Per i Tribunali italiani il 2020 ha rappresentato un’occasione persa per la riduzione del carico di procedure pendenti. Nonostante durante i mesi di lockdown, e successivamente con la moratoria sui mutui, si siano bloccate le nuove istanze fallimentari in tutti i Tribunali d’Italia, le aule non hanno ridotto il numero di procedure accumulate. Una giustizia a due facce, si potrebbe definire, con un calo importante di nuove pratiche, che ha raggiunto il 30%, cui ha corrisposto una diminuzione di appena il 7% dello stock di lavoro che giace nei cassetti.
E’ il quadro che emerge dalla seconda edizione di Cherry Sea, startup che utilizza l’intelligenza artificiale nel settore del credito deteriorato e che realizza analisi su performance e tempi della giustizia dei Tribunali italiani. Tramite il portale del Ministero della Giustizia, la piattaforma ha fotografato l’impatto del Covid sull’attività dei 140 Tribunali italiani, cercando di capire dove si può intervenire per aiutare la nostra giustizia a rimettersi in modo, contribuendo a far ripartire l’economia.
“Per i Tribunali italiani il 2020 è stato un anno problematico e sarà interessante osservare il comportamento di quest’anno per capire come si stanno preparando a gestire il 2022, quando con la fine delle moratorie aumenteranno le procedure fallimentari – ha spiegato Giacomo Fava, Lead Artificial Intelligence Engineer di Cherry srl – Nonostante un minore afflusso di nuovo lavoro, i Tribunali non sono intervenuti in maniera efficace sullo stock di pratiche che a fine 2020 sono risultate essere oltre 77mila contro le 83mila del 2019”.
Tra i 20 Tribunali più attivi, Milano e Roma restano in testa alla classifica per numero di pratiche aperte, pur registrando cali del 35% e del 49% rispetto al 2019. Il calo più basso l’ha registrato il Tribunale di Padova, dove nel 2020 sono state iscritte 162 procedure, il 12% in meno dell’anno precedente. Il Tribunale di Roma ha aperto la metà delle procedure fallimentari rispetto al 2019, ma ha chiuso con un -17% di performance rispetto al 2019. A proposito di performance, il Clearance Rate è stato positivo per tutti i Tribunali che sono riusciti a chiudere nell’anno più pratiche di quante ne venissero aperte, con un tasso medio di smaltimento del 174% (nel 2019 un Tribunale su quattro presentava un Clearance Rate inferiore al 100%).
Il Covid ha impattato profondamente sull’efficienza dei Tribunali italiani che, rispetto al 2019, hanno chiuso meno pratiche, con un calo medio del 10%. Solo 3 Tribunali su 20 sono riusciti a chiudere nel 2020 più procedimenti rispetto all’anno precedente: Verona, Catania e Padova hanno definito rispettivamente il 40%, il 30% e il 4% di procedure in più rispetto al 2019, mentre Treviso e Bergamo si sono mantenuti sugli standard passati. All’estremo opposto troviamo Monza (-40%), Torino (-35%) e Genova (-32%). Monza si posiziona anche all’ultimo posto, insieme a Cagliari e Bari, della classifica dei Tribunali che hanno ridotto in percentuale minore il proprio stock di procedure (appena il 2% delle pratiche pendenti). Palermo, Treviso e Modena registrano le performance migliori con percentuali di riduzione degli stock tra il 14 e il 13%. Modena, inoltre, risulta il Tribunale con il minor numero di procedure pendenti (762), preceduto solo da Genova (722). Roma e Milano hanno gli stock più consistenti con 4905 e 4788 pratiche ferme, diminuite in entrambi i casi del 5% rispetto al 2019.
Altro tallone d’Achille della giustizia italiana, peggiorato ulteriormente durante l’emergenza sanitaria, sono i tempi: per offrire una stima della durata dei procedimenti, è stata utilizzata la metrica del Disposition Time, già adottata dalla Commissione europea per l’efficienza della giustizia, che misura il tempo necessario per smaltire i procedimenti pendenti alla fine di un dato anno. La media è di 5,77 anni, in aumento rispetto ai 5,33 anni del 2019. Agli estremi troviamo Modena con 3,39 anni e Bari con 12,69. Solo 8 Tribunali hanno ridotto i tempi rispetto al 2019, con Verona che si è “velocizzata” del 30% passando da 7,21 a 4,74 anni.
“I mesi del lockdown hanno paralizzato l’attività dei Tribunali italiani perché nessuno si azzardava a fare istanze di fallimento, e nella seconda parte dell’anno, la moratoria ha rallentato tutto – ha commentato Giovanni Bossi, fondatore di Cherry NPL – Per noi le procedure fallimentari che restano in pancia ai Tribunali rappresentano risorse bloccate perché di fatto sono crediti che non possono rientrare nel circuito dell’economia reale e parliamo di svariati miliardi di euro. Dobbiamo aspettare la fine della moratoria per capire cosa succederà perché nessuno di noi ha dati precisi sul futuro. Il nostro auspicio è che si arrivi allo stop nella maniera più equilibrata possibile e che si riesca ad incidere magari rivedendo la normativa fallimentare di impresa. Le banche sono chiamate a discriminare tra chi sarà capace di ripartire, producendo numeri reali, lasciando andare le imprese zombie, che non potranno essere salvate. La parola chiave è predizione che vuol dire avere la capacità di leggere il futuro appoggiandosi su informazioni con un’importante componente qualitativa. L’Intelligenza Artificiale può aiutare, ma a monte deve esserci una capacità umana di elaborare i dati”.
“La nostra piattaforma ci permetterà in modo eccellente di monitorare il fenomeno, quando sarà importantissimo avere dei dati storici su cui compararsi per capirne l’impatto – ha aggiunto Bossi – Il driver da tenere in considerazione non è ciò che è stato, ma ciò che sarà ovvero quale sarà la capacità dell’impresa di generare profitti. Bisognerebbe anticipare le scadenze, andando a parlare prima con i clienti, disapplicando i sistemi automatici di merito creditizio, basati sui bilanci del 2020”.
Rispetto all’ipotesi del “giubileo bancario” Bossi ha espresso una considerazione generale: “Nel dialogo tra debitore e creditore c’è un equilibrio molto delicato, che può essere spostato dal legislatore, ma ogni qualvolta questo equilibrio si sposta verso una parte piuttosto che un’altra si incentiva l’una a scapito dell’altra. Se dico al sistema che i creditori non possono più recuperare i debiti, si verifica quell’incentivo non virtuoso tipico dei condoni fiscali, e il rischio è che in futuro il credito possa costare molto di più”.
Per i Tribunali italiani il 2020 ha rappresentato un’occasione persa per la riduzione del carico di procedure pendenti. Nonostante durante i mesi di lockdown, e successivamente con la moratoria sui mutui, si siano bloccate le nuove istanze fallimentari in tutti i Tribunali d’Italia, le aule non hanno ridotto il numero di procedure accumulate. Una giustizia a due facce, si potrebbe definire, con un calo importante di nuove pratiche, che ha raggiunto il 30%, cui ha corrisposto una diminuzione di appena il 7% dello stock di lavoro che giace nei cassetti.
E’ il quadro che emerge dalla seconda edizione di Cherry Sea, startup che utilizza l’intelligenza artificiale nel settore del credito deteriorato e che realizza analisi su performance e tempi della giustizia dei Tribunali italiani. Tramite il portale del Ministero della Giustizia, la piattaforma ha fotografato l’impatto del Covid sull’attività dei 140 Tribunali italiani, cercando di capire dove si può intervenire per aiutare la nostra giustizia a rimettersi in modo, contribuendo a far ripartire l’economia.
“Per i Tribunali italiani il 2020 è stato un anno problematico e sarà interessante osservare il comportamento di quest’anno per capire come si stanno preparando a gestire il 2022, quando con la fine delle moratorie aumenteranno le procedure fallimentari – ha spiegato Giacomo Fava, Lead Artificial Intelligence Engineer di Cherry srl – Nonostante un minore afflusso di nuovo lavoro, i Tribunali non sono intervenuti in maniera efficace sullo stock di pratiche che a fine 2020 sono risultate essere oltre 77mila contro le 83mila del 2019”.
Tra i 20 Tribunali più attivi, Milano e Roma restano in testa alla classifica per numero di pratiche aperte, pur registrando cali del 35% e del 49% rispetto al 2019. Il calo più basso l’ha registrato il Tribunale di Padova, dove nel 2020 sono state iscritte 162 procedure, il 12% in meno dell’anno precedente. Il Tribunale di Roma ha aperto la metà delle procedure fallimentari rispetto al 2019, ma ha chiuso con un -17% di performance rispetto al 2019. A proposito di performance, il Clearance Rate è stato positivo per tutti i Tribunali che sono riusciti a chiudere nell’anno più pratiche di quante ne venissero aperte, con un tasso medio di smaltimento del 174% (nel 2019 un Tribunale su quattro presentava un Clearance Rate inferiore al 100%).
Il Covid ha impattato profondamente sull’efficienza dei Tribunali italiani che, rispetto al 2019, hanno chiuso meno pratiche, con un calo medio del 10%. Solo 3 Tribunali su 20 sono riusciti a chiudere nel 2020 più procedimenti rispetto all’anno precedente: Verona, Catania e Padova hanno definito rispettivamente il 40%, il 30% e il 4% di procedure in più rispetto al 2019, mentre Treviso e Bergamo si sono mantenuti sugli standard passati. All’estremo opposto troviamo Monza (-40%), Torino (-35%) e Genova (-32%). Monza si posiziona anche all’ultimo posto, insieme a Cagliari e Bari, della classifica dei Tribunali che hanno ridotto in percentuale minore il proprio stock di procedure (appena il 2% delle pratiche pendenti). Palermo, Treviso e Modena registrano le performance migliori con percentuali di riduzione degli stock tra il 14 e il 13%. Modena, inoltre, risulta il Tribunale con il minor numero di procedure pendenti (762), preceduto solo da Genova (722). Roma e Milano hanno gli stock più consistenti con 4905 e 4788 pratiche ferme, diminuite in entrambi i casi del 5% rispetto al 2019.
Altro tallone d’Achille della giustizia italiana, peggiorato ulteriormente durante l’emergenza sanitaria, sono i tempi: per offrire una stima della durata dei procedimenti, è stata utilizzata la metrica del Disposition Time, già adottata dalla Commissione europea per l’efficienza della giustizia, che misura il tempo necessario per smaltire i procedimenti pendenti alla fine di un dato anno. La media è di 5,77 anni, in aumento rispetto ai 5,33 anni del 2019. Agli estremi troviamo Modena con 3,39 anni e Bari con 12,69. Solo 8 Tribunali hanno ridotto i tempi rispetto al 2019, con Verona che si è “velocizzata” del 30% passando da 7,21 a 4,74 anni.
“I mesi del lockdown hanno paralizzato l’attività dei Tribunali italiani perché nessuno si azzardava a fare istanze di fallimento, e nella seconda parte dell’anno, la moratoria ha rallentato tutto – ha commentato Giovanni Bossi, fondatore di Cherry NPL – Per noi le procedure fallimentari che restano in pancia ai Tribunali rappresentano risorse bloccate perché di fatto sono crediti che non possono rientrare nel circuito dell’economia reale e parliamo di svariati miliardi di euro. Dobbiamo aspettare la fine della moratoria per capire cosa succederà perché nessuno di noi ha dati precisi sul futuro. Il nostro auspicio è che si arrivi allo stop nella maniera più equilibrata possibile e che si riesca ad incidere magari rivedendo la normativa fallimentare di impresa. Le banche sono chiamate a discriminare tra chi sarà capace di ripartire, producendo numeri reali, lasciando andare le imprese zombie, che non potranno essere salvate. La parola chiave è predizione che vuol dire avere la capacità di leggere il futuro appoggiandosi su informazioni con un’importante componente qualitativa. L’Intelligenza Artificiale può aiutare, ma a monte deve esserci una capacità umana di elaborare i dati”.
“La nostra piattaforma ci permetterà in modo eccellente di monitorare il fenomeno, quando sarà importantissimo avere dei dati storici su cui compararsi per capirne l’impatto – ha aggiunto Bossi – Il driver da tenere in considerazione non è ciò che è stato, ma ciò che sarà ovvero quale sarà la capacità dell’impresa di generare profitti. Bisognerebbe anticipare le scadenze, andando a parlare prima con i clienti, disapplicando i sistemi automatici di merito creditizio, basati sui bilanci del 2020”.
Rispetto all’ipotesi del “giubileo bancario” Bossi ha espresso una considerazione generale: “Nel dialogo tra debitore e creditore c’è un equilibrio molto delicato, che può essere spostato dal legislatore, ma ogni qualvolta questo equilibrio si sposta verso una parte piuttosto che un’altra si incentiva l’una a scapito dell’altra. Se dico al sistema che i creditori non possono più recuperare i debiti, si verifica quell’incentivo non virtuoso tipico dei condoni fiscali, e il rischio è che in futuro il credito possa costare molto di più”.