Il Garante della privacy ha sanzionato un operatore bancario/finanziario, con provvedimento del 22 aprile scorso, perché riconosciuto responsabile di aver posto in essere una attività di recupero crediti “non conforme ai principi di liceità, correttezza e trasparenza, nonché di minimizzazione dei dati”.
Questa la vicenda in sintesi.
Su Tizio gravavano – e gravano ancora – tre finanziamenti personali, concessi dall’istituto sanzionato.
Uno solo di questi rapporti, peraltro, era garantito tramite fideiussione rilasciata da Mevia, moglie di Tizio medesimo.
Per errore – ammesso e definito tale dallo stesso istituto – venivano inviati a Mevia due sms contenenti informazioni relative ai (mancati) pagamenti dei finanziamenti di Tizio verso i quali, tuttavia, ella non si era costituita garante.
In sostanza, per mezzo di quelle due comunicazioni digitali, la moglie è venuta a conoscenza dello stato di inadempimento del marito, con riferimento a rapporti di credito cui lei risultava formalmente estranea.
L’importo della sanzione comminata dall’Authority è pari ad euro diecimila.
Da tempo il Garante non si pronunciava nel merito di una attività di recupero stragiudiziale del credito, poiché il ben noto provvedimento generale del 30 novembre 2005 è rimasto sostanzialmente privo di applicazioni concrete.
L’occasione offerta dalla recente pronuncia è quindi senz’altro interessante e foriera di alcune riflessioni, da appuntare sia sul caso contingente che sulla disciplina in generale.
Della vicenda particolare, paradossalmente, colpisce di primo acchito la lievità della punizione.
Se si considera che l’attuale normativa, per violazioni di questo genere, prevede che le sanzioni pecuniarie possano colpire fino al 2% del fatturato annuo del contravventore il quale, nel caso di specie, ne vanta uno pari all’incirca ad una decina di miliardi di euro, si comprende come il Garante abbia inteso muoversi con polso particolarmente leggero.
L’approccio morbido si deve, probabilmente, ad alcuni fattori: l’oggettiva tenuità della condotta contestata; il fatto che l’istruttoria non abbia rilevato alcuna procedura scorretta, ma solo un errore umano, incastonato in processi virtuosi; la collaborazione ineccepibile prestata dall’istituto durante tutto il giudizio.
Soprattutto gli ultimi due elementi appaiono rimarchevoli.
In tutta evidenza, sul piano sanzionatorio hanno inciso, e non poco, le procedure generali dell’impresa che, correttamente impostate, hanno consentito, verificatosi un errore, di vedersi applicare un criterio solo blandamente punitivo.
Allo stesso modo, l’atteggiamento pro-attivo tenuto successivamente all’evento dannoso, finalizzato a mitigarne gli effetti, è risultato meritevole di ulteriori attenuanti sul piano sanzionatorio.
Lo stesso operatore sanzionato ha ammesso di aver compiuto un errore, che ha identificato nell’aver inserito, all’interno del proprio gestionale, il numero di telefono della moglie come utilizzabile per comunicazioni riguardanti tutti i finanziamenti del marito, mentre lei ne aveva garantito solo uno.
Quindi tutto bene? Comprensiva sanzione di fronte ad evidente violazione?
Può darsi, ma sia consentita a chi scrive qualche considerazione di carattere sistemico, perché se comunicare informazioni ad un soggetto estraneo al debito configura sempre, senza eccezione alcuna, un illecito, allora un problema c’è e non è di poco conto.
L’approccio formalmente ineccepibile della normativa e dell’Autorità deputata a vigilare sul suo rispetto, difatti, forse non coglie, nella sostanza, le peculiarità proprie delle attività stragiudiziali di tutela del credito.
I soggetti terzi, per quanto banale possa apparire tale considerazione, esistono.
Chi opera in questo settore vi si imbatte con fisiologica frequenza, non può evitarlo, e in qualche modo è costretto a parlarci.
Ci si dovrebbe rinchiudere nel silenzio, di fronte alla moglie del debitore che risponde al telefono o che apre la porta, e dileguarsi prima che qualche parola di troppo sfugga?
Anche se si potesse, non è detto che ad un’altra Autorità pubblica, il Garante della Concorrenza e del Mercato, tale condotta starebbe bene.
La troppa riservatezza, questo racconta l’esperienza, potrebbe essere considerata contraria ai principi del codice del consumo.
Tempo addietro alcuni operatori, rinchiusi nel silenzio per amor di privacy, si sono visti contestare dall’Antitrust l’aver posto in essere pratiche commerciali scorrette, poiché “il rintraccio e il recupero telefonico del credito insoluto anche presso terzi è suscettibile di esercitare nei riguardi della persona ricercata una tensione nel prendere contatto col professionista per conoscere il motivo del rintraccio avvenuto addirittura presso terzi e di porla in uno stato di incertezza circa i sottaciuti motivi della chiamata”.
Per un Garante, quindi, non devono rivelarsi ai terzi informazioni relative al rapporto obbligatorio di cui è parte il debitore, mentre per l’altro, non farlo potrebbe porre il contraddittore in un indebito stato di incertezza.
Eppure, lo si ribadisce, a prescindere dalla volontà degli operatori del settore, che di sicuro ne farebbero a meno, i terzi esistono.
Un ulteriore tassello: i terzi non solo esistono, ma spesso, pur se formalmente estranei al debito, non risultano affatto indenni rispetto alle conseguenze giuridiche dell’inadempimento.
Fino a che punto dev’essere tutelata la riservatezza del debitore che non paga le bollette della luce di casa? Fino a che moglie e figli non rimangono al buio?
Il provvedimento del Garante Privacy del 30 novembre 2005 forse si era reso conto della delicatezza dell’argomento, e nel trattarlo si era guardato bene dal porre un veto assoluto, disponendo che a violare i principi di liceità e correttezza del trattamento fossero unicamente le comunicazioni ingiustificate di dati riservati del debitore a terzi.
La genericità dell’anzidetta formula, tuttavia, non ha mai consentito di distinguere con precisione gli interventi indebiti da quelli assistiti da giusta causa.
Non v’è dubbio che, su un tema così importante, un intervento chiarificatore, che tenesse nella debita considerazione gli interessi legittimi di tutte le parti coinvolte, risulterebbe utile e senz’altro più che auspicabile.
Il Garante della privacy ha sanzionato un operatore bancario/finanziario, con provvedimento del 22 aprile scorso, perché riconosciuto responsabile di aver posto in essere una attività di recupero crediti “non conforme ai principi di liceità, correttezza e trasparenza, nonché di minimizzazione dei dati”.
Questa la vicenda in sintesi.
Su Tizio gravavano – e gravano ancora – tre finanziamenti personali, concessi dall’istituto sanzionato.
Uno solo di questi rapporti, peraltro, era garantito tramite fideiussione rilasciata da Mevia, moglie di Tizio medesimo.
Per errore – ammesso e definito tale dallo stesso istituto – venivano inviati a Mevia due sms contenenti informazioni relative ai (mancati) pagamenti dei finanziamenti di Tizio verso i quali, tuttavia, ella non si era costituita garante.
In sostanza, per mezzo di quelle due comunicazioni digitali, la moglie è venuta a conoscenza dello stato di inadempimento del marito, con riferimento a rapporti di credito cui lei risultava formalmente estranea.
L’importo della sanzione comminata dall’Authority è pari ad euro diecimila.
Da tempo il Garante non si pronunciava nel merito di una attività di recupero stragiudiziale del credito, poiché il ben noto provvedimento generale del 30 novembre 2005 è rimasto sostanzialmente privo di applicazioni concrete.
L’occasione offerta dalla recente pronuncia è quindi senz’altro interessante e foriera di alcune riflessioni, da appuntare sia sul caso contingente che sulla disciplina in generale.
Della vicenda particolare, paradossalmente, colpisce di primo acchito la lievità della punizione.
Se si considera che l’attuale normativa, per violazioni di questo genere, prevede che le sanzioni pecuniarie possano colpire fino al 2% del fatturato annuo del contravventore il quale, nel caso di specie, ne vanta uno pari all’incirca ad una decina di miliardi di euro, si comprende come il Garante abbia inteso muoversi con polso particolarmente leggero.
L’approccio morbido si deve, probabilmente, ad alcuni fattori: l’oggettiva tenuità della condotta contestata; il fatto che l’istruttoria non abbia rilevato alcuna procedura scorretta, ma solo un errore umano, incastonato in processi virtuosi; la collaborazione ineccepibile prestata dall’istituto durante tutto il giudizio.
Soprattutto gli ultimi due elementi appaiono rimarchevoli.
In tutta evidenza, sul piano sanzionatorio hanno inciso, e non poco, le procedure generali dell’impresa che, correttamente impostate, hanno consentito, verificatosi un errore, di vedersi applicare un criterio solo blandamente punitivo.
Allo stesso modo, l’atteggiamento pro-attivo tenuto successivamente all’evento dannoso, finalizzato a mitigarne gli effetti, è risultato meritevole di ulteriori attenuanti sul piano sanzionatorio.
Lo stesso operatore sanzionato ha ammesso di aver compiuto un errore, che ha identificato nell’aver inserito, all’interno del proprio gestionale, il numero di telefono della moglie come utilizzabile per comunicazioni riguardanti tutti i finanziamenti del marito, mentre lei ne aveva garantito solo uno.
Quindi tutto bene? Comprensiva sanzione di fronte ad evidente violazione?
Può darsi, ma sia consentita a chi scrive qualche considerazione di carattere sistemico, perché se comunicare informazioni ad un soggetto estraneo al debito configura sempre, senza eccezione alcuna, un illecito, allora un problema c’è e non è di poco conto.
L’approccio formalmente ineccepibile della normativa e dell’Autorità deputata a vigilare sul suo rispetto, difatti, forse non coglie, nella sostanza, le peculiarità proprie delle attività stragiudiziali di tutela del credito.
I soggetti terzi, per quanto banale possa apparire tale considerazione, esistono.
Chi opera in questo settore vi si imbatte con fisiologica frequenza, non può evitarlo, e in qualche modo è costretto a parlarci.
Ci si dovrebbe rinchiudere nel silenzio, di fronte alla moglie del debitore che risponde al telefono o che apre la porta, e dileguarsi prima che qualche parola di troppo sfugga?
Anche se si potesse, non è detto che ad un’altra Autorità pubblica, il Garante della Concorrenza e del Mercato, tale condotta starebbe bene.
La troppa riservatezza, questo racconta l’esperienza, potrebbe essere considerata contraria ai principi del codice del consumo.
Tempo addietro alcuni operatori, rinchiusi nel silenzio per amor di privacy, si sono visti contestare dall’Antitrust l’aver posto in essere pratiche commerciali scorrette, poiché “il rintraccio e il recupero telefonico del credito insoluto anche presso terzi è suscettibile di esercitare nei riguardi della persona ricercata una tensione nel prendere contatto col professionista per conoscere il motivo del rintraccio avvenuto addirittura presso terzi e di porla in uno stato di incertezza circa i sottaciuti motivi della chiamata”.
Per un Garante, quindi, non devono rivelarsi ai terzi informazioni relative al rapporto obbligatorio di cui è parte il debitore, mentre per l’altro, non farlo potrebbe porre il contraddittore in un indebito stato di incertezza.
Eppure, lo si ribadisce, a prescindere dalla volontà degli operatori del settore, che di sicuro ne farebbero a meno, i terzi esistono.
Un ulteriore tassello: i terzi non solo esistono, ma spesso, pur se formalmente estranei al debito, non risultano affatto indenni rispetto alle conseguenze giuridiche dell’inadempimento.
Fino a che punto dev’essere tutelata la riservatezza del debitore che non paga le bollette della luce di casa? Fino a che moglie e figli non rimangono al buio?
Il provvedimento del Garante Privacy del 30 novembre 2005 forse si era reso conto della delicatezza dell’argomento, e nel trattarlo si era guardato bene dal porre un veto assoluto, disponendo che a violare i principi di liceità e correttezza del trattamento fossero unicamente le comunicazioni ingiustificate di dati riservati del debitore a terzi.
La genericità dell’anzidetta formula, tuttavia, non ha mai consentito di distinguere con precisione gli interventi indebiti da quelli assistiti da giusta causa.
Non v’è dubbio che, su un tema così importante, un intervento chiarificatore, che tenesse nella debita considerazione gli interessi legittimi di tutte le parti coinvolte, risulterebbe utile e senz’altro più che auspicabile.