I pagamenti tra le imprese procedono a passo di lumaca, in Italia, ma accennano segnali di miglioramento. Tuttavia, il 2022 rischia di chiudersi bruciando questa ripresa per effetto del conflitto Russia-Ucraina e dell’inflazione. Cifre alla mano: nel 2021 le fatture sono state saldate entro la scadenza nel 38,5% dei casi, in miglioramento rispetto al 2019 (+11%) ma con una percentuale che ci colloca dietro a Germania, Regno Unito, Francia e Spagna. Fanno peggio, invece, Grecia, Romania, Serbia, Portogallo, Croazia, Turchia e Bulgaria. L’Italia, infatti, non svetta nella classifica dei paesi puntuali: è al 18° posto in Europa, al 25° a livello globale. A marzo di quest’anno, le imprese in grado di chiudere i conti in tempo erano pari al 38,8%, mentre quelle che pagano con oltre 30 giorni di ritardo (considerati ritardi gravi) hanno toccato il 10,5%, in calo del 18% rispetto al quarto trimestre del 2020, stabili rispetto allo stesso periodo del 2019. A rivelarlo è lo «Studio Pagamenti», in cui Cribis, società del gruppo Crif, specializzata nelle informazioni commerciali sulle aziende, ha passato al setaccio le abitudini di pagamento delle imprese in 38 Paesi del mondo che rappresentano circa il 90% del pil mondiale.
«In un contesto internazionale così complesso è difficile fare delle previsioni puntuali per il secondo semestre 2022», spiega a ItaliaOggi Sette Marco Preti, a.d. di Cribis, «Sicuramente stiamo correndo il forte rischio che, mentre il 2021 è stato l’anno dell’uscita dalla pandemia, il 2022 sia un sostanziale ritorno ai livelli 2020 per quanto riguarda i pagamenti tra imprese, “bruciando” di fatto quella ripresa che avevamo visto negli ultimi mesi dell’anno. I primi mesi del 2022 non hanno ancora fatto emergere marcatamente gli effetti della guerra Russia-Ucraina, nonostante l’aumento del prezzo delle materie prime fosse iniziato già prima del conflitto. Molto dipenderà dalle misure messe in campo dal governo, ma è già possibile prevedere un impatto su quelle imprese che vedono nei territori coinvolti i loro fornitori, la loro produzione o un mercato di riferimento. In Italia»…
Fonte: Italia Oggi
I pagamenti tra le imprese procedono a passo di lumaca, in Italia, ma accennano segnali di miglioramento. Tuttavia, il 2022 rischia di chiudersi bruciando questa ripresa per effetto del conflitto Russia-Ucraina e dell’inflazione. Cifre alla mano: nel 2021 le fatture sono state saldate entro la scadenza nel 38,5% dei casi, in miglioramento rispetto al 2019 (+11%) ma con una percentuale che ci colloca dietro a Germania, Regno Unito, Francia e Spagna. Fanno peggio, invece, Grecia, Romania, Serbia, Portogallo, Croazia, Turchia e Bulgaria. L’Italia, infatti, non svetta nella classifica dei paesi puntuali: è al 18° posto in Europa, al 25° a livello globale. A marzo di quest’anno, le imprese in grado di chiudere i conti in tempo erano pari al 38,8%, mentre quelle che pagano con oltre 30 giorni di ritardo (considerati ritardi gravi) hanno toccato il 10,5%, in calo del 18% rispetto al quarto trimestre del 2020, stabili rispetto allo stesso periodo del 2019. A rivelarlo è lo «Studio Pagamenti», in cui Cribis, società del gruppo Crif, specializzata nelle informazioni commerciali sulle aziende, ha passato al setaccio le abitudini di pagamento delle imprese in 38 Paesi del mondo che rappresentano circa il 90% del pil mondiale.
«In un contesto internazionale così complesso è difficile fare delle previsioni puntuali per il secondo semestre 2022», spiega a ItaliaOggi Sette Marco Preti, a.d. di Cribis, «Sicuramente stiamo correndo il forte rischio che, mentre il 2021 è stato l’anno dell’uscita dalla pandemia, il 2022 sia un sostanziale ritorno ai livelli 2020 per quanto riguarda i pagamenti tra imprese, “bruciando” di fatto quella ripresa che avevamo visto negli ultimi mesi dell’anno. I primi mesi del 2022 non hanno ancora fatto emergere marcatamente gli effetti della guerra Russia-Ucraina, nonostante l’aumento del prezzo delle materie prime fosse iniziato già prima del conflitto. Molto dipenderà dalle misure messe in campo dal governo, ma è già possibile prevedere un impatto su quelle imprese che vedono nei territori coinvolti i loro fornitori, la loro produzione o un mercato di riferimento. In Italia»…
Fonte: Italia Oggi