evitare di rispondere al telefono non costituisce una via efficace per non adempiere alle proprie obbligazioni. Il protrarsi dell’inadempimento e il rifiuto di dialogo con chi propone una soluzione conciliativa, espone irrimediabilmente il debitore a conseguenze ben più gravi non solo per l’aggravio delle spese e degli interessi, ma anche – e soprattutto – perché a quel punto il creditore potrebbe decidere di procedere al pignoramento.
Ma per dare piena attuazione al modello di recupero sostenibile delineato dal Codice di condotta, è necessario contattare il debitore per offrirgli la possibilità di avviare un confronto. Ecco perché il Codice di condotta dà rilievo solo ai “colloqui effettivi”. Nella misura in cui tale un modello sia correttamente applicato, si deve escludere che la condotta dell’agenzia di recupero possa dar luogo al reato di molestie.
Questa deve essere la chiave di lettura della decisione della Suprema Corte, nell’interesse non solo delle società di tutela del credito e dei creditori ma dell’intero sistema economico che si confronta quotidianamente con la difficoltà di gestione del debito e del credito deteriorato.