Mancano meno di due mesi a Natale ma il clima di incertezza rischia di condizionare i profitti soliti del periodo. A lanciare l’allarme è il Rapporto Censis Confimprese che stima un crollo dei consumi, qualora a causa della pandemia in corso si andasse verso un nuovo lockdown nel periodo natalizio, che costerebbe all’Italia una perdita di ben 25 miliardi di consumi.
Il valore sociale dei consumi, questo il titolo dell’ultimo rapporto dell’istituto di ricerca realizzato con il contributo di Ceetrus, stima un crollo dei consumi totali, considerando il primo lockdown e le perdite già derivanti da esso, pari a 229 miliardi di euro, a cui farebbe seguito una perdita di 5 milioni di unità di posti di lavoro.
Una situazione drammatica specie per alcune categorie di lavoratori, già messi a dura prova dal primo blocco forzato a marzo, ed ora nuovamente messi ‘in ginocchio’ dalle nuove misure restrittive pensate dal Governo per cercare di contenere questa seconda ondata pandemica. Si pensi ai lavoratori del turismo, ai ristoratori, costretti a chiudere alle 18, nel pieno della loro attività, ai gestori di palestre e piscine, che hanno fatto di tutto e speso denari per adattarsi alle norme imposte per la riapertura, e che oggi si trovano nuovamente ‘ a porte chiuse’, si pensi a chi vive di convegni, di fiere, ai lavoratori dello spettacolo. A questo si aggiunge la paura del domani, intesa come insicurezza economica, e del contagio che frena inesorabilmente i consumi ed induce le famiglie a risparmiare per fare fronte alle ristrettezze economiche che deriveranno dal contraccolpo determinato dagli effetti economici del Covid 19.
Per gli esperti Natale è davvero la deadline per la tenuta psicologica degli italiani, molti si sono adattati, seppur controvoglia, alle nuove disposizioni confidando questo possa proteggere i commercianti dal fallimento e possa indurre il Governo alla riapertura da fine novembre in poi, a scadenza dell’ultimo dpcm, al fine di dare ossigeno ad uno dei periodi che danno maggior sollievo a tante categorie di lavoratori.
La situazione delle famiglie è preoccupante, i dati parlano chiaro, nella prima ondata quasi 4 milioni di famiglie hanno dovuto far ricorso a prestiti chiedendo aiuto ai famigliari o agli amici, specie le famiglie con redditi bassi.
Ora però che le reti di sostegno informale sono state già intaccate, il rischio per chi dovesse entrare in sofferenza è quello di trovarsi da soli, ecco perché i consumi vengono sempre più ridotti.
Le persone si sono espresse, stando a quanto riportato dal rapporto, in questi termini circa le misure imposte: Per il 43,3% per garantire il giusto equilibrio tra la tutela della salute e la difesa dell’economia bisognerebbe distinguere il rischio di contagio nei diversi territori, blindando i territori ad alto rischio e allentando la presa sugli altri. Per il 30% la tutela della salute impone lacrime e sangue, quindi è inevitabile la sofferenza economica.
A perdere maggiormente in tutto questo contesto sono stati i piccoli commercianti perché il Covid 19 ha cambiato radicalmente le abitudini di spesa, moltissimi quelli che preferiscono comprare online e farsi consegnare la spesa, piuttosto che comprare nel solito negozio sotto casa. La diffidenza, la paura di essere contagiati, lo scambio di denaro, ha portato ad un incremento degli acquisti effettuati sulle piattaforme online a dispetto dei negozi in presenza. I dati lo confermano: “Nel periodo dell’emergenza il 42,7% ha acquistato online prodotti che prima comprava nei negozi fisici, in particolare i giovani (52,2%) e i laureati (47,4%).”
In tutto questo a lanciare l’allarme è Confimprese che attraverso Mario Resca, Il presidente, afferma: “La situazione della distribuzione e del commercio in generale è già durissima oggi, con chiusure soltanto parziali, perché da quando ‒ appena una settimana fa ‒ si è cominciato a parlarne, la flessione è stata immediata, i clienti si sono diradati e la distribuzione, la ristorazione e il commercio hanno già intravisto i giorni bui di marzo e aprile. Senza contare che, in relazione al virus, la chiusura dei centri commerciali il sabato e la domenica in alcune regioni non risolve nulla, perché concentra i già scarsi clienti durante gli altri giorni della settimana, con disagi maggiori”.
Non resta che sperare che la curva dei contagi scenda e che il Natale possa essere messo in salvo.
Mancano meno di due mesi a Natale ma il clima di incertezza rischia di condizionare i profitti soliti del periodo. A lanciare l’allarme è il Rapporto Censis Confimprese che stima un crollo dei consumi, qualora a causa della pandemia in corso si andasse verso un nuovo lockdown nel periodo natalizio, che costerebbe all’Italia una perdita di ben 25 miliardi di consumi.
Il valore sociale dei consumi, questo il titolo dell’ultimo rapporto dell’istituto di ricerca realizzato con il contributo di Ceetrus, stima un crollo dei consumi totali, considerando il primo lockdown e le perdite già derivanti da esso, pari a 229 miliardi di euro, a cui farebbe seguito una perdita di 5 milioni di unità di posti di lavoro.
Una situazione drammatica specie per alcune categorie di lavoratori, già messi a dura prova dal primo blocco forzato a marzo, ed ora nuovamente messi ‘in ginocchio’ dalle nuove misure restrittive pensate dal Governo per cercare di contenere questa seconda ondata pandemica. Si pensi ai lavoratori del turismo, ai ristoratori, costretti a chiudere alle 18, nel pieno della loro attività, ai gestori di palestre e piscine, che hanno fatto di tutto e speso denari per adattarsi alle norme imposte per la riapertura, e che oggi si trovano nuovamente ‘ a porte chiuse’, si pensi a chi vive di convegni, di fiere, ai lavoratori dello spettacolo. A questo si aggiunge la paura del domani, intesa come insicurezza economica, e del contagio che frena inesorabilmente i consumi ed induce le famiglie a risparmiare per fare fronte alle ristrettezze economiche che deriveranno dal contraccolpo determinato dagli effetti economici del Covid 19.
Per gli esperti Natale è davvero la deadline per la tenuta psicologica degli italiani, molti si sono adattati, seppur controvoglia, alle nuove disposizioni confidando questo possa proteggere i commercianti dal fallimento e possa indurre il Governo alla riapertura da fine novembre in poi, a scadenza dell’ultimo dpcm, al fine di dare ossigeno ad uno dei periodi che danno maggior sollievo a tante categorie di lavoratori.
La situazione delle famiglie è preoccupante, i dati parlano chiaro, nella prima ondata quasi 4 milioni di famiglie hanno dovuto far ricorso a prestiti chiedendo aiuto ai famigliari o agli amici, specie le famiglie con redditi bassi.
Ora però che le reti di sostegno informale sono state già intaccate, il rischio per chi dovesse entrare in sofferenza è quello di trovarsi da soli, ecco perché i consumi vengono sempre più ridotti.
Le persone si sono espresse, stando a quanto riportato dal rapporto, in questi termini circa le misure imposte: Per il 43,3% per garantire il giusto equilibrio tra la tutela della salute e la difesa dell’economia bisognerebbe distinguere il rischio di contagio nei diversi territori, blindando i territori ad alto rischio e allentando la presa sugli altri. Per il 30% la tutela della salute impone lacrime e sangue, quindi è inevitabile la sofferenza economica.
A perdere maggiormente in tutto questo contesto sono stati i piccoli commercianti perché il Covid 19 ha cambiato radicalmente le abitudini di spesa, moltissimi quelli che preferiscono comprare online e farsi consegnare la spesa, piuttosto che comprare nel solito negozio sotto casa. La diffidenza, la paura di essere contagiati, lo scambio di denaro, ha portato ad un incremento degli acquisti effettuati sulle piattaforme online a dispetto dei negozi in presenza. I dati lo confermano: “Nel periodo dell’emergenza il 42,7% ha acquistato online prodotti che prima comprava nei negozi fisici, in particolare i giovani (52,2%) e i laureati (47,4%).”
In tutto questo a lanciare l’allarme è Confimprese che attraverso Mario Resca, Il presidente, afferma: “La situazione della distribuzione e del commercio in generale è già durissima oggi, con chiusure soltanto parziali, perché da quando ‒ appena una settimana fa ‒ si è cominciato a parlarne, la flessione è stata immediata, i clienti si sono diradati e la distribuzione, la ristorazione e il commercio hanno già intravisto i giorni bui di marzo e aprile. Senza contare che, in relazione al virus, la chiusura dei centri commerciali il sabato e la domenica in alcune regioni non risolve nulla, perché concentra i già scarsi clienti durante gli altri giorni della settimana, con disagi maggiori”.
Non resta che sperare che la curva dei contagi scenda e che il Natale possa essere messo in salvo.