Da una parte la necessità di raggiungere economie di scala tese a migliorare la redditività e affrontare la sfida dei colossi del Fintech. Dall’altra, l’impatto del Covid, che inevitabilmente è destinato a riflettersi sui bilanci. Stretto in questa morsa, il settore bancario italiano (e non solo) da tempo è alle prese con l’esigenza di un consolidamento. Le due Opa in serie lanciate nell’ultimo anno da Intesa Sanpaolo su Ubi e da Credit Agricole sul Creval del resto sono lì a dimostrare quanto il mercato sia in fermento. E gli indizi, concordano alcuni dei principali avvocati d’affari specializzati in M&A bancario nonché protagonisti delle ultime due grandi operazioni bancarie, vanno tutti nella direzione di un’accelerazione di questo fenomeno.
Carlo Pedersoli, senior partner dell’omonimo studio legale, che ha seguito in prima persona operazioni come la fusione tra Banca Intesa con il Sanpaolo di Torino e il salvataggio delle banche venete fino all’Opa della stessa Intesa su Ubi, ne è convinto. «La pandemia è destinata inevitabilmente a impattare su tutte le banche: quelle più attrezzate, perché più solide patrimonialmente, potranno affrontare meglio gli inevitabili effetti sulla qualità del portafoglio crediti». A quel punto, «la soluzione non potrà passare solo dalle aggregazioni, perché due soggetti fragili messi insieme non risolvono il problema che prioritariamente deve essere affrontato con il rafforzamento del patrimonio».
Dopo la lunga fase post 2008 – segnata da diverse aggregazioni “obbligate” per fronteggiare gli effetti della crisi finanziaria e del debito – oggi potrebbe aprirsene insomma una differente da quella vista negli ultimi 12 mesi, in cui chi si è mosso per tempo – Ca’ de Sass prima, il gruppo transalpino poi – lo ha fatto per selezionare sul mercato le prede migliori. «La mossa della banca guidata da Carlo Messina in questo senso è un modello – aggiunge Pedersoli – Certo l’operazione è stata tutt’altro che banale: è stata avviata proprio alla vigilia dello scoppio della pandemia, che ne ha condizionato la conduzione, ed è stata realizzata con grande impiego di energie per fronteggiare diverse avversità tra cui l’attività ostile della target». Impegnativo poi lo «sforzo di prevedere in anticipo le possibili criticità antitrust, fatto tutto in brevissimo tempo, in astratto e solo sulla carta basandosi su dati pubblici».
Il grande elemento di novità delle ultime operazioni è stata però la modalità con cui queste due fusioni hanno preso forma. Non si è trattato di aggregazioni concordate, come invece avvenuto in passato, ma di offerte non concordate che hanno aperto scontri proprio sotto il profilo legale. «L’offerta pubblica disintermedia il management e si rivolge direttamente agli azionisti – spiega Stefano Cacchi Pessani, partner e membro del Focus team banche di BonelliErede, che ha assistito il Credit Agricole nell’operazione sul Creval e Ubi nel confronto con Intesa – È fisiologico che in questo contesto possano crearsi delle frizioni tra l’offerente e il Consiglio della target». A questo va aggiunto inoltre «come le banche oggi siano le uniche vere public company sul mercato: la riforma delle Popolari ha fatto sì che grandi banche diventassero di colpo public company scalabili».
C’è poi un ulteriore elemento di diversità rispetto al passato. Ed è l’incombenza del Vigilante, oggi rappresentato dalla Bce. Per Roberto Cappelli, partner di Cappelli Rccd che segue ed ha assistito a lungo Unicredit in tutte le operazioni strategiche recenti e il Creval nell’Opa Agricole, concorda sul fatto che questa componente comporti un cambio strutturale nell’approccio al tema del consolidamento. «Se in passato Bankitalia era il soggetto che in virtù della sua competenza aveva anche una visione chiara dell’evoluzione del sistema, oggi la responsabilità di vigilanza prudenziale spetta a Bce, che per sua natura e per distanza geografica è più attenta agli aspetti puramente regolamentari», spiega l’avvocato. Non solo.
Altro vettore di cambiamento nel mondo dell’M&A bancario è la progressiva presa di consapevolezza da parte delle banche che «serve un cambio di passo nelle logiche di apparentamento». Si è così passati «da un approccio che garantiva spazi per ragionare localmente nelle fusioni, con tutti i suoi pro e contro» a una visione «più industriale e meno localistica, che è vocata a rendere più efficiente il sistema e a creare economie di scala». La pandemia e i suoi drammatici effetti, sanitari, sociali ed economici sono sotto gli occhi di tutti. «L’unico aspetto positivo, se lo vogliamo vedere – aggiunge Cappelli – è che questa condizione ha creato le condizioni economiche perché le aggregazioni prendano forma, non sfruttare l’occasione sarebbe un errore imperdonabile».
Autore: Luca Davi
Fonte: Il Sole 24 Ore
Da una parte la necessità di raggiungere economie di scala tese a migliorare la redditività e affrontare la sfida dei colossi del Fintech. Dall’altra, l’impatto del Covid, che inevitabilmente è destinato a riflettersi sui bilanci. Stretto in questa morsa, il settore bancario italiano (e non solo) da tempo è alle prese con l’esigenza di un consolidamento. Le due Opa in serie lanciate nell’ultimo anno da Intesa Sanpaolo su Ubi e da Credit Agricole sul Creval del resto sono lì a dimostrare quanto il mercato sia in fermento. E gli indizi, concordano alcuni dei principali avvocati d’affari specializzati in M&A bancario nonché protagonisti delle ultime due grandi operazioni bancarie, vanno tutti nella direzione di un’accelerazione di questo fenomeno.
Carlo Pedersoli, senior partner dell’omonimo studio legale, che ha seguito in prima persona operazioni come la fusione tra Banca Intesa con il Sanpaolo di Torino e il salvataggio delle banche venete fino all’Opa della stessa Intesa su Ubi, ne è convinto. «La pandemia è destinata inevitabilmente a impattare su tutte le banche: quelle più attrezzate, perché più solide patrimonialmente, potranno affrontare meglio gli inevitabili effetti sulla qualità del portafoglio crediti». A quel punto, «la soluzione non potrà passare solo dalle aggregazioni, perché due soggetti fragili messi insieme non risolvono il problema che prioritariamente deve essere affrontato con il rafforzamento del patrimonio».
Dopo la lunga fase post 2008 – segnata da diverse aggregazioni “obbligate” per fronteggiare gli effetti della crisi finanziaria e del debito – oggi potrebbe aprirsene insomma una differente da quella vista negli ultimi 12 mesi, in cui chi si è mosso per tempo – Ca’ de Sass prima, il gruppo transalpino poi – lo ha fatto per selezionare sul mercato le prede migliori. «La mossa della banca guidata da Carlo Messina in questo senso è un modello – aggiunge Pedersoli – Certo l’operazione è stata tutt’altro che banale: è stata avviata proprio alla vigilia dello scoppio della pandemia, che ne ha condizionato la conduzione, ed è stata realizzata con grande impiego di energie per fronteggiare diverse avversità tra cui l’attività ostile della target». Impegnativo poi lo «sforzo di prevedere in anticipo le possibili criticità antitrust, fatto tutto in brevissimo tempo, in astratto e solo sulla carta basandosi su dati pubblici».
Il grande elemento di novità delle ultime operazioni è stata però la modalità con cui queste due fusioni hanno preso forma. Non si è trattato di aggregazioni concordate, come invece avvenuto in passato, ma di offerte non concordate che hanno aperto scontri proprio sotto il profilo legale. «L’offerta pubblica disintermedia il management e si rivolge direttamente agli azionisti – spiega Stefano Cacchi Pessani, partner e membro del Focus team banche di BonelliErede, che ha assistito il Credit Agricole nell’operazione sul Creval e Ubi nel confronto con Intesa – È fisiologico che in questo contesto possano crearsi delle frizioni tra l’offerente e il Consiglio della target». A questo va aggiunto inoltre «come le banche oggi siano le uniche vere public company sul mercato: la riforma delle Popolari ha fatto sì che grandi banche diventassero di colpo public company scalabili».
C’è poi un ulteriore elemento di diversità rispetto al passato. Ed è l’incombenza del Vigilante, oggi rappresentato dalla Bce. Per Roberto Cappelli, partner di Cappelli Rccd che segue ed ha assistito a lungo Unicredit in tutte le operazioni strategiche recenti e il Creval nell’Opa Agricole, concorda sul fatto che questa componente comporti un cambio strutturale nell’approccio al tema del consolidamento. «Se in passato Bankitalia era il soggetto che in virtù della sua competenza aveva anche una visione chiara dell’evoluzione del sistema, oggi la responsabilità di vigilanza prudenziale spetta a Bce, che per sua natura e per distanza geografica è più attenta agli aspetti puramente regolamentari», spiega l’avvocato. Non solo.
Altro vettore di cambiamento nel mondo dell’M&A bancario è la progressiva presa di consapevolezza da parte delle banche che «serve un cambio di passo nelle logiche di apparentamento». Si è così passati «da un approccio che garantiva spazi per ragionare localmente nelle fusioni, con tutti i suoi pro e contro» a una visione «più industriale e meno localistica, che è vocata a rendere più efficiente il sistema e a creare economie di scala». La pandemia e i suoi drammatici effetti, sanitari, sociali ed economici sono sotto gli occhi di tutti. «L’unico aspetto positivo, se lo vogliamo vedere – aggiunge Cappelli – è che questa condizione ha creato le condizioni economiche perché le aggregazioni prendano forma, non sfruttare l’occasione sarebbe un errore imperdonabile».
Autore: Luca Davi
Fonte: Il Sole 24 Ore