Esistono molti modelli per gestire la crisi. Di conseguenza esistono molti modelli per gestire i crediti insoluti che ne derivano. E’ una delle prime cose che emergono dall’intervista a Marco Morganti, responsabile della direzione Impact di Intesa Sanpaolo, evoluzione dell’esperimento di credito al terzo settore di Banca Prossima. Quest’ultima è stata fondata nel 2007 proprio da Marco Morganti all’interno del gruppo Intesa Sanpaolo, da cui poi è stata assorbita nel 2019.
In cosa si distingue la gestione del credito del progetto Prossima (termine che riferiamo sia a quando Banca Prossima era una realtà autonoma sia ad oggi che è una nuova direzione della sezione “Impact”)?
M.M. Allora come oggi, il progetto Prossima ha come unico target le realtà del terzo settore, molte delle quali sono ritenute troppo rischiose rispetto alle imprese tradizionali. Prossima ha “inventato” un suo modello di valutazione che riesce a servirne tante di più e a condizioni migliori. In aggiunta a questo la banca, destinando per statuto almeno la metà degli utili ad una sorta di fondo di “autogaranzia” ha esteso ai livelli R4 e R5 la possibilità di accedere al credito per il proprio sviluppo (l’ultimo livello di rischio generalmente considerato finanziabile è il R3). In questi casi si può dire che quelle realtà non profit non avrebbero altre possibilità di sopravvivere e di crescere. Il nuovo modello di valutazione è stato quindi caratterizzato dall’inserimento di “elementi immateriali”. Così si è potuto accettare l’assegnazione del credito non per un merito attualmente esistente, ma per un merito futuro che il beneficiario otterrà nell’arco del tempo, basato sulle sue probabilità di sviluppo. La filosofia alla base di tutto questo è rappresentata dall’esempio dello studente a cui si fa credito non per la sua capacità attuale di restituirla, ma per quella che altrimenti non avrebbe mai potuto raggiungere senza
il sostegno necessario a completare i suoi studi. A questo si aggiunge una verifica di ciascun progetto condotta da uno specialista della banca, che ne valuta la probabilità di successo.
Come vengono utilizzate le risorse messe a disposizione?
M.M. Chi riceve del credito ne fa l’uso “normale” di un’impresa. Non regaliamo soldi a nessuno perché siamo una banca e non un istituto di beneficenza; dietro ogni finanziamento c’è un progetto di crescita e sviluppo. Questo sistema viene perfezionato, non da ultimo, dall’inserimento di alcuni meccanismi di condizionalità che spingono il beneficiario del credito a usare con accortezza le risorse acquisite, sia in termini di qualità del servizio (ad esempio viene chiesto agli asili nido di garantire il rispetto di standard e l’applicazione di regole virtuose per la collettività) che di sostenibilità finanziaria. Nei suoi 13 anni di attività questo modello innovativo ha portato a dei successi considerevoli che vengono misurati attraverso due parametri: il primo è il numero assoluto dei clienti gestiti che oggi è arrivato a un totale di 115.000, il secondo è la quota di mercato relativa che supera il 40% (percentuale riferita al terzo settore).
A un tratto però, il COVID-19 ha bussato alla porta, a tutte le porte, inclusa quella delle non-for-profit, la domanda sorge quindi spontanea: come (e quanto) crede che questo impatterà il terzo settore?
M.M. Si tratterà sicuramente di un duro colpo e il settore sarà molto esposto alle conseguenze economiche che ci lascerà il COVID. Ma ci sono diversi aspetti da non sottovalutare, sono convinto, infatti, che il terzo settore risorgerà per primo proprio perché è meno capitalizzato quindi più “leggero” (un difetto si tradurrà in pregio); non è troppo legato al funzionamento delle aziende tradizionali ed è abituato a gestire situazioni quotidiane di difficoltà. Inoltre questo settore non solo non soffre alcuna forma di concorrenza, ma può fare affidamento su due risorse a cui le aziende non possono attingere: le donazioni e i tantissimi volontari che proprio in questo periodo saranno più motivati e coinvolti.
A proposito di volontari, è vero però che in Italia il terzo settore (e la percezione che si ha di esso) è molto legato al volontariato, abbiamo un problema di professionalizzazione?
M.M. Non direi che si può parlare di problema di professionalizzazione, il volontariato costituisce un grandissimo aiuto per arrivare dove la società è più in difficoltà e in questo facciamo anche meglio di molti paesi, europei e non. Sicuramente può esserci un problema di organizzazione e di valorizzazione, sia comunicativa che organizzativa, di tutte queste risorse.
Ciò nonostante non basteranno i volontari a risolvere tutti i problemi del comparto; si prevede, infatti, un significativo aumento di insoluti anche tra i vostri clienti: le azioni di recupero come verranno gestite? Come tutte le altre oppure intervengono valutazioni di tipo etico?
M.M. La gestione di un nostro NPL è uguale a tutti gli altri e questo è così perché siamo dentro un grande gruppo (il gruppo Intesa Sanpaolo, ndr) e seguiamo le regole comuni. In certi casi dico purtroppo perché se potessimo avere – e quindi dare – più tempo a disposizione prima di avviare un’azione di recupero sono convinto che potremmo recuperare di più. Questo perché, diversamente dalle attività tradizionali che possono semplicemente chiudere i battenti, nel nostro settore c’è meno
soluzione di continuità: pensiamo ai servizi primari. In altre parole, diversamente da come può accadere per un negozio, molto spesso la comunità forma dal suo interno il progetto imprenditoriale che salva una non profit in crisi, perché quell’impresa è strategica per tutti i cittadini.
Esistono molti modelli per gestire la crisi. Di conseguenza esistono molti modelli per gestire i crediti insoluti che ne derivano. E’ una delle prime cose che emergono dall’intervista a Marco Morganti, responsabile della direzione Impact di Intesa Sanpaolo, evoluzione dell’esperimento di credito al terzo settore di Banca Prossima. Quest’ultima è stata fondata nel 2007 proprio da Marco Morganti all’interno del gruppo Intesa Sanpaolo, da cui poi è stata assorbita nel 2019.
In cosa si distingue la gestione del credito del progetto Prossima (termine che riferiamo sia a quando Banca Prossima era una realtà autonoma sia ad oggi che è una nuova direzione della sezione “Impact”)?
M.M. Allora come oggi, il progetto Prossima ha come unico target le realtà del terzo settore, molte delle quali sono ritenute troppo rischiose rispetto alle imprese tradizionali. Prossima ha “inventato” un suo modello di valutazione che riesce a servirne tante di più e a condizioni migliori. In aggiunta a questo la banca, destinando per statuto almeno la metà degli utili ad una sorta di fondo di “autogaranzia” ha esteso ai livelli R4 e R5 la possibilità di accedere al credito per il proprio sviluppo (l’ultimo livello di rischio generalmente considerato finanziabile è il R3). In questi casi si può dire che quelle realtà non profit non avrebbero altre possibilità di sopravvivere e di crescere. Il nuovo modello di valutazione è stato quindi caratterizzato dall’inserimento di “elementi immateriali”. Così si è potuto accettare l’assegnazione del credito non per un merito attualmente esistente, ma per un merito futuro che il beneficiario otterrà nell’arco del tempo, basato sulle sue probabilità di sviluppo. La filosofia alla base di tutto questo è rappresentata dall’esempio dello studente a cui si fa credito non per la sua capacità attuale di restituirla, ma per quella che altrimenti non avrebbe mai potuto raggiungere senza
il sostegno necessario a completare i suoi studi. A questo si aggiunge una verifica di ciascun progetto condotta da uno specialista della banca, che ne valuta la probabilità di successo.
Come vengono utilizzate le risorse messe a disposizione?
M.M. Chi riceve del credito ne fa l’uso “normale” di un’impresa. Non regaliamo soldi a nessuno perché siamo una banca e non un istituto di beneficenza; dietro ogni finanziamento c’è un progetto di crescita e sviluppo. Questo sistema viene perfezionato, non da ultimo, dall’inserimento di alcuni meccanismi di condizionalità che spingono il beneficiario del credito a usare con accortezza le risorse acquisite, sia in termini di qualità del servizio (ad esempio viene chiesto agli asili nido di garantire il rispetto di standard e l’applicazione di regole virtuose per la collettività) che di sostenibilità finanziaria. Nei suoi 13 anni di attività questo modello innovativo ha portato a dei successi considerevoli che vengono misurati attraverso due parametri: il primo è il numero assoluto dei clienti gestiti che oggi è arrivato a un totale di 115.000, il secondo è la quota di mercato relativa che supera il 40% (percentuale riferita al terzo settore).
A un tratto però, il COVID-19 ha bussato alla porta, a tutte le porte, inclusa quella delle non-for-profit, la domanda sorge quindi spontanea: come (e quanto) crede che questo impatterà il terzo settore?
M.M. Si tratterà sicuramente di un duro colpo e il settore sarà molto esposto alle conseguenze economiche che ci lascerà il COVID. Ma ci sono diversi aspetti da non sottovalutare, sono convinto, infatti, che il terzo settore risorgerà per primo proprio perché è meno capitalizzato quindi più “leggero” (un difetto si tradurrà in pregio); non è troppo legato al funzionamento delle aziende tradizionali ed è abituato a gestire situazioni quotidiane di difficoltà. Inoltre questo settore non solo non soffre alcuna forma di concorrenza, ma può fare affidamento su due risorse a cui le aziende non possono attingere: le donazioni e i tantissimi volontari che proprio in questo periodo saranno più motivati e coinvolti.
A proposito di volontari, è vero però che in Italia il terzo settore (e la percezione che si ha di esso) è molto legato al volontariato, abbiamo un problema di professionalizzazione?
M.M. Non direi che si può parlare di problema di professionalizzazione, il volontariato costituisce un grandissimo aiuto per arrivare dove la società è più in difficoltà e in questo facciamo anche meglio di molti paesi, europei e non. Sicuramente può esserci un problema di organizzazione e di valorizzazione, sia comunicativa che organizzativa, di tutte queste risorse.
Ciò nonostante non basteranno i volontari a risolvere tutti i problemi del comparto; si prevede, infatti, un significativo aumento di insoluti anche tra i vostri clienti: le azioni di recupero come verranno gestite? Come tutte le altre oppure intervengono valutazioni di tipo etico?
M.M. La gestione di un nostro NPL è uguale a tutti gli altri e questo è così perché siamo dentro un grande gruppo (il gruppo Intesa Sanpaolo, ndr) e seguiamo le regole comuni. In certi casi dico purtroppo perché se potessimo avere – e quindi dare – più tempo a disposizione prima di avviare un’azione di recupero sono convinto che potremmo recuperare di più. Questo perché, diversamente dalle attività tradizionali che possono semplicemente chiudere i battenti, nel nostro settore c’è meno
soluzione di continuità: pensiamo ai servizi primari. In altre parole, diversamente da come può accadere per un negozio, molto spesso la comunità forma dal suo interno il progetto imprenditoriale che salva una non profit in crisi, perché quell’impresa è strategica per tutti i cittadini.