In attesa dei bilanci del quarto trimestre 2020 che a partire da inizio febbraio le banche italiane pubblicheranno, Dbrs Morningstar ritiene che gli istituti del Paese siano riusciti a conservare una adeguata dotazione di capitale, ma restano vulnerabili in prospettiva a deterioramenti della qualità degli asset visto il prolungarsi della crisi causata dalla pandemia. Per via dell’impatto economico del coronavirus la Bce ha di recente raccomandato alle banche di sospendere ancora dividendi e buy-back fino a fine settembre prossimo (dopo lo stop fino a fine 2020). Per chi ricomincerà a remunerare gli azionisti, i pagamenti non devono eccedere l’importo più basso tra il 15% degli utili cumulati 2019 e 2020 e 20 punti base in termini di Cet1.
“Crediamo che queste limitazioni avranno soltanto un effetto moderato sull’attuale giusta capitalizzazione delle banche italiane che in media hanno registrato un Cet1 (phased in) e un Total Capital Ratio, rispettivamente, di 15,6% e 18,8%. Questo assicura per la maggior parte di gruppi una adeguata dotazione di capitale sul minimo Srep, con circa 58 e 59 miliardi di euro di capitale in eccesso sul Cet1 e sul Total Capital, ovvero, rispettivamente, 632 e 644 punti base. La nostra visione riflette il fatto che il livello massimo di pay-out fissato dalla Bce è piuttosto basso e qualche banca italiana sta già escludendo i dividendi per il 2020 dal calcolo dei propri coefficienti patrimoniali”, premette Dbrs Morningstar.
Nonostante ciò, proseguono gli analisti, “riteniamo che il cuscinetto di capitale delle banche italiane sarà progressivamente eroso dal calo della redditività e dalla pressione sulla qualità degli attivi a causa della prevista fine delle misure pubbliche di sostegno temporaneo soprattutto tramite le moratorie e i prestiti garantiti dallo Stato, ma anche per via di un approccio più severo guidato dal nuovo Definition of Default e Calendar Provisioning, a meno che non arrivi una maggiore flessibilità da parte delle autorità su questi due fronti”.
Cautela dunque in attesa che la crisi causata dalla pandemia si rifletterà pienamente sui bilanci bancari. “Le misure statali senza precedenti a sostegno delle aziende stanno da una parte ritardando la creazione di nuovi Npl, ma le nuove restrizioni dovute alla seconda ondata stanno anche facendo slittare in avanti la ripresa economica”, aggiungono gli analisti. Per questo motivo Dbrs Morningstar stima che “se il 5-10% dei prestiti sotto moratoria si trasformeranno in Npl, lo stock totale di Npl detenuto dalle maggiori banche italiane aumenterà di circa il 7-14% rispetto ai 91 miliardi di fine settembre 2020 con il conseguente aumento di circa 100 punti base dal 6,6% al 7-7,5% dell’indicatore Npl medio lordo”.
Dai dati di settembre/ottobre 2020 emerge che la quota maggiore di prestiti in moratoria sul totale è in Bper (19,8%), seguita da Creval (15,5%), Mps (14,9%), Popolare Sondrio (14,7%), Credem (14,6%), Banco Bpm (13,7%), Intesa Sanpaolo (9,4%), Unicredit (6%) e Mediobanca (2,9%). La media è del 9,5%. Sulla base di tali ipotesi “l’impatto sul capitale dovrebbe essere ben gestibile per le banche italiane. Ma restano comunque rischi legati all’evoluzione della pandemia. Nonostante le recenti notizie positive sui vaccini, le restrizioni sono destinate a restare per qualche tempo”, avverte Dbrs Morningstar.
In ogni caso, alcune banche hanno iniziato a correre ai ripari “nel quarto trimestre e in queste prime settimane del 2021, agendo sul fronte del de-riscking delle esposizioni dubbie in anticipo rispetto a una nuova ondata di npl che potrebbe concretizzarsi con la fine delle moratorie”. Gli analisti calcolano anche che le maggiori banche italiane ( Unicredit, Intesa Sanpaolo, Banco Bpm, Ubi, Mps, Bper, Mediobanca, Credem, Popolare di Sondrio e Creval) hanno pagato 18,9 miliardi di cedole tra il 2015 e il 2019 a fronte di un utile netto totale di 13,9 miliardi. Intesa Sanpaolo, Mediobanca e Unicredit sono state quelle che hanno distribuito più cedole in tale periodo ( Intesa Sanpaolo 13,4 miliardi su 18,4 miliardi di utile, Unicredit 2,7 miliardi su 1,2 miliardi di utile e Mediobanca 1,5 miliardi su 3,6 miliardi di utile). Mentre Banco Bpm e Mps non li hanno pagati perché impegnati nei piani di integrazione e di ristrutturazione.
Autore: Paola Valentini
Fonte: Milano Finanza
In attesa dei bilanci del quarto trimestre 2020 che a partire da inizio febbraio le banche italiane pubblicheranno, Dbrs Morningstar ritiene che gli istituti del Paese siano riusciti a conservare una adeguata dotazione di capitale, ma restano vulnerabili in prospettiva a deterioramenti della qualità degli asset visto il prolungarsi della crisi causata dalla pandemia. Per via dell’impatto economico del coronavirus la Bce ha di recente raccomandato alle banche di sospendere ancora dividendi e buy-back fino a fine settembre prossimo (dopo lo stop fino a fine 2020). Per chi ricomincerà a remunerare gli azionisti, i pagamenti non devono eccedere l’importo più basso tra il 15% degli utili cumulati 2019 e 2020 e 20 punti base in termini di Cet1.
“Crediamo che queste limitazioni avranno soltanto un effetto moderato sull’attuale giusta capitalizzazione delle banche italiane che in media hanno registrato un Cet1 (phased in) e un Total Capital Ratio, rispettivamente, di 15,6% e 18,8%. Questo assicura per la maggior parte di gruppi una adeguata dotazione di capitale sul minimo Srep, con circa 58 e 59 miliardi di euro di capitale in eccesso sul Cet1 e sul Total Capital, ovvero, rispettivamente, 632 e 644 punti base. La nostra visione riflette il fatto che il livello massimo di pay-out fissato dalla Bce è piuttosto basso e qualche banca italiana sta già escludendo i dividendi per il 2020 dal calcolo dei propri coefficienti patrimoniali”, premette Dbrs Morningstar.
Nonostante ciò, proseguono gli analisti, “riteniamo che il cuscinetto di capitale delle banche italiane sarà progressivamente eroso dal calo della redditività e dalla pressione sulla qualità degli attivi a causa della prevista fine delle misure pubbliche di sostegno temporaneo soprattutto tramite le moratorie e i prestiti garantiti dallo Stato, ma anche per via di un approccio più severo guidato dal nuovo Definition of Default e Calendar Provisioning, a meno che non arrivi una maggiore flessibilità da parte delle autorità su questi due fronti”.
Cautela dunque in attesa che la crisi causata dalla pandemia si rifletterà pienamente sui bilanci bancari. “Le misure statali senza precedenti a sostegno delle aziende stanno da una parte ritardando la creazione di nuovi Npl, ma le nuove restrizioni dovute alla seconda ondata stanno anche facendo slittare in avanti la ripresa economica”, aggiungono gli analisti. Per questo motivo Dbrs Morningstar stima che “se il 5-10% dei prestiti sotto moratoria si trasformeranno in Npl, lo stock totale di Npl detenuto dalle maggiori banche italiane aumenterà di circa il 7-14% rispetto ai 91 miliardi di fine settembre 2020 con il conseguente aumento di circa 100 punti base dal 6,6% al 7-7,5% dell’indicatore Npl medio lordo”.
Dai dati di settembre/ottobre 2020 emerge che la quota maggiore di prestiti in moratoria sul totale è in Bper (19,8%), seguita da Creval (15,5%), Mps (14,9%), Popolare Sondrio (14,7%), Credem (14,6%), Banco Bpm (13,7%), Intesa Sanpaolo (9,4%), Unicredit (6%) e Mediobanca (2,9%). La media è del 9,5%. Sulla base di tali ipotesi “l’impatto sul capitale dovrebbe essere ben gestibile per le banche italiane. Ma restano comunque rischi legati all’evoluzione della pandemia. Nonostante le recenti notizie positive sui vaccini, le restrizioni sono destinate a restare per qualche tempo”, avverte Dbrs Morningstar.
In ogni caso, alcune banche hanno iniziato a correre ai ripari “nel quarto trimestre e in queste prime settimane del 2021, agendo sul fronte del de-riscking delle esposizioni dubbie in anticipo rispetto a una nuova ondata di npl che potrebbe concretizzarsi con la fine delle moratorie”. Gli analisti calcolano anche che le maggiori banche italiane ( Unicredit, Intesa Sanpaolo, Banco Bpm, Ubi, Mps, Bper, Mediobanca, Credem, Popolare di Sondrio e Creval) hanno pagato 18,9 miliardi di cedole tra il 2015 e il 2019 a fronte di un utile netto totale di 13,9 miliardi. Intesa Sanpaolo, Mediobanca e Unicredit sono state quelle che hanno distribuito più cedole in tale periodo ( Intesa Sanpaolo 13,4 miliardi su 18,4 miliardi di utile, Unicredit 2,7 miliardi su 1,2 miliardi di utile e Mediobanca 1,5 miliardi su 3,6 miliardi di utile). Mentre Banco Bpm e Mps non li hanno pagati perché impegnati nei piani di integrazione e di ristrutturazione.
Autore: Paola Valentini
Fonte: Milano Finanza