Il Rapporto Regionale PMI 2021, realizzato da Confindustria e Cerved, in collaborazione con Intesa Sanpaolo, analizza le performance economico-finanziarie delle circa 160 mila società di capitale italiane che – impiegando tra 10 e 249 addetti e con un giro d’affari compreso tra 2 e 50 milioni di euro – rientrano nella definizione europea di PMI. Con oltre 94 mila società (54 mila nel Nord-Ovest e 40 mila nel Nord-Est), il Nord è l’area con il numero maggiore di PMI, che registrano comunque una presenza diffusa in tutto il territorio nazionale con 33 mila società nel Centro e 32 mila nel Mezzogiorno. A livello complessivo, il valore aggiunto prodotto è pari a 230 miliardi di euro: il 39% da PMI che hanno sede nel Nord-Ovest, il 28% da società del Nord-Est, il 18% da imprese dell’Italia centrale e il restante 15% da quelle meridionali.
L’impatto del Covid sulla demografia e sui conti economici delle PMI
Il Covid-19 ha determinato una crisi senza precedenti per l’economia italiana, non solo in termini di entità, ma anche per la sua natura particolarmente asimmetrica. L’emergenza sanitaria ha avuto, infatti, conseguenze fortemente diversificate, colpendo in misura particolare i settori più interessati dai lockdown ed esposti alle misure di contenimento come, ad esempio, la ristorazione, il turismo, gli alberghi, i trasporti, l’ingrosso e il dettaglio non alimentare e il sistema moda. Mentre ha inciso in misura meno significativa su altri comparti o addirittura stimolandone positivamente alcuni, come la filiera farmaceutica, il commercio online e l’industria agroalimentare.
In base alle stime, un numero molto consistente di PMI (28 mila, pari al 17,9%) ha subito nel 2020 un calo dei ricavi superiore al 20% (il 17,7% considerando la distribuzione del fatturato). Un terzo delle società analizzate (53 mila) ha fatto registrare un calo dei ricavi più basso, ma comunque significativo (tra -10% e -20%). Circa 63 mila PMI hanno contratto le vendite con tassi a una cifra e solo per le restanti 14 mila società (9,0%) si stima un fatturato in crescita o sui livelli del 2019.
Il Centro risulta l’area geografica con la quota maggiore di imprese operanti nei settori più colpiti dal Covid (23,1% in termini di numerosità e il 24,0% in termini di fatturato), seguito dal Mezzogiorno (18,7% e 19,5%), che però fa registrare anche le percentuali più alte di imprese stabili o in crescita (14,8% in termini di fatturato) oppure con un calo contenuto (37,6%). In ogni caso, anche Nord-Est e Nord-Ovest presentano incidenze molto elevate nei settori colpiti dalla crisi pandemica, con una contrazione delle vendite inferiore al 20%.
In media, il fatturato delle PMI è atteso in calo del 10,6% tra 2019 e 2020. A causa di una specializzazione produttiva caratterizzata da una maggiore esposizione allo shock Covid, gli effetti della pandemia risultano più severi tra le PMI del Centro Italia, con un calo dei ricavi pari all’11,6%. Si registrano cali superiori alla media nazionale anche nel Nord-Est (-10,7%) e lievemente inferiori nel Nord-Ovest (-10,5%), mentre nel Mezzogiorno si registra una flessione più contenuta (-9,4%).
Gli impatti sul rischio delle PMI
Nonostante impatti consistenti, il sistema delle PMI sembra finora aver sostanzialmente tenuto, in parte anche grazie al lungo processo di rafforzamento patrimoniale e finanziario osservato in tutta la Penisola nel precedente decennio, ma soprattutto per via del massiccio impiego di misure emergenziali adottate dal Governo, che hanno mitigato lo shock della pandemia sulle PMI.
I dati sulle abitudini di pagamento delle imprese italiane indicano che durante la fase del lockdown i mancati pagamenti delle PMI sono esplosi in tutta la Penisola, ma poi, con la ripresa dell’attività economica e con la progressiva operatività del Decreto Liquidità sono tornati sostanzialmente alla normalità. Nella fase più acuta, a maggio, le PMI meridionali non hanno saldato il 55% del valore delle fatture in scadenza o già scadute, un dato in forte crescita rispetto al 42% di dicembre 2019. Anche nel resto del Paese, l’indicatore si è impennato, passando dal 38% al 51% nel Centro, dal 31% al 41% nel Nord-Ovest e dal 27% al 36% nel Nord-Est. Alla fine dell’anno il volume dei mancati pagamenti è invece ritornato su livelli simili a quelli dell’anno precedente.
Se a livello complessivo il sistema di PMI, benché più esposto a situazioni di rischio, sembra aver tenuto, nei settori più colpiti dalla pandemia gli effetti sono molto più intensi.
Queste situazioni di forti difficoltà si riflettono sui profili di rischio: la quota di PMI rischiose sale al 28% nei settori maggiormente colpiti dal Covid (il doppio rispetto alla media nazionale), con quote pari al 36,5% nel Mezzogiorno, al 29,4% nel Centro, al 26,9% nel Nord-Ovest e al 20% nel Nord-Est.
In particolare, la presenza di PMI con un concreto rischio di default nei prossimi dodici mesi supera i due terzi tra le società che organizzano fiere e convegni, con percentuali ovunque superiori al 65%, mentre il 40% dei ristoranti è ad alta probabilità di fallimento (17,3% prima del Covid) ma, in questo caso, con ampi divari tra quelli del Nord-Est e quelli del Mezzogiorno (il 50,9%). Risultano a rischio un terzo degli alberghi, anche in questo caso con evidenti gap tra il Nord-Est (20,7%) e le altre aree, con valori massimi al 46,6% nel Mezzogiorno.
Le prospettive e l’effetto su occupazione e investimenti
Nei prossimi mesi saranno al centro dell’attenzione le conseguenze della pandemia sull’occupazione e sugli investimenti, soprattutto per valutare le possibili misure da adottare per compensarne gli effetti negativi e promuovere la ripresa.
A tale scopo, sono state elaborate alcune stime in riferimento all’evoluzione dell’emergenza sanitaria, all’efficacia delle azioni di contrasto alla pandemia e all’attuazione del piano vaccinale.
L’impatto sull’occupazione è molto vicino a quello stimato dall’Istat, con una perdita di posti di lavoro per il complesso delle imprese italiane (non solo le PMI, ma anche micro e grandi imprese), tra dicembre 2019 e la fine del 2021, di circa 1,3 milioni di unità, pari all’8,2% del totale dei 16 milioni di addetti nelle imprese prima dell’emergenza, la gran parte dei quali impiegati nel settore dei servizi. A livello territoriale, le stime evidenziano perdite assolute più consistenti nel Nord-Ovest (399 mila addetti, -7,8%), rispetto a Nord-Est (322 mila, -8,2%), mentre in termini relativi, gli effetti sarebbero maggiori nel Mezzogiorno (320 mila, -8,4%) e nel Centro Italia (289 mila, -8,9%).
La probabile uscita dal mercato di un numero rilevante di imprese e il ridimensionamento del giro d’affari di molte altre, avranno inevitabili ripercussioni anche sul livello degli investimenti. Secondo le stime, infatti, le società italiane potrebbero perdere, a causa del Covid, 43 miliardi di euro di capitale nel biennio 2020-2021 (-4,8% rispetto ai circa 900 miliardi complessivi di fine 2019).
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza per rilanciare l’economia
Il PNRR rappresenta una grande opportunità di rilancio per il sistema delle imprese, che per essere colta necessita anche del completamento dei disegni di riforma e di un maggiore impulso sul fronte della partnership tra pubblico e privato
Il PNRR intende modificare profondamente il contesto operativo dell’attività economica, orientandolo alla transizione verde e digitale, alla resilienza e alla coesione a più livelli, per cui occorrerebbe affiancarlo con misure che supportino le imprese verso il necessario processo di adeguamento.
Sul piano della coesione, il PNRR identifica tre priorità trasversali: territoriale (Mezzogiorno), di genere (donne) e generazionale (giovani). Riguardo la coesione territoriale, il PNRR evidenzia un impatto moderatamente positivo in termini di convergenza Sud-Nord, la cui reale (ancorché teorica) addizionalità dipenderà da un coerente quadro programmatico generale che comprenda, oltre alla spesa pubblica “ordinaria” per investimenti, anche la programmazione dei Fondi strutturali europei e del Fondo Sviluppo e Coesione (FSC) dei cicli 2014-2020 (in corso di completamento) e 2021-2027 (in fase di avvio).
Proprio il 2021 è, infatti, l’anno di avvio del nuovo ciclo di programmazione dei Fondi strutturali europei: per l’Italia si tratta di circa 83 miliardi di euro, che si sommano ai 28,7 ancora da spendere della programmazione 2014-2020. La sfida sarà quella di saper utilizzare queste risorse, insieme a quelle del FSC, in maniera coordinata e complementare a quelle stanziate per il PNRR, mantenendo allo stesso tempo la loro caratteristica di addizionalità.
Cosa fare per le PMI: proposte di policy
La strategia nazionale per le PMI finora ha previsto principalmente misure “emergenziali” di breve periodo e di sostegno indiretto alle imprese provocando, in particolare per le medie e piccole, effetti evidenti sulla loro struttura finanziaria, con un incremento dell’esposizione debitoria e una conseguente riduzione della loro capacità di investimento.
Per questo è necessario proseguire su basi diverse le politiche di sostegno alle imprese, con misure che affianchino quelle a sostegno della liquidità al fine di favorire la crescita dimensionale delle imprese e il riequilibrio della loro struttura finanziaria.
Vanno nella giusta direzione alcune misure introdotte con il DL Sostegni-bis: la proroga della moratoria di legge per le PMI, la conferma dell’intervento rafforzato del Fondo di Garanzia per le PMI e della “Garanzia Italia” di SACE, l’allungamento dei tempi di restituzione del rimborso dei debiti di emergenza del 2020 dai 6 anni attualmente previsti, fino a 10 anni, le garanzie del Fondo PMI a supporto delle emissioni obbligazionarie (intervento che andrà però rafforzato per abbassare la dimensione delle imprese emittenti e la taglia media delle emissioni).
Continua a mancare, tuttavia, un intervento strutturato e organico per sostenere crescita dimensionale, patrimonializzazione e rafforzamento della struttura finanziaria delle imprese, con particolare riguardo alle PMI e alle MidCap, anche attraverso l’accesso a mercati finanziari alternativi.
In sintesi, andrebbero impostate azioni e strumenti per aiutare le PMI ad intraprendere un sentiero di innovazione e di crescita. Gli spazi e le risorse finanziarie per sostenere una policy dedicata alla ripresa e alla resilienza delle PMI sono ampiamente reperibili anche oltre PNRR, in particolare nella politica di coesione, europea e nazionale, da avviare proprio nel corso del 2021.
Fonte: Confindustria e Cerved
Il Rapporto Regionale PMI 2021, realizzato da Confindustria e Cerved, in collaborazione con Intesa Sanpaolo, analizza le performance economico-finanziarie delle circa 160 mila società di capitale italiane che – impiegando tra 10 e 249 addetti e con un giro d’affari compreso tra 2 e 50 milioni di euro – rientrano nella definizione europea di PMI. Con oltre 94 mila società (54 mila nel Nord-Ovest e 40 mila nel Nord-Est), il Nord è l’area con il numero maggiore di PMI, che registrano comunque una presenza diffusa in tutto il territorio nazionale con 33 mila società nel Centro e 32 mila nel Mezzogiorno. A livello complessivo, il valore aggiunto prodotto è pari a 230 miliardi di euro: il 39% da PMI che hanno sede nel Nord-Ovest, il 28% da società del Nord-Est, il 18% da imprese dell’Italia centrale e il restante 15% da quelle meridionali.
L’impatto del Covid sulla demografia e sui conti economici delle PMI
Il Covid-19 ha determinato una crisi senza precedenti per l’economia italiana, non solo in termini di entità, ma anche per la sua natura particolarmente asimmetrica. L’emergenza sanitaria ha avuto, infatti, conseguenze fortemente diversificate, colpendo in misura particolare i settori più interessati dai lockdown ed esposti alle misure di contenimento come, ad esempio, la ristorazione, il turismo, gli alberghi, i trasporti, l’ingrosso e il dettaglio non alimentare e il sistema moda. Mentre ha inciso in misura meno significativa su altri comparti o addirittura stimolandone positivamente alcuni, come la filiera farmaceutica, il commercio online e l’industria agroalimentare.
In base alle stime, un numero molto consistente di PMI (28 mila, pari al 17,9%) ha subito nel 2020 un calo dei ricavi superiore al 20% (il 17,7% considerando la distribuzione del fatturato). Un terzo delle società analizzate (53 mila) ha fatto registrare un calo dei ricavi più basso, ma comunque significativo (tra -10% e -20%). Circa 63 mila PMI hanno contratto le vendite con tassi a una cifra e solo per le restanti 14 mila società (9,0%) si stima un fatturato in crescita o sui livelli del 2019.
Il Centro risulta l’area geografica con la quota maggiore di imprese operanti nei settori più colpiti dal Covid (23,1% in termini di numerosità e il 24,0% in termini di fatturato), seguito dal Mezzogiorno (18,7% e 19,5%), che però fa registrare anche le percentuali più alte di imprese stabili o in crescita (14,8% in termini di fatturato) oppure con un calo contenuto (37,6%). In ogni caso, anche Nord-Est e Nord-Ovest presentano incidenze molto elevate nei settori colpiti dalla crisi pandemica, con una contrazione delle vendite inferiore al 20%.
In media, il fatturato delle PMI è atteso in calo del 10,6% tra 2019 e 2020. A causa di una specializzazione produttiva caratterizzata da una maggiore esposizione allo shock Covid, gli effetti della pandemia risultano più severi tra le PMI del Centro Italia, con un calo dei ricavi pari all’11,6%. Si registrano cali superiori alla media nazionale anche nel Nord-Est (-10,7%) e lievemente inferiori nel Nord-Ovest (-10,5%), mentre nel Mezzogiorno si registra una flessione più contenuta (-9,4%).
Gli impatti sul rischio delle PMI
Nonostante impatti consistenti, il sistema delle PMI sembra finora aver sostanzialmente tenuto, in parte anche grazie al lungo processo di rafforzamento patrimoniale e finanziario osservato in tutta la Penisola nel precedente decennio, ma soprattutto per via del massiccio impiego di misure emergenziali adottate dal Governo, che hanno mitigato lo shock della pandemia sulle PMI.
I dati sulle abitudini di pagamento delle imprese italiane indicano che durante la fase del lockdown i mancati pagamenti delle PMI sono esplosi in tutta la Penisola, ma poi, con la ripresa dell’attività economica e con la progressiva operatività del Decreto Liquidità sono tornati sostanzialmente alla normalità. Nella fase più acuta, a maggio, le PMI meridionali non hanno saldato il 55% del valore delle fatture in scadenza o già scadute, un dato in forte crescita rispetto al 42% di dicembre 2019. Anche nel resto del Paese, l’indicatore si è impennato, passando dal 38% al 51% nel Centro, dal 31% al 41% nel Nord-Ovest e dal 27% al 36% nel Nord-Est. Alla fine dell’anno il volume dei mancati pagamenti è invece ritornato su livelli simili a quelli dell’anno precedente.
Se a livello complessivo il sistema di PMI, benché più esposto a situazioni di rischio, sembra aver tenuto, nei settori più colpiti dalla pandemia gli effetti sono molto più intensi.
Queste situazioni di forti difficoltà si riflettono sui profili di rischio: la quota di PMI rischiose sale al 28% nei settori maggiormente colpiti dal Covid (il doppio rispetto alla media nazionale), con quote pari al 36,5% nel Mezzogiorno, al 29,4% nel Centro, al 26,9% nel Nord-Ovest e al 20% nel Nord-Est.
In particolare, la presenza di PMI con un concreto rischio di default nei prossimi dodici mesi supera i due terzi tra le società che organizzano fiere e convegni, con percentuali ovunque superiori al 65%, mentre il 40% dei ristoranti è ad alta probabilità di fallimento (17,3% prima del Covid) ma, in questo caso, con ampi divari tra quelli del Nord-Est e quelli del Mezzogiorno (il 50,9%). Risultano a rischio un terzo degli alberghi, anche in questo caso con evidenti gap tra il Nord-Est (20,7%) e le altre aree, con valori massimi al 46,6% nel Mezzogiorno.
Le prospettive e l’effetto su occupazione e investimenti
Nei prossimi mesi saranno al centro dell’attenzione le conseguenze della pandemia sull’occupazione e sugli investimenti, soprattutto per valutare le possibili misure da adottare per compensarne gli effetti negativi e promuovere la ripresa.
A tale scopo, sono state elaborate alcune stime in riferimento all’evoluzione dell’emergenza sanitaria, all’efficacia delle azioni di contrasto alla pandemia e all’attuazione del piano vaccinale.
L’impatto sull’occupazione è molto vicino a quello stimato dall’Istat, con una perdita di posti di lavoro per il complesso delle imprese italiane (non solo le PMI, ma anche micro e grandi imprese), tra dicembre 2019 e la fine del 2021, di circa 1,3 milioni di unità, pari all’8,2% del totale dei 16 milioni di addetti nelle imprese prima dell’emergenza, la gran parte dei quali impiegati nel settore dei servizi. A livello territoriale, le stime evidenziano perdite assolute più consistenti nel Nord-Ovest (399 mila addetti, -7,8%), rispetto a Nord-Est (322 mila, -8,2%), mentre in termini relativi, gli effetti sarebbero maggiori nel Mezzogiorno (320 mila, -8,4%) e nel Centro Italia (289 mila, -8,9%).
La probabile uscita dal mercato di un numero rilevante di imprese e il ridimensionamento del giro d’affari di molte altre, avranno inevitabili ripercussioni anche sul livello degli investimenti. Secondo le stime, infatti, le società italiane potrebbero perdere, a causa del Covid, 43 miliardi di euro di capitale nel biennio 2020-2021 (-4,8% rispetto ai circa 900 miliardi complessivi di fine 2019).
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza per rilanciare l’economia
Il PNRR rappresenta una grande opportunità di rilancio per il sistema delle imprese, che per essere colta necessita anche del completamento dei disegni di riforma e di un maggiore impulso sul fronte della partnership tra pubblico e privato
Il PNRR intende modificare profondamente il contesto operativo dell’attività economica, orientandolo alla transizione verde e digitale, alla resilienza e alla coesione a più livelli, per cui occorrerebbe affiancarlo con misure che supportino le imprese verso il necessario processo di adeguamento.
Sul piano della coesione, il PNRR identifica tre priorità trasversali: territoriale (Mezzogiorno), di genere (donne) e generazionale (giovani). Riguardo la coesione territoriale, il PNRR evidenzia un impatto moderatamente positivo in termini di convergenza Sud-Nord, la cui reale (ancorché teorica) addizionalità dipenderà da un coerente quadro programmatico generale che comprenda, oltre alla spesa pubblica “ordinaria” per investimenti, anche la programmazione dei Fondi strutturali europei e del Fondo Sviluppo e Coesione (FSC) dei cicli 2014-2020 (in corso di completamento) e 2021-2027 (in fase di avvio).
Proprio il 2021 è, infatti, l’anno di avvio del nuovo ciclo di programmazione dei Fondi strutturali europei: per l’Italia si tratta di circa 83 miliardi di euro, che si sommano ai 28,7 ancora da spendere della programmazione 2014-2020. La sfida sarà quella di saper utilizzare queste risorse, insieme a quelle del FSC, in maniera coordinata e complementare a quelle stanziate per il PNRR, mantenendo allo stesso tempo la loro caratteristica di addizionalità.
Cosa fare per le PMI: proposte di policy
La strategia nazionale per le PMI finora ha previsto principalmente misure “emergenziali” di breve periodo e di sostegno indiretto alle imprese provocando, in particolare per le medie e piccole, effetti evidenti sulla loro struttura finanziaria, con un incremento dell’esposizione debitoria e una conseguente riduzione della loro capacità di investimento.
Per questo è necessario proseguire su basi diverse le politiche di sostegno alle imprese, con misure che affianchino quelle a sostegno della liquidità al fine di favorire la crescita dimensionale delle imprese e il riequilibrio della loro struttura finanziaria.
Vanno nella giusta direzione alcune misure introdotte con il DL Sostegni-bis: la proroga della moratoria di legge per le PMI, la conferma dell’intervento rafforzato del Fondo di Garanzia per le PMI e della “Garanzia Italia” di SACE, l’allungamento dei tempi di restituzione del rimborso dei debiti di emergenza del 2020 dai 6 anni attualmente previsti, fino a 10 anni, le garanzie del Fondo PMI a supporto delle emissioni obbligazionarie (intervento che andrà però rafforzato per abbassare la dimensione delle imprese emittenti e la taglia media delle emissioni).
Continua a mancare, tuttavia, un intervento strutturato e organico per sostenere crescita dimensionale, patrimonializzazione e rafforzamento della struttura finanziaria delle imprese, con particolare riguardo alle PMI e alle MidCap, anche attraverso l’accesso a mercati finanziari alternativi.
In sintesi, andrebbero impostate azioni e strumenti per aiutare le PMI ad intraprendere un sentiero di innovazione e di crescita. Gli spazi e le risorse finanziarie per sostenere una policy dedicata alla ripresa e alla resilienza delle PMI sono ampiamente reperibili anche oltre PNRR, in particolare nella politica di coesione, europea e nazionale, da avviare proprio nel corso del 2021.
Fonte: Confindustria e Cerved