I numeri
Non si tratta di un’impressione o di “sentito dire”. Sono i numeri stessi a parlare, a descrivere un’ascesa che sta superando qualunque aspettativa. “Sbarcato” nel nostro paese a metà dello scorso decennio, dopo un periodo iniziale di graduale diffusione, ha iniziato a registrare una crescita molto sostenuta, superiore alle più rosee aspettative.
Come noto, esistono due differenti tipologie di crowdfunding. Le operazioni di equity crowdfunding raccolgono quote di capitale di rischio, mentre quelle di lending crowdfunding collazionano prestiti temporanei, spesso a breve termine (non superiore a 12 mesi).
Tralasciando i primi anni di attività (nei quali gli importi erano nettamente inferiori), nel 2019 le piattaforme italiane hanno raccolto 16,5 milioni di Euro a livello di equity e 18,5 milioni di Euro in lending. Nel 2021 la raccolta di equity è praticamente raddoppiata, mentre quella in lending è ormai prossima ai 50 milioni.
A livello di sistema, si tratta di numeri estremamente contenuti, con un’incidenza minima rispetto all’intero comparto delle trasformazioni immobiliari, ma il processo contiene tutti i semi per una rapida, ulteriore espansione.
Infatti, dal lato dei proponenti, la snellezza del procedimento e l’esigenza di svincolarsi dal sistema bancario (o quanto meno di affiancarlo con ulteriori fonti di finanziamento) inducono sempre più operatori ad affidarsi alle piattaforme. Per quanto invece concerne l’offerta di denaro, fattori che possono indurre un’espansione della massa di finanziatori sono: la crescente dimestichezza con gli strumenti telematici; l’esiguità dei tagli minimi d’investimento; il crescente desiderio di autonomia in queste piccole scelte di risparmio; il passaparola positivo di molti che hanno già investito.
Lo scenario immobiliare
Non v’è dubbio che il mercato sia il più prezioso alleato del sistema appena illustrato. Come noto, l’immobiliare presenta ciclicità molto lunghe, e l’attuale momento coincide con la fine di un interminabile periodo negativo e l’inizio di un nuovo, lento rialzo. Ovviamente, questa è una tendenza generale, che riguarda tutta l’Italia, ma i singoli segmenti territoriali possono differire anche sensibilmente l’uno dall’altro: Milano, ad esempio, ha avviato la sua ripresa già da qualche anno, mentre altre zone stanno faticando maggiormente. Ma, in generale, la tendenza è di ottimismo, più o meno cauto a seconda dei luoghi.
Si aggiunga il fatto che il prolungato periodo di prezzi calanti ha permesso e permette tuttora agli operatori di “approvvigionarsi” piuttosto bene. Molte operazioni sono di piccole dimensioni e riguardano acquisti in asta giudiziaria di immobili che, opportunamente “rivisitati”, riscontrano una nuova appetibilità: talvolta si tratta di ristrutturare, talaltra di frazionare, o ancora di trasformare un negozio in una strada poco frequentata in un alloggio, magari per farne un silenzioso B&B.
Insomma, oggi è piuttosto difficile “sbagliare” del tutto un investimento immobiliare, soprattutto se coesistono tre fattori basilari:
– una visione prospettica e dinamica, che individua soluzioni “nuove” per immobili “vecchi”
– dimensioni molto contenute, facilmente assorbibili da qualunque bacino d’utenza
– costi d’acquisizione estremamente ridotti.
Questi tre elementi risultano fondamentali, e non deve stupire se, allorché si rispettano, un’operazione anche in località marginali può conseguire risultati addirittura migliori rispetto a un intervento nel cuore di una grande e affermata città.
I rischi
Tutto bene, quindi?
Il settore del crowdfunding costituisce una novità, la cui crescita ha probabilmente spiazzato molti soggetti, incluse le autorità di vigilanza a livello europeo. Peraltro, anche il regolamento emesso da E.M.E.A. spinge verso una maggiore professionalizzazione delle piattaforme e una crescita del grado di trasparenza, ma in termini relativamente contenuti. Si ritiene, infatti, che la standardizzazione delle modalità di presentazione delle proposte di investimento tramite format prestabiliti rappresenti la panacea per questo articolato comparto.
Evidentemente, si interpreta l’investimento in crowdfunding come una tipologia di natura più rischiosa e quindi meno meritevole di tutela rispetto alle altre classiche forme di risparmio strutturato (azioni e obbligazioni). Indubbiamente, il crowdfunding non può perdere la snellezza che ne ha decretato la nascita. Tuttavia, chi accede a queste piattaforme è un risparmiatore (spesso piccolo) che si accosta all’investimento senza neppure l’assistenza di un consulente finanziario o di un altro soggetto qualificato: nella sua scelta è solo, unico decisore sul web.
In contrapposizione a questo modello, non si può sottacere che, nel momento in cui lo stesso soggetto medita sull’acquisto di un’azione o un’obbligazione quotata, riceve una miriade di informazioni, incluso un rating che dovrebbe esprimere la probabilità di default dell’emittente (quindi di perdita del denaro investito). Nulla di questo per quanto concerne il crowdfunding.
In effetti, il regolamento prevede l’obbligo per le piattaforme di comunicare, ex post, il tasso di default medio di tutte le operazioni presentate al pubblico nel biennio precedente. E’ una disposizione importante, utile a sensibilizzare i responsabili dei vari portali sulla validità delle iniziative proposte e quindi su un’ottimale selezione delle stesse. Tuttavia, nel commentare questa scelta non si possono non evidenziare alcune “originalità”.
Mutatis mutandis, sarebbe come se si pensasse di sostituire ai rating aziendali dei rating focalizzati sulle “private bank”, sulle reti di consulenti finanziari. Soluzione interessante, forse, ma rispetto alla quale gli intermediari non avrebbero difficoltà ad appellarsi, giustamente, alle incertezze del mercato.
Inoltre, questa soluzione consentirebbe confronti tra le diverse piattaforme, ma non tra le singole alternative d’investimento prospettate. Al contrario, poter confrontare le varie iniziative basandosi su dati oggettivi, certificati, omogenei e comparabili è imprescindibile, anche al fine di determinare la corretta remunerazione dell’investimento anche all’interno della medesima piattaforma: è necessario importare anche nel crowdfunding la logica dell’intero mondo finanziario in base alla quale livelli di rischio e rendimenti sono direttamente proporzionali.
In definitiva, quindi, parrebbe corretto giungere anche per i singoli investimenti proposti dalle piattaforme di crowdfunding alla costruzione di un indice capace di esprimere il livello di rischio che il risparmiatore sta correndo. Al riguardo, risulta del tutto insufficiente l’indicazione che spesso viene palesata sul tasso di rendimento interno atteso. E’ infatti noto che i rischi non si misurano coi risultati normalmente attesi e tanto meno con una previsione unica: la stima di un rischio richiede un approccio di natura probabilistica, basato su un’analisi “what/if” che vada a indagare le code di distribuzione delle singole variabili in gioco, che determinano nel loro complesso i possibili risultati dell’operazione.
Rating aziendale vs rating immobiliare
I rating aziendali si basano su decenni di analisi consolidate di migliaia di bilanci all’interno di specifici settori. Derivano quindi da statistiche su campioni molto ampi e sufficientemente verificati per prolungati intervalli temporali.
Nell’immobiliare questo non può avvenire per tutta una serie di considerazioni:
– ogni operazione è diversa da un’altra;
– la non trasparenza del settore impedisce la raccolta dei dati;
– a differenza dei bilanci annuali d’esercizio, le tempistiche non sono regolarmente cadenzate.
Pertanto, la stima di un possibile default deve traslarsi da un’analisi ex post a una valutazione prospettica specificamente orientata sulla singola operazione in esame. Si tratta di un approccio radicalmente diverso, che non può essere confrontato con la metodologia atta a determinare i rating aziendali: com’è possibile prevedere il futuro senza disporre di riferimenti certi per il passato?
Il dubbio è appropriato, ma si evidenziano alcune ulteriori considerazioni.
La costante accelerazione dei ritmi operativi affretta l’invecchiamento dei dati di bilancio. Parimenti, la crescente variabilità e internazionalizzazione dei mercati rende meno stabili e delineati i singoli comparti economici: ogni azienda adotta strategie e impostazioni operative proprie, e le statistiche storiche di settore diventano via via meno significative. Non è un caso che, nella ridefinizione delle analisi sul merito creditizio, il mondo bancario stia attribuendo una crescente importanza agli approcci previsionali ex ante rispetto alla lettura dei bilanci ex post.
Se queste osservazioni inducono più intense perplessità sulla formulazione tradizionale dei rating aziendali, non si possono neppure ignorare le caratteristiche fondamentali del settore immobiliare.
Un’operazione immobiliare di realizzazione e vendita frazionata di prime case è molto più inquadrabile e fondatamente prevedibile rispetto a qualunque altra attività aziendale. Infatti:
– il prodotto è fisso e immutabile (c’è un progetto e un regolamento edilizio);
– la clientela è territorialmente circoscritta;
– la concorrenza è contingentata (esiste una pianificazione urbanistica).
Nessun altro settore presenta un contesto competitivo così rigidamente predefinito.
Esistono quindi i presupposti per approntare metodologie oggettive, trasparenti e confrontabili per la valutazione delle probabilità di default di un’operazione immobiliare.
Se il settore del crowdfunding sceglierà questa strada, potrà finalmente offrire prodotti d’investimento certificati e oggettivamente confrontabili l’un l’altro; la platea dei piccoli investitori sarà in grado di rilevare rendimenti promessi e probabilità di default di ogni singola proposta.
Ovviamente, una simile scelta richiederebbe un marcato innalzamento di professionalità nei processi di individuazione, valutazione e selezione delle operazioni immobiliari da inserirsi nelle piattaforme. Finora, la maggior parte di questi soggetti si è astenuta dall’adottare un approccio così analitico, anche in considerazione del ruolo di mera pubblicizzazione loro competente.
Sono quindi auspicabili quanto prima, a livello internazionale e nazionale, misure regolamentari sensibili a una più attenta misurazione dei rischi dei finanziatori. Ma, anche prima di questo passo, sarà lo stesso mercato a favorire un processo di qualificazione, fondato sull’innalzamento delle capacità di analisi prospettica: è infatti importante che il sistema integrato del crowdfunding immobiliare operi per prevenire eventuali insuccessi di singole operazioni, che potrebbero causare una diffusa perdita di fiducia, inficiando la crescita dell’intero settore.
I numeri
Non si tratta di un’impressione o di “sentito dire”. Sono i numeri stessi a parlare, a descrivere un’ascesa che sta superando qualunque aspettativa. “Sbarcato” nel nostro paese a metà dello scorso decennio, dopo un periodo iniziale di graduale diffusione, ha iniziato a registrare una crescita molto sostenuta, superiore alle più rosee aspettative.
Come noto, esistono due differenti tipologie di crowdfunding. Le operazioni di equity crowdfunding raccolgono quote di capitale di rischio, mentre quelle di lending crowdfunding collazionano prestiti temporanei, spesso a breve termine (non superiore a 12 mesi).
Tralasciando i primi anni di attività (nei quali gli importi erano nettamente inferiori), nel 2019 le piattaforme italiane hanno raccolto 16,5 milioni di Euro a livello di equity e 18,5 milioni di Euro in lending. Nel 2021 la raccolta di equity è praticamente raddoppiata, mentre quella in lending è ormai prossima ai 50 milioni.
A livello di sistema, si tratta di numeri estremamente contenuti, con un’incidenza minima rispetto all’intero comparto delle trasformazioni immobiliari, ma il processo contiene tutti i semi per una rapida, ulteriore espansione.
Infatti, dal lato dei proponenti, la snellezza del procedimento e l’esigenza di svincolarsi dal sistema bancario (o quanto meno di affiancarlo con ulteriori fonti di finanziamento) inducono sempre più operatori ad affidarsi alle piattaforme. Per quanto invece concerne l’offerta di denaro, fattori che possono indurre un’espansione della massa di finanziatori sono: la crescente dimestichezza con gli strumenti telematici; l’esiguità dei tagli minimi d’investimento; il crescente desiderio di autonomia in queste piccole scelte di risparmio; il passaparola positivo di molti che hanno già investito.
Lo scenario immobiliare
Non v’è dubbio che il mercato sia il più prezioso alleato del sistema appena illustrato. Come noto, l’immobiliare presenta ciclicità molto lunghe, e l’attuale momento coincide con la fine di un interminabile periodo negativo e l’inizio di un nuovo, lento rialzo. Ovviamente, questa è una tendenza generale, che riguarda tutta l’Italia, ma i singoli segmenti territoriali possono differire anche sensibilmente l’uno dall’altro: Milano, ad esempio, ha avviato la sua ripresa già da qualche anno, mentre altre zone stanno faticando maggiormente. Ma, in generale, la tendenza è di ottimismo, più o meno cauto a seconda dei luoghi.
Si aggiunga il fatto che il prolungato periodo di prezzi calanti ha permesso e permette tuttora agli operatori di “approvvigionarsi” piuttosto bene. Molte operazioni sono di piccole dimensioni e riguardano acquisti in asta giudiziaria di immobili che, opportunamente “rivisitati”, riscontrano una nuova appetibilità: talvolta si tratta di ristrutturare, talaltra di frazionare, o ancora di trasformare un negozio in una strada poco frequentata in un alloggio, magari per farne un silenzioso B&B.
Insomma, oggi è piuttosto difficile “sbagliare” del tutto un investimento immobiliare, soprattutto se coesistono tre fattori basilari:
– una visione prospettica e dinamica, che individua soluzioni “nuove” per immobili “vecchi”
– dimensioni molto contenute, facilmente assorbibili da qualunque bacino d’utenza
– costi d’acquisizione estremamente ridotti.
Questi tre elementi risultano fondamentali, e non deve stupire se, allorché si rispettano, un’operazione anche in località marginali può conseguire risultati addirittura migliori rispetto a un intervento nel cuore di una grande e affermata città.
I rischi
Tutto bene, quindi?
Il settore del crowdfunding costituisce una novità, la cui crescita ha probabilmente spiazzato molti soggetti, incluse le autorità di vigilanza a livello europeo. Peraltro, anche il regolamento emesso da E.M.E.A. spinge verso una maggiore professionalizzazione delle piattaforme e una crescita del grado di trasparenza, ma in termini relativamente contenuti. Si ritiene, infatti, che la standardizzazione delle modalità di presentazione delle proposte di investimento tramite format prestabiliti rappresenti la panacea per questo articolato comparto.
Evidentemente, si interpreta l’investimento in crowdfunding come una tipologia di natura più rischiosa e quindi meno meritevole di tutela rispetto alle altre classiche forme di risparmio strutturato (azioni e obbligazioni). Indubbiamente, il crowdfunding non può perdere la snellezza che ne ha decretato la nascita. Tuttavia, chi accede a queste piattaforme è un risparmiatore (spesso piccolo) che si accosta all’investimento senza neppure l’assistenza di un consulente finanziario o di un altro soggetto qualificato: nella sua scelta è solo, unico decisore sul web.
In contrapposizione a questo modello, non si può sottacere che, nel momento in cui lo stesso soggetto medita sull’acquisto di un’azione o un’obbligazione quotata, riceve una miriade di informazioni, incluso un rating che dovrebbe esprimere la probabilità di default dell’emittente (quindi di perdita del denaro investito). Nulla di questo per quanto concerne il crowdfunding.
In effetti, il regolamento prevede l’obbligo per le piattaforme di comunicare, ex post, il tasso di default medio di tutte le operazioni presentate al pubblico nel biennio precedente. E’ una disposizione importante, utile a sensibilizzare i responsabili dei vari portali sulla validità delle iniziative proposte e quindi su un’ottimale selezione delle stesse. Tuttavia, nel commentare questa scelta non si possono non evidenziare alcune “originalità”.
Mutatis mutandis, sarebbe come se si pensasse di sostituire ai rating aziendali dei rating focalizzati sulle “private bank”, sulle reti di consulenti finanziari. Soluzione interessante, forse, ma rispetto alla quale gli intermediari non avrebbero difficoltà ad appellarsi, giustamente, alle incertezze del mercato.
Inoltre, questa soluzione consentirebbe confronti tra le diverse piattaforme, ma non tra le singole alternative d’investimento prospettate. Al contrario, poter confrontare le varie iniziative basandosi su dati oggettivi, certificati, omogenei e comparabili è imprescindibile, anche al fine di determinare la corretta remunerazione dell’investimento anche all’interno della medesima piattaforma: è necessario importare anche nel crowdfunding la logica dell’intero mondo finanziario in base alla quale livelli di rischio e rendimenti sono direttamente proporzionali.
In definitiva, quindi, parrebbe corretto giungere anche per i singoli investimenti proposti dalle piattaforme di crowdfunding alla costruzione di un indice capace di esprimere il livello di rischio che il risparmiatore sta correndo. Al riguardo, risulta del tutto insufficiente l’indicazione che spesso viene palesata sul tasso di rendimento interno atteso. E’ infatti noto che i rischi non si misurano coi risultati normalmente attesi e tanto meno con una previsione unica: la stima di un rischio richiede un approccio di natura probabilistica, basato su un’analisi “what/if” che vada a indagare le code di distribuzione delle singole variabili in gioco, che determinano nel loro complesso i possibili risultati dell’operazione.
Rating aziendale vs rating immobiliare
I rating aziendali si basano su decenni di analisi consolidate di migliaia di bilanci all’interno di specifici settori. Derivano quindi da statistiche su campioni molto ampi e sufficientemente verificati per prolungati intervalli temporali.
Nell’immobiliare questo non può avvenire per tutta una serie di considerazioni:
– ogni operazione è diversa da un’altra;
– la non trasparenza del settore impedisce la raccolta dei dati;
– a differenza dei bilanci annuali d’esercizio, le tempistiche non sono regolarmente cadenzate.
Pertanto, la stima di un possibile default deve traslarsi da un’analisi ex post a una valutazione prospettica specificamente orientata sulla singola operazione in esame. Si tratta di un approccio radicalmente diverso, che non può essere confrontato con la metodologia atta a determinare i rating aziendali: com’è possibile prevedere il futuro senza disporre di riferimenti certi per il passato?
Il dubbio è appropriato, ma si evidenziano alcune ulteriori considerazioni.
La costante accelerazione dei ritmi operativi affretta l’invecchiamento dei dati di bilancio. Parimenti, la crescente variabilità e internazionalizzazione dei mercati rende meno stabili e delineati i singoli comparti economici: ogni azienda adotta strategie e impostazioni operative proprie, e le statistiche storiche di settore diventano via via meno significative. Non è un caso che, nella ridefinizione delle analisi sul merito creditizio, il mondo bancario stia attribuendo una crescente importanza agli approcci previsionali ex ante rispetto alla lettura dei bilanci ex post.
Se queste osservazioni inducono più intense perplessità sulla formulazione tradizionale dei rating aziendali, non si possono neppure ignorare le caratteristiche fondamentali del settore immobiliare.
Un’operazione immobiliare di realizzazione e vendita frazionata di prime case è molto più inquadrabile e fondatamente prevedibile rispetto a qualunque altra attività aziendale. Infatti:
– il prodotto è fisso e immutabile (c’è un progetto e un regolamento edilizio);
– la clientela è territorialmente circoscritta;
– la concorrenza è contingentata (esiste una pianificazione urbanistica).
Nessun altro settore presenta un contesto competitivo così rigidamente predefinito.
Esistono quindi i presupposti per approntare metodologie oggettive, trasparenti e confrontabili per la valutazione delle probabilità di default di un’operazione immobiliare.
Se il settore del crowdfunding sceglierà questa strada, potrà finalmente offrire prodotti d’investimento certificati e oggettivamente confrontabili l’un l’altro; la platea dei piccoli investitori sarà in grado di rilevare rendimenti promessi e probabilità di default di ogni singola proposta.
Ovviamente, una simile scelta richiederebbe un marcato innalzamento di professionalità nei processi di individuazione, valutazione e selezione delle operazioni immobiliari da inserirsi nelle piattaforme. Finora, la maggior parte di questi soggetti si è astenuta dall’adottare un approccio così analitico, anche in considerazione del ruolo di mera pubblicizzazione loro competente.
Sono quindi auspicabili quanto prima, a livello internazionale e nazionale, misure regolamentari sensibili a una più attenta misurazione dei rischi dei finanziatori. Ma, anche prima di questo passo, sarà lo stesso mercato a favorire un processo di qualificazione, fondato sull’innalzamento delle capacità di analisi prospettica: è infatti importante che il sistema integrato del crowdfunding immobiliare operi per prevenire eventuali insuccessi di singole operazioni, che potrebbero causare una diffusa perdita di fiducia, inficiando la crescita dell’intero settore.