Tra i settori maggiormente colpiti dalla crisi del covid c’è l’immobiliare, e in particolare il segmento del non residenziale, che comprende uffici e negozi. Le restrizioni agli spostamenti e la diffusione sempre maggiore del lavoro da remoto hanno modificato radicalmente le prospettive per il settore, specie per quanto riguarda gli affitti delle location vie dello shopping. Al tema è dedicato il Retail Market Report Milano e Lombardia di Engel & Völkers, che ha scattato una fotografia delle realtà di alcune tra le maggiori città lombarde – Milano, ma anche Monza, Bergamo e Brescia – alla vigilia dell’inizio della pandemia. Strade e punti nevralgici dello shopping che ora stanno soffrendo, ma che secondo il report non moriranno: “L’emergenza sanitaria ha per certi versi modificato, ma non annichilito il punto vendita. Il negozio resta fondamentale per la promozione del brand, il suo ruolo come mordente per l’experience insostituibile; il fisico si è reso complice ed alleato del virtuale quale viatico all’acquisto, senza tuttavia soppiantarlo”, si legge nel report. C’è comunque la consapevolezza che il mondo è mutato, forse definitivamente. “L’inverno e la primavera del 2020 hanno cambiato il mondo del negozio: nuovi approcci sono necessari, studio e competenza sono le uniche armi per superare le sfide che il retail sta affrontando”.
Nel momento in cui il covid-19 ha colpito l’Italia, Milano si confermava per il secondo anno consecutivo al primo posto per la qualità della vita, con un reddito medio complessivo per contribuente di 28.867,40 euro all’anno, il più alto in assoluto in Italia: una location imprescindibile per i negozi dei più noti brand internazionali. Strade simbolo del lusso come via Montenapoleone – con un canone di affitto medio compreso tra i 6mila e i 10mila euro per metro quadro – via della Spiga, via Gesù, fino alle più commerciali via Torino e corso Buenos Aires o alle location emergenti come via Borsieri, all’Isola, prima del covid erano richiestissime dai brand retail, di alta gamma e non solo. Nell’ambito del mercato immobiliare non residenziale anche le altre città risultavano discretamente attraenti, con Monza che in particolare beneficiava della vicinanza a Milano, mentre Bergamo contava sull’apertura del centro commerciale accanto all’aeroporto di Orio al Serio, primo mall in Italia per superficie e varietà dell’offerta e Brescia, che nel 2019, nel comparto dell’immobiliare non residenziale retail, aveva registrato una crescita della domanda sia per l’acquisto sia per la locazione, con prezzi e canoni stazionari e rendimenti netti compresi fra il 5% e l’8%.
La pandemia ha cambiato le carte in tavola, ma il lusso sembra mostrare resilienza. A Milano, sottolineano gli esperti di Engel & Völkers, “nonostante la straordinarietà delle circostanze, non sono al momento apprezzabili variazioni nei canoni a regime nelle vie del lusso e nel Quadrilatero d’Oro (l’area circoscritta da via Montenapoleone, via della Spiga, via Manzoni e corso Venezia, ndr)”. La prerogativa dei proprietari “rimane quella di non decapitalizzare l’asset di proprietà, cioè di mantenere invariato il valore dell’asset e quindi il rapporto fra il rendimento e il canone”: in quest’ottica, “concedere agli affittuari (tenant) un abbassamento del canone significherebbe diminuire il valore della proprietà. Per evitare questo scenario si è optato per soluzioni più morbide: tenant e proprietari (landlord) hanno trovato un punto di incontro con sconti temporanei o azzeramenti dei canoni per i mesi di chiusura”. In parallelo, “anche la normativa sul credito di imposta ha tamponato la situazione, risollevando l’animo oltre che il portafoglio degli affittuari”. Soprattutto per i marchi del lusso traslocare da indirizzi come quelli del Quadrilatero milanese “sarebbe un danno reputazionale impossibile da quantificare, oltre al fatto che le vie del lusso milanese garantiscono un prestigio e un posizionamento impossibili da trovare altrove”. E ora le prospettive sembrano di nuovo cupe: “Con la seconda ondata e il rischio di un secondo lockdown alle porte la partita è tutta da giocare, ma una cosa è certa: fair play e duttilità guideranno le scelte di tenant e landlord”, spiegano da Engel & Völkers.
Lo scenario è ovviamente diverso nel resto della Lombardia, dove la società, relativamente alle città di Brescia, Bergamo e Monza, non registra “grandi variazioni nella richiesta di metrature e superfici per il retail, soprattutto a destinazione food. Molto diverso è invece il discorso per gli uffici”, per i quali Engel & Völkers parla di “richieste di metrature decisamente più contenute: complice lo smartworking, i ritardi nell’erogazione della cassa integrazione e la situazione di incertezza che avvolge molte società del terziario, purtroppo sono molti gli affittuari che stanno pensando di abbattere i costi fissi partendo proprio dal canone di locazione”. D’altra parte, “il lockdown e l’emergenza sanitaria hanno avuto una funzione di acceleratore di trend già in essere anche per location come le città secondarie della Lombardia”. Pensando in particolare a Bergamo, “oggi vediamo che a muovere le fila della ristorazione sono soprattutto imprenditori legati a brand e società più strutturate, magari con qualche punto vendita già aperto a Milano”. Per l’attrattività di queste città, sottolinea Engel & Völkers, è fondamentale la vicinanza al capoluogo: “Monza e Bergamo sono ritenute una valida alternativa residenziale per chi lavora a Milano ed è alla ricerca di un giusto equilibrio fra costo della vita e verde”. In generale, “è un dato di fatto che anche per queste location il lockdown ha avuto conseguenze importanti sullo sviluppo delle strategie di business. Chi ha potuto ed era già attivo prima dell’esplosione della crisi si è organizzato con il delivery e la consegna a domicilio, chi ha iniziato ora continua invece coi parametri classici”. A differenza di Milano, per il retail food “a Brescia, Bergamo e Monza non si è verificata un’impennata di richieste di ‘dark kitchen’, mentre a mutare è stata la tipologia dell’offerta: aumenta la verticalizzazione del prodotto culinario, quindi retailer che si specializzano in un determinato tipo di alimento per cui creano un format ad hoc, come il poke, la pasticceria siciliana o la pizza. In questo senso sta crescendo la cura al dettaglio e alla qualità, più che alla quantità e all’eterogeneità dell’offerta”.
Tra i settori maggiormente colpiti dalla crisi del covid c’è l’immobiliare, e in particolare il segmento del non residenziale, che comprende uffici e negozi. Le restrizioni agli spostamenti e la diffusione sempre maggiore del lavoro da remoto hanno modificato radicalmente le prospettive per il settore, specie per quanto riguarda gli affitti delle location vie dello shopping. Al tema è dedicato il Retail Market Report Milano e Lombardia di Engel & Völkers, che ha scattato una fotografia delle realtà di alcune tra le maggiori città lombarde – Milano, ma anche Monza, Bergamo e Brescia – alla vigilia dell’inizio della pandemia. Strade e punti nevralgici dello shopping che ora stanno soffrendo, ma che secondo il report non moriranno: “L’emergenza sanitaria ha per certi versi modificato, ma non annichilito il punto vendita. Il negozio resta fondamentale per la promozione del brand, il suo ruolo come mordente per l’experience insostituibile; il fisico si è reso complice ed alleato del virtuale quale viatico all’acquisto, senza tuttavia soppiantarlo”, si legge nel report. C’è comunque la consapevolezza che il mondo è mutato, forse definitivamente. “L’inverno e la primavera del 2020 hanno cambiato il mondo del negozio: nuovi approcci sono necessari, studio e competenza sono le uniche armi per superare le sfide che il retail sta affrontando”.
Nel momento in cui il covid-19 ha colpito l’Italia, Milano si confermava per il secondo anno consecutivo al primo posto per la qualità della vita, con un reddito medio complessivo per contribuente di 28.867,40 euro all’anno, il più alto in assoluto in Italia: una location imprescindibile per i negozi dei più noti brand internazionali. Strade simbolo del lusso come via Montenapoleone – con un canone di affitto medio compreso tra i 6mila e i 10mila euro per metro quadro – via della Spiga, via Gesù, fino alle più commerciali via Torino e corso Buenos Aires o alle location emergenti come via Borsieri, all’Isola, prima del covid erano richiestissime dai brand retail, di alta gamma e non solo. Nell’ambito del mercato immobiliare non residenziale anche le altre città risultavano discretamente attraenti, con Monza che in particolare beneficiava della vicinanza a Milano, mentre Bergamo contava sull’apertura del centro commerciale accanto all’aeroporto di Orio al Serio, primo mall in Italia per superficie e varietà dell’offerta e Brescia, che nel 2019, nel comparto dell’immobiliare non residenziale retail, aveva registrato una crescita della domanda sia per l’acquisto sia per la locazione, con prezzi e canoni stazionari e rendimenti netti compresi fra il 5% e l’8%.
La pandemia ha cambiato le carte in tavola, ma il lusso sembra mostrare resilienza. A Milano, sottolineano gli esperti di Engel & Völkers, “nonostante la straordinarietà delle circostanze, non sono al momento apprezzabili variazioni nei canoni a regime nelle vie del lusso e nel Quadrilatero d’Oro (l’area circoscritta da via Montenapoleone, via della Spiga, via Manzoni e corso Venezia, ndr)”. La prerogativa dei proprietari “rimane quella di non decapitalizzare l’asset di proprietà, cioè di mantenere invariato il valore dell’asset e quindi il rapporto fra il rendimento e il canone”: in quest’ottica, “concedere agli affittuari (tenant) un abbassamento del canone significherebbe diminuire il valore della proprietà. Per evitare questo scenario si è optato per soluzioni più morbide: tenant e proprietari (landlord) hanno trovato un punto di incontro con sconti temporanei o azzeramenti dei canoni per i mesi di chiusura”. In parallelo, “anche la normativa sul credito di imposta ha tamponato la situazione, risollevando l’animo oltre che il portafoglio degli affittuari”. Soprattutto per i marchi del lusso traslocare da indirizzi come quelli del Quadrilatero milanese “sarebbe un danno reputazionale impossibile da quantificare, oltre al fatto che le vie del lusso milanese garantiscono un prestigio e un posizionamento impossibili da trovare altrove”. E ora le prospettive sembrano di nuovo cupe: “Con la seconda ondata e il rischio di un secondo lockdown alle porte la partita è tutta da giocare, ma una cosa è certa: fair play e duttilità guideranno le scelte di tenant e landlord”, spiegano da Engel & Völkers.
Lo scenario è ovviamente diverso nel resto della Lombardia, dove la società, relativamente alle città di Brescia, Bergamo e Monza, non registra “grandi variazioni nella richiesta di metrature e superfici per il retail, soprattutto a destinazione food. Molto diverso è invece il discorso per gli uffici”, per i quali Engel & Völkers parla di “richieste di metrature decisamente più contenute: complice lo smartworking, i ritardi nell’erogazione della cassa integrazione e la situazione di incertezza che avvolge molte società del terziario, purtroppo sono molti gli affittuari che stanno pensando di abbattere i costi fissi partendo proprio dal canone di locazione”. D’altra parte, “il lockdown e l’emergenza sanitaria hanno avuto una funzione di acceleratore di trend già in essere anche per location come le città secondarie della Lombardia”. Pensando in particolare a Bergamo, “oggi vediamo che a muovere le fila della ristorazione sono soprattutto imprenditori legati a brand e società più strutturate, magari con qualche punto vendita già aperto a Milano”. Per l’attrattività di queste città, sottolinea Engel & Völkers, è fondamentale la vicinanza al capoluogo: “Monza e Bergamo sono ritenute una valida alternativa residenziale per chi lavora a Milano ed è alla ricerca di un giusto equilibrio fra costo della vita e verde”. In generale, “è un dato di fatto che anche per queste location il lockdown ha avuto conseguenze importanti sullo sviluppo delle strategie di business. Chi ha potuto ed era già attivo prima dell’esplosione della crisi si è organizzato con il delivery e la consegna a domicilio, chi ha iniziato ora continua invece coi parametri classici”. A differenza di Milano, per il retail food “a Brescia, Bergamo e Monza non si è verificata un’impennata di richieste di ‘dark kitchen’, mentre a mutare è stata la tipologia dell’offerta: aumenta la verticalizzazione del prodotto culinario, quindi retailer che si specializzano in un determinato tipo di alimento per cui creano un format ad hoc, come il poke, la pasticceria siciliana o la pizza. In questo senso sta crescendo la cura al dettaglio e alla qualità, più che alla quantità e all’eterogeneità dell’offerta”.