Moody’s ha migliorato da negativo a stabile l’outlook sulle banche italiane. Una promozione che rassicura sullo stato del sistema creditizio ma non spazza via le preoccupazioni su un possibile deterioramento degli attivi. Il motivo? A fine giugno scadono le moratorie e senza un allungamento dei tempi o una rimodulazione del provvedimento lo scenario può cambiare rapidamente. Con pesanti conseguenze, sia a livello economico che sociale. La decisione dell’agenzia riflette le aspettative che l’economia italiana, dopo la forte contrazione registrata a causa del Covid-19, tornerà a crescere. Moody’s si aspetta un aumento del Pil italiano del 3,7% dopo il -8,9% dello scorso anno. La nostra economia, infatti, godrà del fondo Next Generation che pagherà all’Italia in termini assoluti più di qualsiasi altro paese dell’Unione.
Ma non è oro tutto quello che luccica. «Le condizioni di business delle banche italiane rimarranno difficili, caratterizzate da una domanda di prestiti fiacca e tassi estremamente bassi che eserciteranno una pressione continua sul reddito netto da interessi delle banche», ha aggiunto Moody’s. Su tutto pesa poi un’incognita: gli Npl. I crediti problematici che, senza un prolungamento delle moratorie, aumenteranno. Serve subito una strategia comune. Una collaborazione reale tra Europa, governo, imprese e banche. Altrimenti il risveglio può essere molto brusco. «È indispensabile prorogare le moratorie sui prestiti a imprese e famiglie, in scadenza a fine giugno», ha dichiarato nelle settimane scorse il presidente dell’Abi, Antonio Patuelli.
Da tempo un prolungamento viene sollecitato da imprenditori, banche e consumatori. Ma non è così semplice. Per tanti motivi. Le conseguenze sono evidenti: una quota rilevante dei soggetti con le rate attualmente sospese, senza la liquidità necessaria a rimborsare gli arretrati, rischia di essere classificata in default. Una vera e propria bomba a orologeria. Al momento è in corso una complicata partita con l’Europa.
Tra le soluzioni su cui si sta ragionando c’è quella di prevedere la ripresa del pagamento dei soli interessi. Tutto è però ancora aperto anche perché si intreccia con i nuovi vincoli sugli istituti di credito in vigore dallo scorso gennaio per la gestione dei non performing loans.
Il peso
Ma quanto pesano le moratorie? Secondo recenti stime sono oltre 2,7 milioni (1,3 milioni di aziende e di 1,4 milioni di cittadini), per un valore di circa 294 miliardi mentre superano quota 149 miliardi le richieste di garanzia per i nuovi finanziamenti bancari per le Pmi presentati al Fondo di garanzia. Sono questi i risultati della rilevazione effettuata dalla task force costituita per promuovere l’attuazione delle misure a sostegno della liquidità adottate dal governo. Entrando nello specifico circa i due terzi degli importi richiesti e approvati da marzo 2020 sono ancora in essere. Per quanto riguarda invece le garanzie sui finanziamenti, sono arrivate richieste per un importo complessivo di 149,6 miliardi, di cui 148,7 con i criteri dettati dai decreti emergenziali. Può sembrare un paradosso ma, nell’anno della pandemia, il numero delle insolvenze aziendali a livello globale si è ridotto del 14 per cento. Come si spiega tutto ciò?
È evidente che fondamentali sono stati gli aiuti e le agevolazioni fiscali a mantenere bassi i livelli di insolvenza. Alcune modifiche legislative nelle procedure fallimentari hanno poi protetto le aziende e limitato il rischio di finire in bancarotta. Nello specifico paesi come Francia, Belgio, Italia e Spagna hanno adottato misure che hanno congelato temporaneamente queste misure o dichiarato i fallimenti inammissibili. Fuori dall’Europa, l’Australia ha invece aumentato la soglia di debito che le società devono raggiungere per dichiarare bancarotta.
Purtroppo, secondo gli esperti di Atradius, fornitore globale di assicurazione del credito, nel 2021 si assisterà a un’inversione del trend: il rischio di default ricomincerà a crescere nonostante si stimi un aumento del prodotto interno lordo mondiale del 6%. Un dato su tutti fa riflettere: le insolvenze mondiali nel 2021 dovrebbero registrare una crescita del 26%. Nella graduatoria stilata dagli economisti dell’organizzazione, i posti peggiori sono occupati da Australia e Singapore che potrebbero riportare un incremento del tasso di insolvenza, rispettivamente, di 88% e 75%. In Europa, invece, gli aumenti più significativi potrebbero verificarsi in Francia (80%), Austria (73%) e Regno Unito (56%). A metà classifica, e comunque sotto la media del 50%, seguono la Spagna (49%), l’Italia (48%) e i paesi Bassi (44%).
Liquidità da rimpiazzare
In uno studio precedente, Bankitalia aveva già spiegato che la forte contrazione del Pil registrata l’anno scorso determinerà nel nostro paese un aumento di 2.800 fallimenti di aziende entro il 2022. Ma non basta. A questi rischiano di aggiungersene altri 3.700 che erano stati evitati nel 2020 grazie agli effetti della moratoria e delle politiche di sostegno. Senza dimenticare che il lavoro dei tribunali si è ridotto, riducendo il numero dei fallimenti.
Quale conclusione si può trarre? Che serve senso di responsabilità tra tutti i soggetti coinvolti per evitare una crisi ancora peggiore. Il rischio è quello del cane che si morde la coda. L’impresa o il cittadino non possono far fronte al debito, non pagano, la banca è costretta a mettere il credito tra le sofferenze, rafforzare il patrimonio e rallentare la concessione dei prestiti. «Abbiamo un tema molto forte sulla liquidità — ha detto recentemente Carlo Bonomi — che non riguarda solo le imprese ma anche il sistema bancario, perché con la mole di normative recepite a livello europeo, e alcune volte recepite in maniera stringente in Italia, siamo preoccupati che si stia creando la tempesta perfetta sul tema della liquidità. È necessario un intervento immediato da parte del governo. Le imprese — ha spiegato il presidente di Confindustria — hanno già superato la crisi del 2008-2010 e ne sono uscite rafforzate ma sono state costrette a indebitarsi: il cash flow a supporto del debito prima dell’emergenza era di 2,2 anni, oggi siamo a 4,8 anni. Questo significa che le imprese potranno utilizzare le capacità di generare cassa solo per ripagare il debito, non più per investire».
L’appello di Visco
Certo crescere sul debito non è la soluzione migliore e bisognerebbe spingere gli imprenditori a fare aumenti di capitale, magari incentivati fiscalmente. Indicativa anche la presa di posizione di Andrea Enria. Le banche si preparino perché «c’è la possibilità di gravi choc improvvisi», ha detto il presidente del Consiglio di vigilanza bancaria della Bce. Ecco perché «a metà anno potremmo vedere un deterioramento della qualità degli asset bancari».
Lo scenario ipotizzato è che, con il ritiro di moratorie e garanzie, la crisi economica provochi un aumento delle sofferenze bancarie e si ritorni a una situazione simile a quella della crisi finanziaria del 2008. Enria ha quindi invitato le banche ad anticipare il problema. Più o meno sulla stessa linea il governatore della Banca d’Italia. Per l’economia italiana «l’aumento dei crediti deteriorati è il principale rischio che le banche si trovano a fronteggiare. Gli istituti, rispetto al passato, si trovano però ad affrontare questo pericolo da una posizione più solida. Lo stock degli npl si è ridotto di oltre due terzi rispetto al picco del 2015», ha ricordato Ignazio Visco.
Per sostenere l’economia sarebbero auspicabili passi avanti nell’istituzione di società di gestione dei crediti deteriorati, ma il progetto trova un limite negli orientamenti restrittivi della Commissione Europea in tema di aiuti di Stato. Le gacs (garanzie sulla cartolarizzazione delle sofferenze) «si sono rivelate uno strumento efficace per agevolare la vendita delle sofferenze — ha proseguito Visco — e una loro estensione appare consigliabile e potrebbe costituire l’occasione per introdurre modifiche alla disciplina, così da far sì che tutti i soggetti coinvolti nell’operazione operino con i giusti incentivi al fine di ridurre al minimo il rischio che la garanzia statale debba essere escussa». Insomma, il classico circolo vizioso è dietro l’angolo. Il quadro è estremamente chiaro. Come anche la soluzione del problema. Tutti contro tutti non serve a nessuno. Solo una soluzione condivisa tra autorità europee, governi, banche e imprese può evitare una crisi ancora peggiore di quella vissuta nel 2008.
Fonte: Il Corriere della Sera
Moody’s ha migliorato da negativo a stabile l’outlook sulle banche italiane. Una promozione che rassicura sullo stato del sistema creditizio ma non spazza via le preoccupazioni su un possibile deterioramento degli attivi. Il motivo? A fine giugno scadono le moratorie e senza un allungamento dei tempi o una rimodulazione del provvedimento lo scenario può cambiare rapidamente. Con pesanti conseguenze, sia a livello economico che sociale. La decisione dell’agenzia riflette le aspettative che l’economia italiana, dopo la forte contrazione registrata a causa del Covid-19, tornerà a crescere. Moody’s si aspetta un aumento del Pil italiano del 3,7% dopo il -8,9% dello scorso anno. La nostra economia, infatti, godrà del fondo Next Generation che pagherà all’Italia in termini assoluti più di qualsiasi altro paese dell’Unione.
Ma non è oro tutto quello che luccica. «Le condizioni di business delle banche italiane rimarranno difficili, caratterizzate da una domanda di prestiti fiacca e tassi estremamente bassi che eserciteranno una pressione continua sul reddito netto da interessi delle banche», ha aggiunto Moody’s. Su tutto pesa poi un’incognita: gli Npl. I crediti problematici che, senza un prolungamento delle moratorie, aumenteranno. Serve subito una strategia comune. Una collaborazione reale tra Europa, governo, imprese e banche. Altrimenti il risveglio può essere molto brusco. «È indispensabile prorogare le moratorie sui prestiti a imprese e famiglie, in scadenza a fine giugno», ha dichiarato nelle settimane scorse il presidente dell’Abi, Antonio Patuelli.
Da tempo un prolungamento viene sollecitato da imprenditori, banche e consumatori. Ma non è così semplice. Per tanti motivi. Le conseguenze sono evidenti: una quota rilevante dei soggetti con le rate attualmente sospese, senza la liquidità necessaria a rimborsare gli arretrati, rischia di essere classificata in default. Una vera e propria bomba a orologeria. Al momento è in corso una complicata partita con l’Europa.
Tra le soluzioni su cui si sta ragionando c’è quella di prevedere la ripresa del pagamento dei soli interessi. Tutto è però ancora aperto anche perché si intreccia con i nuovi vincoli sugli istituti di credito in vigore dallo scorso gennaio per la gestione dei non performing loans.
Il peso
Ma quanto pesano le moratorie? Secondo recenti stime sono oltre 2,7 milioni (1,3 milioni di aziende e di 1,4 milioni di cittadini), per un valore di circa 294 miliardi mentre superano quota 149 miliardi le richieste di garanzia per i nuovi finanziamenti bancari per le Pmi presentati al Fondo di garanzia. Sono questi i risultati della rilevazione effettuata dalla task force costituita per promuovere l’attuazione delle misure a sostegno della liquidità adottate dal governo. Entrando nello specifico circa i due terzi degli importi richiesti e approvati da marzo 2020 sono ancora in essere. Per quanto riguarda invece le garanzie sui finanziamenti, sono arrivate richieste per un importo complessivo di 149,6 miliardi, di cui 148,7 con i criteri dettati dai decreti emergenziali. Può sembrare un paradosso ma, nell’anno della pandemia, il numero delle insolvenze aziendali a livello globale si è ridotto del 14 per cento. Come si spiega tutto ciò?
È evidente che fondamentali sono stati gli aiuti e le agevolazioni fiscali a mantenere bassi i livelli di insolvenza. Alcune modifiche legislative nelle procedure fallimentari hanno poi protetto le aziende e limitato il rischio di finire in bancarotta. Nello specifico paesi come Francia, Belgio, Italia e Spagna hanno adottato misure che hanno congelato temporaneamente queste misure o dichiarato i fallimenti inammissibili. Fuori dall’Europa, l’Australia ha invece aumentato la soglia di debito che le società devono raggiungere per dichiarare bancarotta.
Purtroppo, secondo gli esperti di Atradius, fornitore globale di assicurazione del credito, nel 2021 si assisterà a un’inversione del trend: il rischio di default ricomincerà a crescere nonostante si stimi un aumento del prodotto interno lordo mondiale del 6%. Un dato su tutti fa riflettere: le insolvenze mondiali nel 2021 dovrebbero registrare una crescita del 26%. Nella graduatoria stilata dagli economisti dell’organizzazione, i posti peggiori sono occupati da Australia e Singapore che potrebbero riportare un incremento del tasso di insolvenza, rispettivamente, di 88% e 75%. In Europa, invece, gli aumenti più significativi potrebbero verificarsi in Francia (80%), Austria (73%) e Regno Unito (56%). A metà classifica, e comunque sotto la media del 50%, seguono la Spagna (49%), l’Italia (48%) e i paesi Bassi (44%).
Liquidità da rimpiazzare
In uno studio precedente, Bankitalia aveva già spiegato che la forte contrazione del Pil registrata l’anno scorso determinerà nel nostro paese un aumento di 2.800 fallimenti di aziende entro il 2022. Ma non basta. A questi rischiano di aggiungersene altri 3.700 che erano stati evitati nel 2020 grazie agli effetti della moratoria e delle politiche di sostegno. Senza dimenticare che il lavoro dei tribunali si è ridotto, riducendo il numero dei fallimenti.
Quale conclusione si può trarre? Che serve senso di responsabilità tra tutti i soggetti coinvolti per evitare una crisi ancora peggiore. Il rischio è quello del cane che si morde la coda. L’impresa o il cittadino non possono far fronte al debito, non pagano, la banca è costretta a mettere il credito tra le sofferenze, rafforzare il patrimonio e rallentare la concessione dei prestiti. «Abbiamo un tema molto forte sulla liquidità — ha detto recentemente Carlo Bonomi — che non riguarda solo le imprese ma anche il sistema bancario, perché con la mole di normative recepite a livello europeo, e alcune volte recepite in maniera stringente in Italia, siamo preoccupati che si stia creando la tempesta perfetta sul tema della liquidità. È necessario un intervento immediato da parte del governo. Le imprese — ha spiegato il presidente di Confindustria — hanno già superato la crisi del 2008-2010 e ne sono uscite rafforzate ma sono state costrette a indebitarsi: il cash flow a supporto del debito prima dell’emergenza era di 2,2 anni, oggi siamo a 4,8 anni. Questo significa che le imprese potranno utilizzare le capacità di generare cassa solo per ripagare il debito, non più per investire».
L’appello di Visco
Certo crescere sul debito non è la soluzione migliore e bisognerebbe spingere gli imprenditori a fare aumenti di capitale, magari incentivati fiscalmente. Indicativa anche la presa di posizione di Andrea Enria. Le banche si preparino perché «c’è la possibilità di gravi choc improvvisi», ha detto il presidente del Consiglio di vigilanza bancaria della Bce. Ecco perché «a metà anno potremmo vedere un deterioramento della qualità degli asset bancari».
Lo scenario ipotizzato è che, con il ritiro di moratorie e garanzie, la crisi economica provochi un aumento delle sofferenze bancarie e si ritorni a una situazione simile a quella della crisi finanziaria del 2008. Enria ha quindi invitato le banche ad anticipare il problema. Più o meno sulla stessa linea il governatore della Banca d’Italia. Per l’economia italiana «l’aumento dei crediti deteriorati è il principale rischio che le banche si trovano a fronteggiare. Gli istituti, rispetto al passato, si trovano però ad affrontare questo pericolo da una posizione più solida. Lo stock degli npl si è ridotto di oltre due terzi rispetto al picco del 2015», ha ricordato Ignazio Visco.
Per sostenere l’economia sarebbero auspicabili passi avanti nell’istituzione di società di gestione dei crediti deteriorati, ma il progetto trova un limite negli orientamenti restrittivi della Commissione Europea in tema di aiuti di Stato. Le gacs (garanzie sulla cartolarizzazione delle sofferenze) «si sono rivelate uno strumento efficace per agevolare la vendita delle sofferenze — ha proseguito Visco — e una loro estensione appare consigliabile e potrebbe costituire l’occasione per introdurre modifiche alla disciplina, così da far sì che tutti i soggetti coinvolti nell’operazione operino con i giusti incentivi al fine di ridurre al minimo il rischio che la garanzia statale debba essere escussa». Insomma, il classico circolo vizioso è dietro l’angolo. Il quadro è estremamente chiaro. Come anche la soluzione del problema. Tutti contro tutti non serve a nessuno. Solo una soluzione condivisa tra autorità europee, governi, banche e imprese può evitare una crisi ancora peggiore di quella vissuta nel 2008.
Fonte: Il Corriere della Sera