Second wave, consolidamento tra piattaforme, calendar provisioning, asset management company, bad bank sono i termini che echeggiano su giornali e a convegni in queste ultime settimane tra operatori del mondo del credito quanto a mercato dei deteriorati. Un’opportunità per alcuni. Il recupero del credito ha una forte marginalità e l’aumento dei volumi può essere una fonte di ulteriore profitto. Dall’altra parte si legge giustamente della preoccupazione che sta emergendo nel tessuto sociale quanto a disoccupazione, incapacità nell’onorare le rate del mutuo, esecuzioni, usura, fallimenti.
Questi due ambiti raramente dialogano e proseguono in modo autonomo a interloquire con le istituzioni promuovendo iniziative unidirezionali il cui scopo spesso è di contrastare quello che l’altro ambito ha cercato di costruire.
Un’iniziativa in qualche modo controcorrente che ha provato a far dialogare questi due ambiti è la proposta di “cartolarizzazione sociale” altrimenti conosciuta come “fondo salva casa” . L’iniziativa Snowdrop (bucaneve) è proprio nata per “bucare il gelo” della crisi sociale che il sistema Paese ha affrontato nel periodo post Lehman Brothers. Tale progetto nasce nel contesto del mutuo prima casa ma nulla osta a che il meccanismo sia utilizzabile anche in altri settori a partire dalla piccola e media impresa.
Piace raccontare quale ne sia la genesi. L’idea è sorta nel 2017 nell’ambito delle varie iniziative tese a “risolvere” il nodo della gestione delle sofferenze nel settore bancario. Simone Simoncini, ora coordinatore del progetto Snowdrop, insieme ad una società operativa nel settore del master servicing, ha provato a conciliare tre esigenze ovvero, la necessità per le banche di ridurre l’esposizioni verso crediti deteriorati, quella degli investitori di avere un ritorno sull’investimento (nella consapevolezza che quando il costo del denaro è pari allo zero si dovrebbe poter rinunciare a ritorni double digits) e la volontà di aiutare i proprietari virtuosi di prime case ma vittime di un periodo difficile dal punto di vista economico.
In breve, la struttura prevedeva la sottrazione delle prime case dalle lungaggini, inefficienze e perdite di valore connesse con le esecuzioni immobiliari prevedendo la vendita della prima casa da parte del debitore contestualmente alla cessione del credito da parte della banca. Lo schema implicava quindi la stipulazione di un contratto di locazione a lungo termine con un canone calmierato e sostenibile per il debitore ceduto unitamente alla possibilità per il debitore ceduto di riscattare l’immobile per tutta la durata del contratto di locazione a prezzo predefinito.
Sin da subito ci si è resi conto che tale schema, che contempla la necessità per il contraente debole di disporre di un bene così importante come la prima casa, esigesse la partecipazione di corpi intermedi capaci di garantire, grazie alla loro valenza sociale e scollegata da logiche di lucro, che lo schema fosse sostenibile e giusto. L’ente individuato e che si è prestato ad essere coinvolto nel progetto sono state le ACLI, la cui caratteristica è una presenza storica e capillare sul territorio e quindi una vicinanza al tessuto sociale italiano.
Muovendosi nel quadro normativo vigente nel 2017 si era optato per un veicolo di cartolarizzazione che acquistasse i crediti ed un fondo di investimento immobiliare che acquistasse gli immobili. Tale schema soffriva però di rigidità determinate dalla necessità di indipendenza tra la cartolarizzazione ed il fondo, le inefficienze fiscali connesse con il trasferimento dal debitore al fondo seppure lo schema fosse teso di fatto a preservare la titolarità in capo al debitore originario, nonché le inefficienze connesse con un eventuale esercizio dell’opzione insieme a quelle connesse alla rogitabilità di beni che spesso presentano delle piccole irregolarità.
Un primo “aggiustamento” della struttura originaria è avvenuto con la introduzione del concetto di società di appoggio (ReoCo) della legge sulla cartolarizzazione. La prima stesura della legge lasciava però irrisolti alcuni temi importanti che hanno quindi trovato una risposta nel 2019 grazie alla sensibilità del Presidente della Commissione Bilancio del Senato, Onorevole Pesco, il quale ha raccolto le richieste del gruppo di lavoro Snowdrop prevedendo la modifica dell’articolo 7.1 della legge sulla cartolarizzazione e contemplando espressamente un concetto di cartolarizzazione sociale.
Lo schema non si distingue sostanzialmente da quello originario seppure il cessionario dei beni immobili, al posto del fondo immobiliare, è la società di appoggio strutturalmente asservita alla cartolarizzazione e l’intera operazione deve essere montata sotto l’egida di un’agenzia di promozione sociale garantendo così alle controparti deboli l’accompagnamento richiesto.
Finalmente sembra che tale ipotesi di lavoro stia suscitando interesse da una parte in ambito accademico e dall’altro in ambito istituzionale.
Il gruppo di lavoro sostiene da sempre che, per funzionare, il progetto debba essere libero da logiche assistenzialistiche dove le banche e gli investitori sono visti come i responsabili del problema piuttosto che come soggetti che, perseguendo legittimi scopi imprenditoriali, possono diventare gli interlocutori con cui individuare quale sia il miglior contemperamento di interessi. Interventi legislativi unidirezionali tesi a compromettere solo una categoria degli stakeholders non possono che essere fallimentari in quanto hanno il solo effetto di fare saltare il dialogo e indurre il soggetto, i cui interessi sono stati sacrificati, a guardare altrove.
Sicuramente un supporto dal settore pubblico sarebbe desiderabile ma questo esclusivamente al fine far decollare un progetto che dovrebbe poi volare di forza propria attraendo investitori sensibili alla materia sociale ma consapevoli che nel settore dei deteriorati un ritorno all’investimento adeguato passa attraverso una conciliazione di interessi contrapposti. Peraltro con l’interesse crescente che gli investimenti ESG (i.e. social impact) stanno suscitando nel mondo della finanza, il momento potrebbe essere veramente propizio. E’ di tutta evidenza, per gli investitori istituzionali, che pochi investimenti possono garantire un beneficio (sociale) così immediato e misurabile. Processi tecnici rigorosi ed accompagnati dai corpi intermedi saranno necessari affinché gli interventi siano anche calibrati e quindi applicati con criteri di giustizia.
Second wave, consolidamento tra piattaforme, calendar provisioning, asset management company, bad bank sono i termini che echeggiano su giornali e a convegni in queste ultime settimane tra operatori del mondo del credito quanto a mercato dei deteriorati. Un’opportunità per alcuni. Il recupero del credito ha una forte marginalità e l’aumento dei volumi può essere una fonte di ulteriore profitto. Dall’altra parte si legge giustamente della preoccupazione che sta emergendo nel tessuto sociale quanto a disoccupazione, incapacità nell’onorare le rate del mutuo, esecuzioni, usura, fallimenti.
Questi due ambiti raramente dialogano e proseguono in modo autonomo a interloquire con le istituzioni promuovendo iniziative unidirezionali il cui scopo spesso è di contrastare quello che l’altro ambito ha cercato di costruire.
Un’iniziativa in qualche modo controcorrente che ha provato a far dialogare questi due ambiti è la proposta di “cartolarizzazione sociale” altrimenti conosciuta come “fondo salva casa” . L’iniziativa Snowdrop (bucaneve) è proprio nata per “bucare il gelo” della crisi sociale che il sistema Paese ha affrontato nel periodo post Lehman Brothers. Tale progetto nasce nel contesto del mutuo prima casa ma nulla osta a che il meccanismo sia utilizzabile anche in altri settori a partire dalla piccola e media impresa.
Piace raccontare quale ne sia la genesi. L’idea è sorta nel 2017 nell’ambito delle varie iniziative tese a “risolvere” il nodo della gestione delle sofferenze nel settore bancario. Simone Simoncini, ora coordinatore del progetto Snowdrop, insieme ad una società operativa nel settore del master servicing, ha provato a conciliare tre esigenze ovvero, la necessità per le banche di ridurre l’esposizioni verso crediti deteriorati, quella degli investitori di avere un ritorno sull’investimento (nella consapevolezza che quando il costo del denaro è pari allo zero si dovrebbe poter rinunciare a ritorni double digits) e la volontà di aiutare i proprietari virtuosi di prime case ma vittime di un periodo difficile dal punto di vista economico.
In breve, la struttura prevedeva la sottrazione delle prime case dalle lungaggini, inefficienze e perdite di valore connesse con le esecuzioni immobiliari prevedendo la vendita della prima casa da parte del debitore contestualmente alla cessione del credito da parte della banca. Lo schema implicava quindi la stipulazione di un contratto di locazione a lungo termine con un canone calmierato e sostenibile per il debitore ceduto unitamente alla possibilità per il debitore ceduto di riscattare l’immobile per tutta la durata del contratto di locazione a prezzo predefinito.
Sin da subito ci si è resi conto che tale schema, che contempla la necessità per il contraente debole di disporre di un bene così importante come la prima casa, esigesse la partecipazione di corpi intermedi capaci di garantire, grazie alla loro valenza sociale e scollegata da logiche di lucro, che lo schema fosse sostenibile e giusto. L’ente individuato e che si è prestato ad essere coinvolto nel progetto sono state le ACLI, la cui caratteristica è una presenza storica e capillare sul territorio e quindi una vicinanza al tessuto sociale italiano.
Muovendosi nel quadro normativo vigente nel 2017 si era optato per un veicolo di cartolarizzazione che acquistasse i crediti ed un fondo di investimento immobiliare che acquistasse gli immobili. Tale schema soffriva però di rigidità determinate dalla necessità di indipendenza tra la cartolarizzazione ed il fondo, le inefficienze fiscali connesse con il trasferimento dal debitore al fondo seppure lo schema fosse teso di fatto a preservare la titolarità in capo al debitore originario, nonché le inefficienze connesse con un eventuale esercizio dell’opzione insieme a quelle connesse alla rogitabilità di beni che spesso presentano delle piccole irregolarità.
Un primo “aggiustamento” della struttura originaria è avvenuto con la introduzione del concetto di società di appoggio (ReoCo) della legge sulla cartolarizzazione. La prima stesura della legge lasciava però irrisolti alcuni temi importanti che hanno quindi trovato una risposta nel 2019 grazie alla sensibilità del Presidente della Commissione Bilancio del Senato, Onorevole Pesco, il quale ha raccolto le richieste del gruppo di lavoro Snowdrop prevedendo la modifica dell’articolo 7.1 della legge sulla cartolarizzazione e contemplando espressamente un concetto di cartolarizzazione sociale.
Lo schema non si distingue sostanzialmente da quello originario seppure il cessionario dei beni immobili, al posto del fondo immobiliare, è la società di appoggio strutturalmente asservita alla cartolarizzazione e l’intera operazione deve essere montata sotto l’egida di un’agenzia di promozione sociale garantendo così alle controparti deboli l’accompagnamento richiesto.
Finalmente sembra che tale ipotesi di lavoro stia suscitando interesse da una parte in ambito accademico e dall’altro in ambito istituzionale.
Il gruppo di lavoro sostiene da sempre che, per funzionare, il progetto debba essere libero da logiche assistenzialistiche dove le banche e gli investitori sono visti come i responsabili del problema piuttosto che come soggetti che, perseguendo legittimi scopi imprenditoriali, possono diventare gli interlocutori con cui individuare quale sia il miglior contemperamento di interessi. Interventi legislativi unidirezionali tesi a compromettere solo una categoria degli stakeholders non possono che essere fallimentari in quanto hanno il solo effetto di fare saltare il dialogo e indurre il soggetto, i cui interessi sono stati sacrificati, a guardare altrove.
Sicuramente un supporto dal settore pubblico sarebbe desiderabile ma questo esclusivamente al fine far decollare un progetto che dovrebbe poi volare di forza propria attraendo investitori sensibili alla materia sociale ma consapevoli che nel settore dei deteriorati un ritorno all’investimento adeguato passa attraverso una conciliazione di interessi contrapposti. Peraltro con l’interesse crescente che gli investimenti ESG (i.e. social impact) stanno suscitando nel mondo della finanza, il momento potrebbe essere veramente propizio. E’ di tutta evidenza, per gli investitori istituzionali, che pochi investimenti possono garantire un beneficio (sociale) così immediato e misurabile. Processi tecnici rigorosi ed accompagnati dai corpi intermedi saranno necessari affinché gli interventi siano anche calibrati e quindi applicati con criteri di giustizia.