Chiuso il complicato negoziato con la vigilanza di Francoforte sull’operazione Npl ad Amco, il governo mette in campo i prossimi passaggi per la privatizzazione del Monte dei Paschi. A quanto risulta a Il Sole 24 Ore è pronto per il Consiglio dei ministri il decreto di Palazzo Chigi che autorizza la privatizzazione di Rocca Salimbeni, che dovrà avvenire entro l’autunno del prossimo anno, come del resto imposto dal calendario concordato con le autorità di Bruxelles.
Il decreto predisposto dal Tesoro è un passaggio obbligato, perché serve ad autorizzare una cessione delle quote che la crisi del Covid-19 e le revisioni del Temporary Framework sugli aiuti di Stato hanno solo ammorbidito nei tempi. Tempi che in ogni caso rimangono stretti perché già prima della recessione i carotaggi sul mercato alla ricerca di un compratore avevano prodotto solo una serie di rumors presto smentiti dai diretti interessati. La banca, che su questo fronte è assistita da Mediobanca, sta sondando il mercato ma i potenziali acquirenti sembrano infatti freddi rispetto al dossier.
A questo si aggiunga come la pesante caduta dell’economia con le sue ricadute sul settore bancario non faccia ovviamente che complicare il problema di un’uscita che rischia di pesare sui conti pubblici. I problemi di Siena prima e la gelata prodotta dalla pandemia poi hanno cambiato drasticamente il quadro rispetto allo scenario ipotizzato nel 2016, quando le relazioni tecniche prospettavano un recupero pieno dei 6,9 miliardi impegnati dal governo Renzi nella prima “ricapitalizzazione precauzionale” nell’era della Brrd (5,4 miliardi) e nei rimborsi agli obbligazionisti (1,5 miliardi) con lo swap fra i vecchi bond e le nuove azioni.
Oggi il Tesoro ha in carico le azioni di Siena a 6,9 euro (8,5 per la parte relativa ai rimborsi). Ieri Rocca Salimbeni ha chiuso a 1,42 euro). Di fatto quindi, al momento la perdita virtuale per il Tesoro si attesta attorno all’80%, per un controvalore complessivo di circa 5,5 miliardi.
In parallelo, d’altra parte, la banca lavora pancia a terra alla ricapitalizzazione propedeutica alla scissione di 8,1 miliardi di crediti deteriorati con relativa cessione ad Amco. Dopo aver ricevuto mercoledì il via libera definitivo all’operazione da parte della Bce, l’istituto è infatti impegnato nell’avveramento delle condizioni che la Banca centrale ha posto come irrinunciabili per rendere valida l’operazione.
Un tassello prezioso è arrivato proprio ieri. L’istituto è infatti sceso sul mercato per emettere il bond Tier2 concordato con Bce. La size finale del subordinato si è rivelata persino superiore ai 250 milioni previsti, attestandosi a 300 milioni. Molto forte l’interesse degli investitori, da cui è arrivata una domanda per un miliardo. L’emissione – che ha visto coinvolte Morgan Stanley, Barclays e Mps Capital Services – tecnicamente è un Tier2, con scadenza a 10 anni, non rimborsabile per i primi 5 anni. Il rendimento è stato fissato all’8,5% annuo, quindi lievemente al di sotto della guidance iniziale, fissata in area 9% e con un ammontare previsto massimo, come detto, di 250 milioni. Il bond avrà rating Caa1 da Moody’s e CCC+ da Fitch. Ora dunque si guarda ai prossimi passi, il prossimo dei quali è rappresentato dall’assemblea, che come anticipato ieri si terrà nei primi giorni di ottobre. L’esito, in questo caso, è scontato, visto che l’azionista di maggioranza, il Mef, ha una quota (68%) che mette al riparo da ogni sorpresa. Il vero snodo però è costituito dall’emissione di Additional Tier 1 chiesta da Bce, che va ad aggiungersi al Tier 2 di ieri. L’ammontare complessivo di tale strumento – che fonti di mercato individuano in circa 700 milioni in termini di emissione – dovrà essere infatti sottoscritto per “almeno” il 30% da investitori privati.
Fonte: Il Sole 24 Ore
Chiuso il complicato negoziato con la vigilanza di Francoforte sull’operazione Npl ad Amco, il governo mette in campo i prossimi passaggi per la privatizzazione del Monte dei Paschi. A quanto risulta a Il Sole 24 Ore è pronto per il Consiglio dei ministri il decreto di Palazzo Chigi che autorizza la privatizzazione di Rocca Salimbeni, che dovrà avvenire entro l’autunno del prossimo anno, come del resto imposto dal calendario concordato con le autorità di Bruxelles.
Il decreto predisposto dal Tesoro è un passaggio obbligato, perché serve ad autorizzare una cessione delle quote che la crisi del Covid-19 e le revisioni del Temporary Framework sugli aiuti di Stato hanno solo ammorbidito nei tempi. Tempi che in ogni caso rimangono stretti perché già prima della recessione i carotaggi sul mercato alla ricerca di un compratore avevano prodotto solo una serie di rumors presto smentiti dai diretti interessati. La banca, che su questo fronte è assistita da Mediobanca, sta sondando il mercato ma i potenziali acquirenti sembrano infatti freddi rispetto al dossier.
A questo si aggiunga come la pesante caduta dell’economia con le sue ricadute sul settore bancario non faccia ovviamente che complicare il problema di un’uscita che rischia di pesare sui conti pubblici. I problemi di Siena prima e la gelata prodotta dalla pandemia poi hanno cambiato drasticamente il quadro rispetto allo scenario ipotizzato nel 2016, quando le relazioni tecniche prospettavano un recupero pieno dei 6,9 miliardi impegnati dal governo Renzi nella prima “ricapitalizzazione precauzionale” nell’era della Brrd (5,4 miliardi) e nei rimborsi agli obbligazionisti (1,5 miliardi) con lo swap fra i vecchi bond e le nuove azioni.
Oggi il Tesoro ha in carico le azioni di Siena a 6,9 euro (8,5 per la parte relativa ai rimborsi). Ieri Rocca Salimbeni ha chiuso a 1,42 euro). Di fatto quindi, al momento la perdita virtuale per il Tesoro si attesta attorno all’80%, per un controvalore complessivo di circa 5,5 miliardi.
In parallelo, d’altra parte, la banca lavora pancia a terra alla ricapitalizzazione propedeutica alla scissione di 8,1 miliardi di crediti deteriorati con relativa cessione ad Amco. Dopo aver ricevuto mercoledì il via libera definitivo all’operazione da parte della Bce, l’istituto è infatti impegnato nell’avveramento delle condizioni che la Banca centrale ha posto come irrinunciabili per rendere valida l’operazione.
Un tassello prezioso è arrivato proprio ieri. L’istituto è infatti sceso sul mercato per emettere il bond Tier2 concordato con Bce. La size finale del subordinato si è rivelata persino superiore ai 250 milioni previsti, attestandosi a 300 milioni. Molto forte l’interesse degli investitori, da cui è arrivata una domanda per un miliardo. L’emissione – che ha visto coinvolte Morgan Stanley, Barclays e Mps Capital Services – tecnicamente è un Tier2, con scadenza a 10 anni, non rimborsabile per i primi 5 anni. Il rendimento è stato fissato all’8,5% annuo, quindi lievemente al di sotto della guidance iniziale, fissata in area 9% e con un ammontare previsto massimo, come detto, di 250 milioni. Il bond avrà rating Caa1 da Moody’s e CCC+ da Fitch. Ora dunque si guarda ai prossimi passi, il prossimo dei quali è rappresentato dall’assemblea, che come anticipato ieri si terrà nei primi giorni di ottobre. L’esito, in questo caso, è scontato, visto che l’azionista di maggioranza, il Mef, ha una quota (68%) che mette al riparo da ogni sorpresa. Il vero snodo però è costituito dall’emissione di Additional Tier 1 chiesta da Bce, che va ad aggiungersi al Tier 2 di ieri. L’ammontare complessivo di tale strumento – che fonti di mercato individuano in circa 700 milioni in termini di emissione – dovrà essere infatti sottoscritto per “almeno” il 30% da investitori privati.
Fonte: Il Sole 24 Ore