Secondo Standard & Poor’s le imprese italiane che combattono la pandemia «non sono un caso in Europa»: anzi, nell’ultimo anno i rischi di ribasso dei loro rating (sono il 42% del totale) si è avvicinato alle rivali del continente (41%). Qualche problema in più avranno le banche, che nel 2021 «vedranno raddoppiare i crediti deteriorati, fino a circa 200 miliardi » al lordo di rettifiche. Dovrebbe però trattarsi di «un picco di breve termine», verso un 2022 di «normalizzazione ».
Nel consueto appuntamento di inizio anno l’agenzia Usa ha fatto il punto sull’Europa mostrando una certa benevolenza verso l’Italia. Gli aspetti più critici riguardano il credito, data anche la maggiore esposizione degli istituti nostrani alle Pmi, che hanno tassi di insolvenza più alti. Ci sono 142 miliardi di euro di prestiti a piccole e medie imprese, anche se ormai sono quasi tutti assistiti da garanzie statali, che sollevano le banche da gran parte dei rischi. Mirko Sanna, responsabile per le istituzioni finanziarie di S&P, ha detto: «Ci aspettiamo che i crediti deteriorati in Italia aumentino significativamente dai minimi di novembre scorso, assestandosi sui 200 miliardi », e segnando una rischiosità sui 140 punti base (1,4%) rispetto al totale erogato (anch’essa doppia rispetto agli altri Paesi europei). Oltre alle perdite che emergeranno entro mesi, quando scadranno le moratorie e il supporto di regolatori bancari e governo verrà meno, potrebbero incidere le nuove e più severe norme europee entrate in vigore a gennaio, e che «avranno un impatto molto forte », aggiunge Sanna. Tuttavia, S&P stima che gli istituti italiani siano entrati nella crisi 2020 «con una qualità del credito molto migliore rispetto al passato», e per questo l’analista non vede altri «significativi casi di crisi» bancarie, dopo la dozzina di istituti dissestati dal 2015, tre dei quali (Mps, Carige, Popolare di Bari) ancora in via di completamento.
L’assenza di nuove crisi, tuttavia, non significa che le cose resteranno come sono. «Questa crisi amplierà le differenze strutturali tra banche e accelererà il processo di aggregazione, già iniziato» dice ancora Sanna, che vede da un lato le grandi banche sempre più capaci di investire nella trasformazione tecnologica» al sicuro, insieme alle più agili e specializzate. Viceversa, per le banche commerciali piccole e medie, «il quadro in definizione potrebbe rivelarsi non sostenibile, per la pressione sulla redditività e i problemi competitivi » che produrrà.
Fonte: La Repubblica