«È difficile pensare a una struttura europea che gestisca in maniera unitaria i crediti deteriorati». Il vicepresidente della Commissione di Vigilanza della Bce, Yves Mersch, pondera con cura le parole. Ma esprime lo stesso concetto che – con varie sfumature di grigio – arriva da tutti gli operatori del settore dei crediti deteriorati (Npl) riuniti ieri a Cernobbio per l’evento annuale di Banca Ifis: l’idea su cui sta lavorando la Commissione europea, di creare una Bad Bank continentale oppure una struttura europea di Bad Bank nazionali, crea molti dubbi. Al massimo – per usare le parole del presidente di Intrum Giovanni Gilli – «quello della Bad Bank può essere un piano B da tenere nel cassetto e da usare solo se la situazione peggiorasse». Ma un certo scetticismo, a Cernobbio, accoglie anche le altre proposte di Bruxelles in tema di Npl, discusse venerdì scorso in un incontro tra i protagonisti del settore e il vice-presidente Valdis Dombrovskis: sia la standardizzazione delle informazioni sugli Npl, sia la creazione di una Borsa europea degli Npl. Ma andiamo con ordine.
La Bad Bank
Per capire perché si parla di Bad Bank europea basta guardare i dati che proprio Banca Ifis ha presentato ieri. Dopo anni in cui le banche stavano smaltendo i crediti deteriorati (vendendoli a operatori specializzati), ora la crisi del Covid rischia di creare una seconda ondata di Npl: più le imprese e le famiglie soffrono, meno sono infatti in grado di rimborsare i debiti. Che diventano deteriorati nei bilanci delle banche: non ora (perché le moratorie hanno anestetizzato il fenomeno), ma nel 2021. Per l’anno prossimo Ifis prevede che i crediti deteriorati possano salire nei bilanci delle banche italiane da 118 miliardi del 2020 a 139. Sommando anche i crediti ormai fuori dai bilanci bancari (perché venduti), nel 2021 la montagna di crediti in default dovrebbe raggiungere in Italia la cifra record di 385 miliardi.
L’idea della Bad Bank, fatta con soldi pubblici, nasce proprio da questi numeri: prima che l’ondata arrivi nel 2021, l’Europa vuole attrezzarsi per affrontarla. Ed evitare che l’aumento delle sofferenze costringa le banche a frenare le erogazioni di nuovi prestiti. Se su questa preoccupazione sono tutti d’accordo, il timore è che la Bad Bank possa fare danni se realizzata male: l’opinione diffusa è che potrebbe funzionare solo se intervenisse esclusivamente per salvare le banche in crisi, ma non se operasse anche sul mercato degli Npl di banche sane. Perché distorcerebbe il mercato. Esattamente come – secondo molti operatori ma non secondo il Mef – starebbe facendo Amco, società posseduta al 100% dal Ministero dell’Economia, accusata di partecipare alla vendita di Npl di banche sane offrendo prezzi migliori degli altri investitori grazie alla struttura pubblica e “paziente” del suo azionariato.
C’è chi lo dice con parole misurate, come Luciano Colombini, ad di Banca Ifis: «Amco dà liquidità al mercato, cosa positiva – osserva -. Ma deve operare alle condizioni vere di mercato. E dalle prime avvisaglie sembrerebbe non sia così». C’è chi lo dice con parole dure, come Andrea Mangoni, Ceo di Do Value: «Io Amco la vedo male – dice perentorio -. Anzi, la vedo molto male. Mentre le altre Bad Bank europee intervengono solo nelle banche in crisi, Amco è uno pseudo player di mercato perché compra Npl in concorrenza con gli investitori privati». Morale: a prescindere da chi abbia ragione su Amco, è diffusa la preoccupazione che un’eventuale nuova Bad Bank possa ulteriormente distorcere il mercato.
«Esistono due mondi – osserva Corrado Passera, Ad di illimity -. Ci sono operatori di mercato che si fanno concorrenza per comprare crediti deteriorati, un mercato che in Italia funziona. O ci sono le bad bank pubbliche che servono a salvare le banche in crisi. Se però queste sfruttano i vantaggi di costo del capitale e funding bassissimi per fare concorrenza a operatori privati, allora il mercato perde operatori e si indebolisce». «Io credo che sia necessario definire bene il ruolo che potrebbe svolgere la Bad Bank nella gestione delle crisi bancarie, nella salvaguardia dei posti di lavoro e, soprattutto, nell’impiego delle risorse pubbliche», conclude Colombini. Dibattito aperto.
La Borsa degli Npl
Più sottile invece la critica all’altra proposta della Commissione Ue: quella di standardizzare le informazioni dei crediti deteriorati a livello europeo, in modo da facilitare la vendita e da poter creare una sorta di Borsa dei crediti deteriorati. Su un punto sono tutti d’accordo: una standardizzazione delle informazioni serve. «Avere buone informazioni facilmente accessibili è fondamentale per favorire il mercato», osserva Guido Lombardo, Cio di Credito Fondiario. «Bisogna rendere più trasparente ed efficiente il mercato», gli fa eco Passera. «È giusto che si vada verso una due diligence pre-confezionata – aggiunge Stefano Sennhauser, senior partner di Allen & Overy -. In modo da mettere su una piattaforma tutte le informazioni facilmente accessibili».
Però c’è un però: l’attuale strada intrapresa dall’Europa prevede che per ogni singolo Npl vada compilato un formulario elettronico con centinaia di campi da riempire. Per portafogli da migliaia di crediti è impossibile farlo in tempi rapidi. «Serve trasparenza, ma anche pragmatismo per restare efficienti», aggiunge Passera. «Serve disciplina sui dati, ma anche praticità», chiosa Lombardo. Anche perché se si rende tutto più complicato, il rischio è di non farsi trovare pronti per la seconda ondata di Npl.
Fonte: Il Sole 24 Ore
«È difficile pensare a una struttura europea che gestisca in maniera unitaria i crediti deteriorati». Il vicepresidente della Commissione di Vigilanza della Bce, Yves Mersch, pondera con cura le parole. Ma esprime lo stesso concetto che – con varie sfumature di grigio – arriva da tutti gli operatori del settore dei crediti deteriorati (Npl) riuniti ieri a Cernobbio per l’evento annuale di Banca Ifis: l’idea su cui sta lavorando la Commissione europea, di creare una Bad Bank continentale oppure una struttura europea di Bad Bank nazionali, crea molti dubbi. Al massimo – per usare le parole del presidente di Intrum Giovanni Gilli – «quello della Bad Bank può essere un piano B da tenere nel cassetto e da usare solo se la situazione peggiorasse». Ma un certo scetticismo, a Cernobbio, accoglie anche le altre proposte di Bruxelles in tema di Npl, discusse venerdì scorso in un incontro tra i protagonisti del settore e il vice-presidente Valdis Dombrovskis: sia la standardizzazione delle informazioni sugli Npl, sia la creazione di una Borsa europea degli Npl. Ma andiamo con ordine.
La Bad Bank
Per capire perché si parla di Bad Bank europea basta guardare i dati che proprio Banca Ifis ha presentato ieri. Dopo anni in cui le banche stavano smaltendo i crediti deteriorati (vendendoli a operatori specializzati), ora la crisi del Covid rischia di creare una seconda ondata di Npl: più le imprese e le famiglie soffrono, meno sono infatti in grado di rimborsare i debiti. Che diventano deteriorati nei bilanci delle banche: non ora (perché le moratorie hanno anestetizzato il fenomeno), ma nel 2021. Per l’anno prossimo Ifis prevede che i crediti deteriorati possano salire nei bilanci delle banche italiane da 118 miliardi del 2020 a 139. Sommando anche i crediti ormai fuori dai bilanci bancari (perché venduti), nel 2021 la montagna di crediti in default dovrebbe raggiungere in Italia la cifra record di 385 miliardi.
L’idea della Bad Bank, fatta con soldi pubblici, nasce proprio da questi numeri: prima che l’ondata arrivi nel 2021, l’Europa vuole attrezzarsi per affrontarla. Ed evitare che l’aumento delle sofferenze costringa le banche a frenare le erogazioni di nuovi prestiti. Se su questa preoccupazione sono tutti d’accordo, il timore è che la Bad Bank possa fare danni se realizzata male: l’opinione diffusa è che potrebbe funzionare solo se intervenisse esclusivamente per salvare le banche in crisi, ma non se operasse anche sul mercato degli Npl di banche sane. Perché distorcerebbe il mercato. Esattamente come – secondo molti operatori ma non secondo il Mef – starebbe facendo Amco, società posseduta al 100% dal Ministero dell’Economia, accusata di partecipare alla vendita di Npl di banche sane offrendo prezzi migliori degli altri investitori grazie alla struttura pubblica e “paziente” del suo azionariato.
C’è chi lo dice con parole misurate, come Luciano Colombini, ad di Banca Ifis: «Amco dà liquidità al mercato, cosa positiva – osserva -. Ma deve operare alle condizioni vere di mercato. E dalle prime avvisaglie sembrerebbe non sia così». C’è chi lo dice con parole dure, come Andrea Mangoni, Ceo di Do Value: «Io Amco la vedo male – dice perentorio -. Anzi, la vedo molto male. Mentre le altre Bad Bank europee intervengono solo nelle banche in crisi, Amco è uno pseudo player di mercato perché compra Npl in concorrenza con gli investitori privati». Morale: a prescindere da chi abbia ragione su Amco, è diffusa la preoccupazione che un’eventuale nuova Bad Bank possa ulteriormente distorcere il mercato.
«Esistono due mondi – osserva Corrado Passera, Ad di illimity -. Ci sono operatori di mercato che si fanno concorrenza per comprare crediti deteriorati, un mercato che in Italia funziona. O ci sono le bad bank pubbliche che servono a salvare le banche in crisi. Se però queste sfruttano i vantaggi di costo del capitale e funding bassissimi per fare concorrenza a operatori privati, allora il mercato perde operatori e si indebolisce». «Io credo che sia necessario definire bene il ruolo che potrebbe svolgere la Bad Bank nella gestione delle crisi bancarie, nella salvaguardia dei posti di lavoro e, soprattutto, nell’impiego delle risorse pubbliche», conclude Colombini. Dibattito aperto.
La Borsa degli Npl
Più sottile invece la critica all’altra proposta della Commissione Ue: quella di standardizzare le informazioni dei crediti deteriorati a livello europeo, in modo da facilitare la vendita e da poter creare una sorta di Borsa dei crediti deteriorati. Su un punto sono tutti d’accordo: una standardizzazione delle informazioni serve. «Avere buone informazioni facilmente accessibili è fondamentale per favorire il mercato», osserva Guido Lombardo, Cio di Credito Fondiario. «Bisogna rendere più trasparente ed efficiente il mercato», gli fa eco Passera. «È giusto che si vada verso una due diligence pre-confezionata – aggiunge Stefano Sennhauser, senior partner di Allen & Overy -. In modo da mettere su una piattaforma tutte le informazioni facilmente accessibili».
Però c’è un però: l’attuale strada intrapresa dall’Europa prevede che per ogni singolo Npl vada compilato un formulario elettronico con centinaia di campi da riempire. Per portafogli da migliaia di crediti è impossibile farlo in tempi rapidi. «Serve trasparenza, ma anche pragmatismo per restare efficienti», aggiunge Passera. «Serve disciplina sui dati, ma anche praticità», chiosa Lombardo. Anche perché se si rende tutto più complicato, il rischio è di non farsi trovare pronti per la seconda ondata di Npl.
Fonte: Il Sole 24 Ore