Il Copasir, il Comitato per la sicurezza pubblica presieduto da Raffaele Volpi, accende un faro sui crediti deteriorati in Italia a seguito della pandemia e della seconda ondata di infezioni. Secondo quanto si legge nel documento sugli asset strategici quali le banche e assicurazioni, trasmesso alle Camere giovedì 5 novembre, emerge la concreta paura che le imprese non riescano a pagare i debiti, in larga parte coperti dalla moratoria fino a giugno 2021.
Al punto che il Copasir avverte: “permane un gravissimo rischio a livello sistemico per il settore finanziario di un significativo incremento dei crediti deteriorati, fino al punto che gli Npl potrebbero astrattamente salire significativamente in percentuale rispetto agli attivi bancari verso privati e imprese e quindi posizionarsi in un range compreso tra 555 e 788 miliardi di euro, rispettivamente pari a un Npe ratio tra il 25% e il 35% dei predetti attivi bancari”. Npe è un acronimo che sta per Non performing exposures e comprende i crediti deteriorati (Npl), quelli scaduti (Past due) e le le inadempienze probabili (Unlikely to pay).
Secondo la relazione del Copasir, la situazione di emergenza provocata dal Covid-19 rischia di produrre effetti pesanti sul sistema finanziario, con l’effetto poi che le banche, davanti a rate non pagate, avranno sempre più difficoltà a concedere crediti alle imprese, soprattutto alle Pmi, “che costituiscono l’ossatura del nostro sistema economico, diversamente da quanto avviene in altri Paesi, dove si riscontra una maggiore presenza di aziende di grandi dimensioni”, riporta il documento.
Il timore è si sviluppi una catena non virtuosa che parte con l’aumento atteso dei crediti incagliati (passaggio da crediti in bonis a crediti incagliati, i cosiddetti unlikely to pay), prosegue con il passaggio dei crediti incagliati a crediti in sofferenza (da Utp a Npl), quindi con la diminuzione del valore degli Npl in un mercato dal Pil negativo, dove “le probabilità di recupero diminuiranno con conseguente difficoltà a collocarli sul mercato”.
Si avrebbe quindi un “possibile effetto domino sui titoli finanziari composti da panieri di crediti da cartolarizzazione, i cui margini di rendimento erano basati su calcoli che non includevano rischi di portata eccezionale come la pandemia da Covid-19”. E questo emergerebbe anche in maniera pesante sul mercato dei derivati.
Secondo quanto emerso in alcune audizioni, scrive il Copasir, il tema degli Npl si ricollega strettamente alla carenza di crescita del Paese, che tuttora non è tornato ai livelli di Pil del 2007, e che dopo l’emergenza Covid-19 avrà di fronte un ulteriore periodo di forte contrazione. La cessione dei crediti deteriorati “da parte delle banche nazionali è stata negli ultimi anni consistente, ma ha dovuto necessariamente accettare prezzi poco remunerativi, visto l’elevato margine di rischio per gli acquirenti (generalmente gruppi inglesi specializzati in tali operazioni)”.
Attualmente in Italia gli Npl contabilizzati sui bilanci delle banche, secondo i dati forniti nelle audizioni al Comitato, sono pari a 177 miliardi di euro, dei quali 96 di sofferenze e 81 miliardi di crediti Utp Complessivamente si registra una percentuale dell’8,02% (cosiddetta Non-Performing Exposure, Npe) dei crediti deteriorati sul totale attivo delle banche costituito da crediti verso famiglie e imprese, che potrebbe portarsi fino a 35% a causa della pandemia in corso.
Inoltre, bisogna considerare, prosegue il Copasir, “anche i 184 miliardi di euro ancora da gestire, ceduti a società di servicing da parte delle banche nel periodo 2015-2019, che potrebbero vedere incrementate le probabilità di mancato recupero con conseguente write-off (ovvero cancellazione dai bilanci) delle predette società, spesso controllate dalle banche stesse”.
Quanto ai crediti ceduti e ancora da gestire, 68,7 miliardi di euro, meno di un terzo, sono stati immessi sul mercato grazie al Fondo di Garanzia sulla Cartolarizzazione delle Sofferenze (Gags), prorogato fino al 5 marzo 2019 e poi rinnovata, con alcune modifiche, per 24 mesi (prorogabili per ulteriori 12 mesi), a partire dalla positiva decisione della Commissione Europea.
Pertanto, prosegue il Copasir, “permane un gravissimo rischio a livello sistemico per il settore finanziario di un significativo incremento dei crediti deteriorati, fino al punto che gli Npl potrebbero astrattamente salire significativamente in percentuale rispetto agli attivi bancari verso privati e imprese e quindi posizionarsi in un range compreso tra 555 e 788 miliardi di euro, rispettivamente pari a un Npe tra il 25% e il 35% degli attivi bancari”. Ciò potrebbe innescare, “come già visto solo pochi anni fa, un circolo vizioso fatto di eccesso Npl-credit crunch-recessione”, conclude il documento.
Autore: Elena Dal Maso, Andrea Pira
Fonte: Milano Finanza
Il Copasir, il Comitato per la sicurezza pubblica presieduto da Raffaele Volpi, accende un faro sui crediti deteriorati in Italia a seguito della pandemia e della seconda ondata di infezioni. Secondo quanto si legge nel documento sugli asset strategici quali le banche e assicurazioni, trasmesso alle Camere giovedì 5 novembre, emerge la concreta paura che le imprese non riescano a pagare i debiti, in larga parte coperti dalla moratoria fino a giugno 2021.
Al punto che il Copasir avverte: “permane un gravissimo rischio a livello sistemico per il settore finanziario di un significativo incremento dei crediti deteriorati, fino al punto che gli Npl potrebbero astrattamente salire significativamente in percentuale rispetto agli attivi bancari verso privati e imprese e quindi posizionarsi in un range compreso tra 555 e 788 miliardi di euro, rispettivamente pari a un Npe ratio tra il 25% e il 35% dei predetti attivi bancari”. Npe è un acronimo che sta per Non performing exposures e comprende i crediti deteriorati (Npl), quelli scaduti (Past due) e le le inadempienze probabili (Unlikely to pay).
Secondo la relazione del Copasir, la situazione di emergenza provocata dal Covid-19 rischia di produrre effetti pesanti sul sistema finanziario, con l’effetto poi che le banche, davanti a rate non pagate, avranno sempre più difficoltà a concedere crediti alle imprese, soprattutto alle Pmi, “che costituiscono l’ossatura del nostro sistema economico, diversamente da quanto avviene in altri Paesi, dove si riscontra una maggiore presenza di aziende di grandi dimensioni”, riporta il documento.
Il timore è si sviluppi una catena non virtuosa che parte con l’aumento atteso dei crediti incagliati (passaggio da crediti in bonis a crediti incagliati, i cosiddetti unlikely to pay), prosegue con il passaggio dei crediti incagliati a crediti in sofferenza (da Utp a Npl), quindi con la diminuzione del valore degli Npl in un mercato dal Pil negativo, dove “le probabilità di recupero diminuiranno con conseguente difficoltà a collocarli sul mercato”.
Si avrebbe quindi un “possibile effetto domino sui titoli finanziari composti da panieri di crediti da cartolarizzazione, i cui margini di rendimento erano basati su calcoli che non includevano rischi di portata eccezionale come la pandemia da Covid-19”. E questo emergerebbe anche in maniera pesante sul mercato dei derivati.
Secondo quanto emerso in alcune audizioni, scrive il Copasir, il tema degli Npl si ricollega strettamente alla carenza di crescita del Paese, che tuttora non è tornato ai livelli di Pil del 2007, e che dopo l’emergenza Covid-19 avrà di fronte un ulteriore periodo di forte contrazione. La cessione dei crediti deteriorati “da parte delle banche nazionali è stata negli ultimi anni consistente, ma ha dovuto necessariamente accettare prezzi poco remunerativi, visto l’elevato margine di rischio per gli acquirenti (generalmente gruppi inglesi specializzati in tali operazioni)”.
Attualmente in Italia gli Npl contabilizzati sui bilanci delle banche, secondo i dati forniti nelle audizioni al Comitato, sono pari a 177 miliardi di euro, dei quali 96 di sofferenze e 81 miliardi di crediti Utp Complessivamente si registra una percentuale dell’8,02% (cosiddetta Non-Performing Exposure, Npe) dei crediti deteriorati sul totale attivo delle banche costituito da crediti verso famiglie e imprese, che potrebbe portarsi fino a 35% a causa della pandemia in corso.
Inoltre, bisogna considerare, prosegue il Copasir, “anche i 184 miliardi di euro ancora da gestire, ceduti a società di servicing da parte delle banche nel periodo 2015-2019, che potrebbero vedere incrementate le probabilità di mancato recupero con conseguente write-off (ovvero cancellazione dai bilanci) delle predette società, spesso controllate dalle banche stesse”.
Quanto ai crediti ceduti e ancora da gestire, 68,7 miliardi di euro, meno di un terzo, sono stati immessi sul mercato grazie al Fondo di Garanzia sulla Cartolarizzazione delle Sofferenze (Gags), prorogato fino al 5 marzo 2019 e poi rinnovata, con alcune modifiche, per 24 mesi (prorogabili per ulteriori 12 mesi), a partire dalla positiva decisione della Commissione Europea.
Pertanto, prosegue il Copasir, “permane un gravissimo rischio a livello sistemico per il settore finanziario di un significativo incremento dei crediti deteriorati, fino al punto che gli Npl potrebbero astrattamente salire significativamente in percentuale rispetto agli attivi bancari verso privati e imprese e quindi posizionarsi in un range compreso tra 555 e 788 miliardi di euro, rispettivamente pari a un Npe tra il 25% e il 35% degli attivi bancari”. Ciò potrebbe innescare, “come già visto solo pochi anni fa, un circolo vizioso fatto di eccesso Npl-credit crunch-recessione”, conclude il documento.
Autore: Elena Dal Maso, Andrea Pira
Fonte: Milano Finanza