Per i pagamenti in contante c’è una data da segnare sul calendario: 1° gennaio 2022. Dal prossimo anno passerà da 2mila a mille euro la soglia a partire dalla quale è vietato fare transazioni con banconote. È un effetto del decreto fiscale collegato alla manovra 2020 (Governo Conte-bis), che dal 1° luglio dell’anno scorso aveva già ridotto il limite da 3mila a 2mila euro, programmando un’altra stretta nel 2022.
Quella in arrivo sarà la nona modifica in 20 anni, la quinta negli ultimi dieci. E sarà un po’ come tornare al 6 dicembre 2011, quando fu il decreto “salva Italia” di Mario Monti a portare il tetto a mille euro. Una sorta di ritorno al passato, ma in un contesto assai diverso, che vede – complice la pandemia – i pagamenti digitali in continua ascesa. Tanto che a fine 2021, secondo le previsioni del Politecnico di Milano, potrebbero raggiungere una quota pari al 37% sul totale degli acquisti, in confronto al 33% dello scorso anno e al 29% del 2019. Resta il fatto che il cash è ancora la modalità di pagamento preferita dagli italiani e che il nostro Paese è al 25° posto su 27 nella Ue per numero di transazioni pro capite con carta (81 contro una media annua di 146; dati 2020).
L’effetto antievasione
Fissare per legge un limite all’uso del contante aiuta o no il contrasto all’evasione fiscale? La risposta a questa domanda ha guidato gli “avanti e indietro” dei vari Governi: divisi tra chi vede nel libero uso delle banconote un lasciapassare per il sommerso e chi invece un valore di inclusione sociale e un volàno per l’economia.
Un recente paper di Banca d’Italia («Pecunia olet. Cash usage and the underground economy»), focalizzato sul periodo 2015-17, ha però messo in luce un aspetto: l’aumento della soglia da mille a 3mila euro, introdotto nel 2016 dal Governo Renzi con lo scopo dichiarato di dare una spinta ai consumi, ha avuto l’effetto di accrescere di 0,5 punti percentuali la quota di economia irregolare. In generale…
Fonte: Il Sole 24 Ore
Per i pagamenti in contante c’è una data da segnare sul calendario: 1° gennaio 2022. Dal prossimo anno passerà da 2mila a mille euro la soglia a partire dalla quale è vietato fare transazioni con banconote. È un effetto del decreto fiscale collegato alla manovra 2020 (Governo Conte-bis), che dal 1° luglio dell’anno scorso aveva già ridotto il limite da 3mila a 2mila euro, programmando un’altra stretta nel 2022.
Quella in arrivo sarà la nona modifica in 20 anni, la quinta negli ultimi dieci. E sarà un po’ come tornare al 6 dicembre 2011, quando fu il decreto “salva Italia” di Mario Monti a portare il tetto a mille euro. Una sorta di ritorno al passato, ma in un contesto assai diverso, che vede – complice la pandemia – i pagamenti digitali in continua ascesa. Tanto che a fine 2021, secondo le previsioni del Politecnico di Milano, potrebbero raggiungere una quota pari al 37% sul totale degli acquisti, in confronto al 33% dello scorso anno e al 29% del 2019. Resta il fatto che il cash è ancora la modalità di pagamento preferita dagli italiani e che il nostro Paese è al 25° posto su 27 nella Ue per numero di transazioni pro capite con carta (81 contro una media annua di 146; dati 2020).
L’effetto antievasione
Fissare per legge un limite all’uso del contante aiuta o no il contrasto all’evasione fiscale? La risposta a questa domanda ha guidato gli “avanti e indietro” dei vari Governi: divisi tra chi vede nel libero uso delle banconote un lasciapassare per il sommerso e chi invece un valore di inclusione sociale e un volàno per l’economia.
Un recente paper di Banca d’Italia («Pecunia olet. Cash usage and the underground economy»), focalizzato sul periodo 2015-17, ha però messo in luce un aspetto: l’aumento della soglia da mille a 3mila euro, introdotto nel 2016 dal Governo Renzi con lo scopo dichiarato di dare una spinta ai consumi, ha avuto l’effetto di accrescere di 0,5 punti percentuali la quota di economia irregolare. In generale…
Fonte: Il Sole 24 Ore