Quello tra donne e mondo del lavoro è un rapporto ancora troppo complicato che paga il prezzo di tante difficoltà. A cominciare da quelle legate alla famiglia e alla gestione dei figli. E’ una dura realtà che, purtroppo, trova sempre conferma nei dati. Gli ultimi numeri arrivano dall’Ispettorato nazionale del lavoro e parlano di donne che durante la pandemia sono state costrette a lasciare il proprio posto di lavoro per badare ai figli. Delle 42mila dimissioni di genitori di bambini da zero a tre anni che si sono registrate nel 2020, il 77% sono donne. Nel 94% dei casi si tratta di dimissioni volontarie mentre quelle per giusta causa e le risoluzioni consensuali sono pari rispettivamente al 4% e al 2% del totale. Sul complesso dei richiedenti, il 61% ha un figlio, il 32% due figli e il 7% più di due. L’età del figlio che più incide è quella fino ad un anno, dove prevale l’esigenza di primo accudimento. Il 92% delle dimissioni arriva da impiegati e operai e l’ambito produttivo in cui le convalide sono maggiormente concentrate è il terziario, settore con significativa presenza femminile a cui si riferiscono oltre il 72% dei provvedimenti adottati; rilevante anche il dato dell’industria, pari al 15% del totale e dell’edilizia, pari a poco più del 3%. Circa la metà dei neogenitori che lasciano il lavoro hanno iniziato a lavorare da meno di tre anni.
“La condizione di genitorialità – si legge nel Rapporto dell’Ispettorato – ha strutturalmente un impatto diverso sulla partecipazione al mercato del lavoro di uomini e donne. Sussiste, infatti, una relazione tra la diminuzione degli indicatori relativi alla partecipazione e all’occupazione in coincidenza della maternità e in relazione al numero dei figli. In presenza di figli la partecipazione maschile aumenta e quella femminile si riduce. Il passaggio avviene col primo figlio e si incrementa col secondo, senza particolari differenziazioni a livello territoriale. Questa dinamica ha valori più elevati nella classe di età 25-34. La dinamica è inversa anche per l’inattività. In presenza di figli aumenta l’inattività delle donne e diminuisce quella degli uomini”.
L’occupazione delle donne con un caponucleo tra i 20 e i 50 anni è al 60% in assenza di figli tra zero e un anno e al 50% con un figlio minore di un anno mentre tra gli uomini l’occupazione è all’86% senza figli tra zero e un anno e al 90% in presenza di neonati.
La motivazione più frequente per le dimissioni continua ad essere la difficoltà di conciliare l’occupazione lavorativa con le esigenze di cura della prole sia per ragioni legate alla disponibilità di servizi di cura (38% del totale delle motivazioni indicate) che per ragioni di carattere organizzativo riferite al proprio contesto lavorativo (20%).
“Esiste una profonda differenza di genere – scrive l’Inl – nel dato relativo alle motivazioni in quanto la difficoltà di esercizio della genitorialità in maniera compatibile con la propria occupazione è quasi esclusivamente femminile. Le segnalazioni di difficoltà di conciliazione per ragioni legate ai servizi di cura o ragioni legate all’organizzazione del lavoro, infatti, riguardano donne in una percentuale tra il 96% e il 98%. La prevalente motivazione delle convalide riferite a uomini è invece il passaggio ad altra azienda”.
Il Direttore Generale dell’Ispettorato, Bruno Giordano, sottolinea come “scelte di questo tipo siano in effetti rinunce al lavoro, all’autonomia, alla professionalità e alla realizzazione personale. Ogni dimissione è una perdita di competenze che si traduce in un impoverimento delle professionalità di tutto il Paese. Le diseguaglianze di genere – prosegue Giordano – si sommano a quelle professionali e lavorative, creando complessivamente disparità di aspettativa, di realizzazione professionale e di partecipazione alla vita del Paese. Conciliare vita e lavoro per i genitori, agevolando lo smart working più che l’home working, è un dovere costituzionale per consentire a chiunque di dare il proprio contributo alla crescita del Paese, come vuole l’art. 4 della Costituzione”.
L’importanza delle donne che, con le loro caratteristiche specifiche, possono dare un forte contributo alla ripresa in ogni settore sarà al centro del prossimo CreditVillage Day che si terrà a Milano il 24 novembre 2021 con il titolo, più che eloquente, “Women in credit. Building a new era: tra accelerazioni e ripensamenti”. Il settore del credito sta affrontando cambiamenti epocali e si affiderà sempre di più alle capacità femminili per apportare maggiore efficienza, produttività e innovazione.
Quello tra donne e mondo del lavoro è un rapporto ancora troppo complicato che paga il prezzo di tante difficoltà. A cominciare da quelle legate alla famiglia e alla gestione dei figli. E’ una dura realtà che, purtroppo, trova sempre conferma nei dati. Gli ultimi numeri arrivano dall’Ispettorato nazionale del lavoro e parlano di donne che durante la pandemia sono state costrette a lasciare il proprio posto di lavoro per badare ai figli. Delle 42mila dimissioni di genitori di bambini da zero a tre anni che si sono registrate nel 2020, il 77% sono donne. Nel 94% dei casi si tratta di dimissioni volontarie mentre quelle per giusta causa e le risoluzioni consensuali sono pari rispettivamente al 4% e al 2% del totale. Sul complesso dei richiedenti, il 61% ha un figlio, il 32% due figli e il 7% più di due. L’età del figlio che più incide è quella fino ad un anno, dove prevale l’esigenza di primo accudimento. Il 92% delle dimissioni arriva da impiegati e operai e l’ambito produttivo in cui le convalide sono maggiormente concentrate è il terziario, settore con significativa presenza femminile a cui si riferiscono oltre il 72% dei provvedimenti adottati; rilevante anche il dato dell’industria, pari al 15% del totale e dell’edilizia, pari a poco più del 3%. Circa la metà dei neogenitori che lasciano il lavoro hanno iniziato a lavorare da meno di tre anni.
“La condizione di genitorialità – si legge nel Rapporto dell’Ispettorato – ha strutturalmente un impatto diverso sulla partecipazione al mercato del lavoro di uomini e donne. Sussiste, infatti, una relazione tra la diminuzione degli indicatori relativi alla partecipazione e all’occupazione in coincidenza della maternità e in relazione al numero dei figli. In presenza di figli la partecipazione maschile aumenta e quella femminile si riduce. Il passaggio avviene col primo figlio e si incrementa col secondo, senza particolari differenziazioni a livello territoriale. Questa dinamica ha valori più elevati nella classe di età 25-34. La dinamica è inversa anche per l’inattività. In presenza di figli aumenta l’inattività delle donne e diminuisce quella degli uomini”.
L’occupazione delle donne con un caponucleo tra i 20 e i 50 anni è al 60% in assenza di figli tra zero e un anno e al 50% con un figlio minore di un anno mentre tra gli uomini l’occupazione è all’86% senza figli tra zero e un anno e al 90% in presenza di neonati.
La motivazione più frequente per le dimissioni continua ad essere la difficoltà di conciliare l’occupazione lavorativa con le esigenze di cura della prole sia per ragioni legate alla disponibilità di servizi di cura (38% del totale delle motivazioni indicate) che per ragioni di carattere organizzativo riferite al proprio contesto lavorativo (20%).
“Esiste una profonda differenza di genere – scrive l’Inl – nel dato relativo alle motivazioni in quanto la difficoltà di esercizio della genitorialità in maniera compatibile con la propria occupazione è quasi esclusivamente femminile. Le segnalazioni di difficoltà di conciliazione per ragioni legate ai servizi di cura o ragioni legate all’organizzazione del lavoro, infatti, riguardano donne in una percentuale tra il 96% e il 98%. La prevalente motivazione delle convalide riferite a uomini è invece il passaggio ad altra azienda”.
Il Direttore Generale dell’Ispettorato, Bruno Giordano, sottolinea come “scelte di questo tipo siano in effetti rinunce al lavoro, all’autonomia, alla professionalità e alla realizzazione personale. Ogni dimissione è una perdita di competenze che si traduce in un impoverimento delle professionalità di tutto il Paese. Le diseguaglianze di genere – prosegue Giordano – si sommano a quelle professionali e lavorative, creando complessivamente disparità di aspettativa, di realizzazione professionale e di partecipazione alla vita del Paese. Conciliare vita e lavoro per i genitori, agevolando lo smart working più che l’home working, è un dovere costituzionale per consentire a chiunque di dare il proprio contributo alla crescita del Paese, come vuole l’art. 4 della Costituzione”.
L’importanza delle donne che, con le loro caratteristiche specifiche, possono dare un forte contributo alla ripresa in ogni settore sarà al centro del prossimo CreditVillage Day che si terrà a Milano il 24 novembre 2021 con il titolo, più che eloquente, “Women in credit. Building a new era: tra accelerazioni e ripensamenti”. Il settore del credito sta affrontando cambiamenti epocali e si affiderà sempre di più alle capacità femminili per apportare maggiore efficienza, produttività e innovazione.