«Nessun baratro ma un plateau: se le banche gestiranno rapidamente e bene l’aumento dei crediti deteriorati, se i governi interverranno con misure adeguate di sostegno pubblico, l’impennata dei NPLs potrà essere evitata per colpa della pandemia e le banche continueranno ad essere parte della soluzione mantenendo aperto il rubinetto del credito». Così Isabelle Vaillant, direttore Eba responsabile per le regole prudenziali, in questa intervista esclusiva.
Qual è lo stato di salute delle banche europee in questo anno di uscita lenta alla pandemia?
L’incertezza sui tempi di uscita della crisi permane ma va controbilanciata con una dose di ottimismo. Il livello attuale della solidità delle banche è per me motivo di ottimismo, mi rende ottimista. Quando le banche europee sono entrate in questa pandemia erano solide e lo sono tuttora. Abbiamo potuto navigare questa crisi economica con il supporto delle banche e questo è potuto accadere perché abbiamo lavorato molto alla solidità delle banche prima della crisi. Il sistema bancario ha dato finora un contributo importante continuando a erogare prestiti e le banche sono state parte della soluzione. E stanno continuando a prestare. Per me è fondamentale che in questa fase di incertezza le banche possano continuare a finanziare l’economia: dobbiamo fare in modo che si vada avanti così.
E questa solidità la trova anche nelle banche italiane?
L’Italia è uno dei Paesi più colpiti dalla pandemia ma le banche italiane hanno mostrato resilienza, si sono mantenute nella media europea dei ratios patrimoniali. E questo è un buon risultato, perché non danno segno di aver dovuto assorbire un colpo più duro di altre banche in Europa. Anche nella gestione dei NPLs, le banche italiane hanno ridotto le sofferenze nel 2019, e nel 2020 questo trend è continuato, sono rimaste in linea.
Per aiutare le banche a gestire la crisi pandemica e continuare a erogare prestiti, l’Eba ha introdotto flessibilità nelle regole: ha funzionato? Le linee guida sulle moratorie sono scadute: verranno rinnovate?
Dare flessibilità alle regole è stato uno degli interventi chiave. Quando abbiamo ritenuto opportuno introdurre le linee guida sulle moratorie, per evitare automatismi, lo abbiamo fatto. E le abbiamo estese quando necessario. Ora è tempo di monitorare la situazione: monitorare, monitorare, questo è quello che l’Eba sta facendo adesso. Tuttavia in questa fase non abbiamo intenzione di estendere ulteriormente le linee guida. Le moratorie sono scadute o stanno scadendo e la finestra di sospensione degli automatismi si è chiusa. Stiamo monitorando da vicino la situazione: è il nostro compito principale questa primavera, la più alta priorità.
Non si corre il rischio del cosiddetto “effetto baratro”, la grande ondata di NPLs finite le moratorie? Le banche chiedono un ritorno graduale alla normalità delle regole…
Il rischio di un grande aumento delle sofferenze, come avevamo previsto nella fase iniziale della crisi pandemica, non si è verificato nel senso che nel 2020 non abbiamo rilevato un’impennata dei NPLs. C’è stato un aumento finora, ma modesto. Siamo entrati in una nuova fase, la fase di transizione in uscita dalla crisi, è il momento di pulire i bilanci dai crediti deteriorati. Inizialmente avevamo previsto un picco di sofferenze, ma direi che potrebbe trattarsi piuttosto di un “plateau”, una transizione morbida che potrebbe durare due o tre anni verso una nuova economia. Per questo preferiamo che le banche restino prudenti nella loro analisi del portafoglio dei prestiti, anche per accompagnare quello che sarà un cambiamento strutturale verso un nuovo modello di economia. E poi l’aumento dei crediti deteriorati sarà chiaramente circoscritto ad alcuni settori, non sarà diffuso. In quanto al picco che avevano previsto, non si è verificato per ora e quindi la situazione potrebbe evolversi in altro modo, con una transizione più graduale e anche con uno spostamento dalle banche ai conti pubblici.
In che senso?
Gradualmente il ruolo dello Stato crescerà, le garanzie pubbliche verranno escusse. E questa transizione, con un ruolo crescente dello Stato, sarà importante. Ma intanto le banche dovranno continuare a fare gli accantonamenti per le perdite attese. Le banche devono fare il loro lavoro, devono intervenire in anticipo, portare avanti la ricognizione dei rischi di credito in arrivo e la pianificazione del capitale, devono far emergere le situazioni di difficoltà delle controparti il prima possibile. Lo stanno facendo, ma troppo lentamente. Per questo sollecitiamo che le banche facciano il loro lavoro senza indugio. Questo è il momento di analizzare ogni prestito, ogni pratica. Le banche conoscono la clientela in maniera approfondita, sono in grado di intercettare e identificare le difficoltà del singolo cliente e intervenire dialogando con le controparti e dove necessario ristrutturare i debiti.
Ma sotto la moratoria non è difficile rilevare il reale rischio di inadempienza?
Sappiamo che c’è una grande differenza tra le diverse categorie di prestiti. Molte moratorie sono scadute o stanno scadendo e le moratorie che vengono rinnovate sono sui prestiti più rischiosi. E quindi proprio adesso si apre una fase importante di monitoraggio e di valutazione delle esposizioni. E’ fondamentale che ora le banche siano attive e facciano emergere il prima possibile le inadempienze probabili, ed è su questo che le stiamo sollecitando. La situazione è più complicata e incerta quando il lockdown continua. Ma abbiamo indicato alle banche come ci aspettiamo che debbano intervenire, velocemente e non lentamente. Stiamo discutendo con i supervisori come accelerare questo processo.
Alcune banche europee stanno riducendo gli accantonamenti per le perdite attese, perché i crediti deteriorati sono inferiori a quanto previsto. Condivide questo ottimismo?
Le banche americane hanno ridotto gli accantonamenti, forse sui prestiti protetti dalla garanzia dello Stato. Noi preferiamo sottolineare che restano molte incertezze e consigliamo alle banche di essere caute, cioè di identificare ora i rischi invece di rimandarli.
I buffers di capitale e di liquidità non sono stati usati molto. È colpa dello “stigma”?
Si tratta di due buffers molto diversi, capitale e liquidità. Per la gestione del capitale, è importante la pianificazione. Le banche devono affrontare molte incertezze, non solo la pandemia: le banche devono gestire la transizione verso una nuova economia, più digitalizzazione e maggiore lotta al cambiamento climatico, l’aumento della competizione da parte di operatori non tradizionali e non bancari, le riforme della regolamentazione, nuove catene di valore. Lo stigma sui buffers di capitale secondo me non è il motivo principale che ne ha frenato l’utilizzo, ma è una questione di management, di gestione attiva del capitale. Non è prudente abbassare le soglie del capitale rispetto a tutta una serie di incertezze e in questo posso capire le banche. Il buffer di capitale è attorno al 5% ed è molto elevato ed è comprensibile che le banche non abbiano voluto utilizzarlo. La liquidità è diversa dal capitale. Non è chiaro che il liquidity ratio deve essere usato in situazioni di stress e che le banche possono scendere sotto il 100%. Questo messaggio non è stato capito, soprattutto dalle agenzie di rating. E questo andrà chiarito. Nell’ambito di Basilea, stiamo pensando a una revisione della struttura dei buffers e del loro utilizzo. In Europa i buffers sono molto stratificati, esistono numerosi livelli di intervento, abbiamo contato 11 triggers. Come autorità di regolamentazione, per noi è importante che gli investitori capiscano bene il ruolo dei buffers. E ci stiamo occupando di questo, c’è una revisione in corso.
Questo è anche l’anno degli stress test, in piena pandemia: cosa si aspetta?
Gli stress test quest’anno sono molto importanti, sono particolarmente rilevanti perché misurano lo stato di salute del sistema bancario, in prospettiva e rispetto a scenari avversi. Non è un esame di promossi o bocciati. Il risultato degli stress test sarà un punto di partenza per capire in maniera approfondita come ciascuna banca potrà navigare e traghettare verso l’uscita dalla crisi. Più ancora quest’anno rispetto al passato, è importante poter valutare banca per banca la resilienza alla crisi e come ogni banca pensa di poterne uscire, con quali strategie, con quale tempistica. Emergeranno differenze tra banche, sarà interessante.
L’Eba quest’anno compie dieci anni. Qual è la sua valutazione di questo primo decennio?
Molto è stato fatto ma molto resta ancora da fare. Dobbiamo completare l’Unione bancaria, la garanzia unica sui depositi Edis è fondamentale. Inoltre l’Europa deve al più presto dotarsi di un set di regole per gestire l’insolvenza delle banche più piccole.
Fonte: Il Sole 24 Ore
«Nessun baratro ma un plateau: se le banche gestiranno rapidamente e bene l’aumento dei crediti deteriorati, se i governi interverranno con misure adeguate di sostegno pubblico, l’impennata dei NPLs potrà essere evitata per colpa della pandemia e le banche continueranno ad essere parte della soluzione mantenendo aperto il rubinetto del credito». Così Isabelle Vaillant, direttore Eba responsabile per le regole prudenziali, in questa intervista esclusiva.
Qual è lo stato di salute delle banche europee in questo anno di uscita lenta alla pandemia?
L’incertezza sui tempi di uscita della crisi permane ma va controbilanciata con una dose di ottimismo. Il livello attuale della solidità delle banche è per me motivo di ottimismo, mi rende ottimista. Quando le banche europee sono entrate in questa pandemia erano solide e lo sono tuttora. Abbiamo potuto navigare questa crisi economica con il supporto delle banche e questo è potuto accadere perché abbiamo lavorato molto alla solidità delle banche prima della crisi. Il sistema bancario ha dato finora un contributo importante continuando a erogare prestiti e le banche sono state parte della soluzione. E stanno continuando a prestare. Per me è fondamentale che in questa fase di incertezza le banche possano continuare a finanziare l’economia: dobbiamo fare in modo che si vada avanti così.
E questa solidità la trova anche nelle banche italiane?
L’Italia è uno dei Paesi più colpiti dalla pandemia ma le banche italiane hanno mostrato resilienza, si sono mantenute nella media europea dei ratios patrimoniali. E questo è un buon risultato, perché non danno segno di aver dovuto assorbire un colpo più duro di altre banche in Europa. Anche nella gestione dei NPLs, le banche italiane hanno ridotto le sofferenze nel 2019, e nel 2020 questo trend è continuato, sono rimaste in linea.
Per aiutare le banche a gestire la crisi pandemica e continuare a erogare prestiti, l’Eba ha introdotto flessibilità nelle regole: ha funzionato? Le linee guida sulle moratorie sono scadute: verranno rinnovate?
Dare flessibilità alle regole è stato uno degli interventi chiave. Quando abbiamo ritenuto opportuno introdurre le linee guida sulle moratorie, per evitare automatismi, lo abbiamo fatto. E le abbiamo estese quando necessario. Ora è tempo di monitorare la situazione: monitorare, monitorare, questo è quello che l’Eba sta facendo adesso. Tuttavia in questa fase non abbiamo intenzione di estendere ulteriormente le linee guida. Le moratorie sono scadute o stanno scadendo e la finestra di sospensione degli automatismi si è chiusa. Stiamo monitorando da vicino la situazione: è il nostro compito principale questa primavera, la più alta priorità.
Non si corre il rischio del cosiddetto “effetto baratro”, la grande ondata di NPLs finite le moratorie? Le banche chiedono un ritorno graduale alla normalità delle regole…
Il rischio di un grande aumento delle sofferenze, come avevamo previsto nella fase iniziale della crisi pandemica, non si è verificato nel senso che nel 2020 non abbiamo rilevato un’impennata dei NPLs. C’è stato un aumento finora, ma modesto. Siamo entrati in una nuova fase, la fase di transizione in uscita dalla crisi, è il momento di pulire i bilanci dai crediti deteriorati. Inizialmente avevamo previsto un picco di sofferenze, ma direi che potrebbe trattarsi piuttosto di un “plateau”, una transizione morbida che potrebbe durare due o tre anni verso una nuova economia. Per questo preferiamo che le banche restino prudenti nella loro analisi del portafoglio dei prestiti, anche per accompagnare quello che sarà un cambiamento strutturale verso un nuovo modello di economia. E poi l’aumento dei crediti deteriorati sarà chiaramente circoscritto ad alcuni settori, non sarà diffuso. In quanto al picco che avevano previsto, non si è verificato per ora e quindi la situazione potrebbe evolversi in altro modo, con una transizione più graduale e anche con uno spostamento dalle banche ai conti pubblici.
In che senso?
Gradualmente il ruolo dello Stato crescerà, le garanzie pubbliche verranno escusse. E questa transizione, con un ruolo crescente dello Stato, sarà importante. Ma intanto le banche dovranno continuare a fare gli accantonamenti per le perdite attese. Le banche devono fare il loro lavoro, devono intervenire in anticipo, portare avanti la ricognizione dei rischi di credito in arrivo e la pianificazione del capitale, devono far emergere le situazioni di difficoltà delle controparti il prima possibile. Lo stanno facendo, ma troppo lentamente. Per questo sollecitiamo che le banche facciano il loro lavoro senza indugio. Questo è il momento di analizzare ogni prestito, ogni pratica. Le banche conoscono la clientela in maniera approfondita, sono in grado di intercettare e identificare le difficoltà del singolo cliente e intervenire dialogando con le controparti e dove necessario ristrutturare i debiti.
Ma sotto la moratoria non è difficile rilevare il reale rischio di inadempienza?
Sappiamo che c’è una grande differenza tra le diverse categorie di prestiti. Molte moratorie sono scadute o stanno scadendo e le moratorie che vengono rinnovate sono sui prestiti più rischiosi. E quindi proprio adesso si apre una fase importante di monitoraggio e di valutazione delle esposizioni. E’ fondamentale che ora le banche siano attive e facciano emergere il prima possibile le inadempienze probabili, ed è su questo che le stiamo sollecitando. La situazione è più complicata e incerta quando il lockdown continua. Ma abbiamo indicato alle banche come ci aspettiamo che debbano intervenire, velocemente e non lentamente. Stiamo discutendo con i supervisori come accelerare questo processo.
Alcune banche europee stanno riducendo gli accantonamenti per le perdite attese, perché i crediti deteriorati sono inferiori a quanto previsto. Condivide questo ottimismo?
Le banche americane hanno ridotto gli accantonamenti, forse sui prestiti protetti dalla garanzia dello Stato. Noi preferiamo sottolineare che restano molte incertezze e consigliamo alle banche di essere caute, cioè di identificare ora i rischi invece di rimandarli.
I buffers di capitale e di liquidità non sono stati usati molto. È colpa dello “stigma”?
Si tratta di due buffers molto diversi, capitale e liquidità. Per la gestione del capitale, è importante la pianificazione. Le banche devono affrontare molte incertezze, non solo la pandemia: le banche devono gestire la transizione verso una nuova economia, più digitalizzazione e maggiore lotta al cambiamento climatico, l’aumento della competizione da parte di operatori non tradizionali e non bancari, le riforme della regolamentazione, nuove catene di valore. Lo stigma sui buffers di capitale secondo me non è il motivo principale che ne ha frenato l’utilizzo, ma è una questione di management, di gestione attiva del capitale. Non è prudente abbassare le soglie del capitale rispetto a tutta una serie di incertezze e in questo posso capire le banche. Il buffer di capitale è attorno al 5% ed è molto elevato ed è comprensibile che le banche non abbiano voluto utilizzarlo. La liquidità è diversa dal capitale. Non è chiaro che il liquidity ratio deve essere usato in situazioni di stress e che le banche possono scendere sotto il 100%. Questo messaggio non è stato capito, soprattutto dalle agenzie di rating. E questo andrà chiarito. Nell’ambito di Basilea, stiamo pensando a una revisione della struttura dei buffers e del loro utilizzo. In Europa i buffers sono molto stratificati, esistono numerosi livelli di intervento, abbiamo contato 11 triggers. Come autorità di regolamentazione, per noi è importante che gli investitori capiscano bene il ruolo dei buffers. E ci stiamo occupando di questo, c’è una revisione in corso.
Questo è anche l’anno degli stress test, in piena pandemia: cosa si aspetta?
Gli stress test quest’anno sono molto importanti, sono particolarmente rilevanti perché misurano lo stato di salute del sistema bancario, in prospettiva e rispetto a scenari avversi. Non è un esame di promossi o bocciati. Il risultato degli stress test sarà un punto di partenza per capire in maniera approfondita come ciascuna banca potrà navigare e traghettare verso l’uscita dalla crisi. Più ancora quest’anno rispetto al passato, è importante poter valutare banca per banca la resilienza alla crisi e come ogni banca pensa di poterne uscire, con quali strategie, con quale tempistica. Emergeranno differenze tra banche, sarà interessante.
L’Eba quest’anno compie dieci anni. Qual è la sua valutazione di questo primo decennio?
Molto è stato fatto ma molto resta ancora da fare. Dobbiamo completare l’Unione bancaria, la garanzia unica sui depositi Edis è fondamentale. Inoltre l’Europa deve al più presto dotarsi di un set di regole per gestire l’insolvenza delle banche più piccole.
Fonte: Il Sole 24 Ore