La liquidità alle imprese italiane continua a non arrivare e le banche iniziano ad accantonare riserve in vista di un inevitabile deterioramento del credito, che si verificherà nei prossimi mesi. Solo guardando ai maggiori istituti italiani quotati, nel primo trimestre sono già stati accantonati 1,55 miliardi di euro (la parte del leone l’ha fatto Unicredit, con 902 milioni di accantonamento, seguito da Intesa Sanpaolo con 300 milioni, Mps con 193 milioni, mentre Banco Bpm ha accantonato 70 milioni e Ubi Banca e Bper Banca 50 milioni ciascuna). Ma la “mina” esploderà non prima di questa estate, se non si riuscirà a disinnescare per tempo e i segnali non vanno in questo senso.
Oltre un mese dall’annuncio di Giuseppe Conte del 6 aprile scorso che stavano arrivando altri “400 miliardi di liquidità per le imprese, con il Cura Italia ne avevamo liberati 350. Parliamo di 750 miliardi, quasi la metà del nostro Pil. Lo Stato c’è e mette subito la sua potenza di fuoco nel motore dell’economia”, di fatto ben poco è realmente stato sbloccato.
Al Fondo centrale di garanzia per le Pmi sono arrivate ad oggi poco più di 128 mila domande per un importo complessivo pari a 6,8 miliardi. Da Sace tutto o quasi tace con appena 30 milioni di euro richiesti finora, mentre il grosso delle richieste (per un totale di 18,5 miliardi) sarebbero tuttora in fase di istruttoria da parte delle banche.
Ma perché gli istituti bancari sembrano procedere a rilento? Prima di qualsiasi altra considerazione perché si fatica ancora a capire come sarà il futuro. Il problema, hanno avvertito oggi i gestori di Ubs Asset Management, non è “riaprire”, ma “far ripartire” l’economia, ossia i consumi. Consumi che però difficilmente ripartiranno subito e che solo in parte saranno recuperabili, mentre in parte non lo saranno se non dopo aver riconfigurato abitudini d’acquisto e pertanto offerta di beni e servizi, a partire dalle catene di fornitura e poi via via lungo tutte le filiere produttive e distributive.
Al di là delle dichiarazioni di ottimismo “programmatico”, alcuni come Cerved Rating ipotizzano che tra il 10% e il 20% delle imprese italiane non sopravviva alla crisi e se per Alitalia la politica può permettersi di gettare altri 3 miliardi di euro nella fornace avendone già erogati una decina nei decenni precedenti, non altrettanto potrà fare il settore privato con piccole e medie imprese. Da qui la richiesta di immunità penale anche sulle delibere dei finanziamenti con garanzia statale al 90% e al 100%, ossia da quelle fino a 25 mila euro sino a quelle fino a 5 milioni.
Non solo: molti istituti, per non dire tutti, stanno chiedendo alle aziende e agli studi clienti come pre-condizione per l’approvazione della domanda di finanziamento di utilizzare la nuova liquidità per rientrare delle esposizioni pregresse. In soldoni se la vostra banca vi ha concesso, a titolo di esempio, un fido di 10 mila euro, coi 25 mila euro che otterrete ora dovrete anzitutto estinguere il fido, poi potrete utilizzare i rimanenti 15 mila euro di liquidità come meglio riterrete. Cosa che tutela gli istituti ma depotenzia l’effetto netto in termini di liquidità della manovra varata da Conte.
Si noti poi che ci sono dei “tempi tecnici” prima di riuscire a capire se la liquidità ha evitato ad un’impresa di fallire o meno (e dunque se la stima di un 10%-20% di fallimenti complessivi è corretta o no). I crediti deteriorati sono attualmente suddivisi in tre categorie: si parte dalle esposizioni scadute/sconfinanti, per poi passare all inadempienze probabili o Utp (Unlikely to pay) ed arrivare infine alle sofferenze vere e proprie (quando i debitori sono ormai insolventi).
Scaduti/sconfinati sono definite le posizioni per le quali il debitore ha accumulato un ritardo di 90 giorni rispetto alla data prevista per la sua obbligazione (ad esempio il pagamento della rata mensile di un mutuo). Se in aprile un’azienda non avesse pagato una rata, fino a fine luglio avrebbe tempo di rientrare, prima che il suo credito finisca in tale categoria. Questo significa che fino ad agosto nei bilanci delle banche non cresceranno materialmente i crediti deteriorati, che però potrebbero esplodere nella seconda metà dell’anno. Di quanto?
A dicembre scorso nei bilanci delle banche italiane c’erano ancora 173 miliardi di crediti deteriorati netti, di cui solo 7 miliardi come scaduti/sconfinati (e sono quelli per proteggersi dai quali le banche stanno già alzando gli accantonamenti per possibili perdite su credito). Altri 85 miliardi erano classificati Utp, mentre 81 miliardi erano sofferenze. Se davvero un 10%-20% delle aziende italiane non sopravviverà alla crisi, circa 8,5-17 miliardi di euro degli 85 miliardi classificati come Utp finiranno “in automatico” tra le sofferenze, ma il problema vero verrebbe dal mare di nuovi sconfinati/scaduti che si profilerebbe e che ad oggi nessuno è in grado di stimare con sicurezza.
Per questo le banche, ancora scottate dall’eredità della crisi del debito sovrano nel 2011-2013 (che ha richiesto quasi 6 anni per essere poi “smaltita”) hanno già assunto un profilo prudente e almeno nel caso di Unicredit, dove gli accantonamenti sono già saliti al 2% dei crediti totali (il dato emerge dalla differenza tra l’esposizione lorda, 3,4% dei crediti totali, e quella netta, 1,4%), anche più conservativo che sette anni or sono, quando il sistema bancario italiano registrava, prima dell’esplodere della crisi, un 1,5%-1,6% di accantonamento medio.
Se da qui a fine luglio non arriverà abbastanza liquidità attraverso le misure varate dal governo o facendo ricorso ad altri strumenti, anche gli altri istituti, a partire da Intesa Sanpaolo (accantonamenti pari allo 0,9% dei crediti totali) e Ubi Banca (0,7% dei crediti totali) non potranno che seguire l’esempio della banca guidata da Jean-Pierre Mustier mentre tra le nostre aziende le poche “virtuose” eccezioni rischieranno di finire preda di concorrenti e fondi di private equity.
Cosa faranno in borsa gli investitori sui titoli bancari? C’è da sperare che la rete del Pandemic Program della Bce continui a funzionare senza introppi tenendo a bada i timori degli operatori sulla sostenibilità del debito pubblico italiano. Moloch che nelle ultime stime della Commissione europea salirà al 158,9% a fine anno, il doppio di quello di Olanda e Germania, come eredità della pandemia di Coronavirus. Altrimenti con la pesante recessione del 2020 il copione è già scritto: quello del 2012.
Fonte: Affari Italiani
La liquidità alle imprese italiane continua a non arrivare e le banche iniziano ad accantonare riserve in vista di un inevitabile deterioramento del credito, che si verificherà nei prossimi mesi. Solo guardando ai maggiori istituti italiani quotati, nel primo trimestre sono già stati accantonati 1,55 miliardi di euro (la parte del leone l’ha fatto Unicredit, con 902 milioni di accantonamento, seguito da Intesa Sanpaolo con 300 milioni, Mps con 193 milioni, mentre Banco Bpm ha accantonato 70 milioni e Ubi Banca e Bper Banca 50 milioni ciascuna). Ma la “mina” esploderà non prima di questa estate, se non si riuscirà a disinnescare per tempo e i segnali non vanno in questo senso.
Oltre un mese dall’annuncio di Giuseppe Conte del 6 aprile scorso che stavano arrivando altri “400 miliardi di liquidità per le imprese, con il Cura Italia ne avevamo liberati 350. Parliamo di 750 miliardi, quasi la metà del nostro Pil. Lo Stato c’è e mette subito la sua potenza di fuoco nel motore dell’economia”, di fatto ben poco è realmente stato sbloccato.
Al Fondo centrale di garanzia per le Pmi sono arrivate ad oggi poco più di 128 mila domande per un importo complessivo pari a 6,8 miliardi. Da Sace tutto o quasi tace con appena 30 milioni di euro richiesti finora, mentre il grosso delle richieste (per un totale di 18,5 miliardi) sarebbero tuttora in fase di istruttoria da parte delle banche.
Ma perché gli istituti bancari sembrano procedere a rilento? Prima di qualsiasi altra considerazione perché si fatica ancora a capire come sarà il futuro. Il problema, hanno avvertito oggi i gestori di Ubs Asset Management, non è “riaprire”, ma “far ripartire” l’economia, ossia i consumi. Consumi che però difficilmente ripartiranno subito e che solo in parte saranno recuperabili, mentre in parte non lo saranno se non dopo aver riconfigurato abitudini d’acquisto e pertanto offerta di beni e servizi, a partire dalle catene di fornitura e poi via via lungo tutte le filiere produttive e distributive.
Al di là delle dichiarazioni di ottimismo “programmatico”, alcuni come Cerved Rating ipotizzano che tra il 10% e il 20% delle imprese italiane non sopravviva alla crisi e se per Alitalia la politica può permettersi di gettare altri 3 miliardi di euro nella fornace avendone già erogati una decina nei decenni precedenti, non altrettanto potrà fare il settore privato con piccole e medie imprese. Da qui la richiesta di immunità penale anche sulle delibere dei finanziamenti con garanzia statale al 90% e al 100%, ossia da quelle fino a 25 mila euro sino a quelle fino a 5 milioni.
Non solo: molti istituti, per non dire tutti, stanno chiedendo alle aziende e agli studi clienti come pre-condizione per l’approvazione della domanda di finanziamento di utilizzare la nuova liquidità per rientrare delle esposizioni pregresse. In soldoni se la vostra banca vi ha concesso, a titolo di esempio, un fido di 10 mila euro, coi 25 mila euro che otterrete ora dovrete anzitutto estinguere il fido, poi potrete utilizzare i rimanenti 15 mila euro di liquidità come meglio riterrete. Cosa che tutela gli istituti ma depotenzia l’effetto netto in termini di liquidità della manovra varata da Conte.
Si noti poi che ci sono dei “tempi tecnici” prima di riuscire a capire se la liquidità ha evitato ad un’impresa di fallire o meno (e dunque se la stima di un 10%-20% di fallimenti complessivi è corretta o no). I crediti deteriorati sono attualmente suddivisi in tre categorie: si parte dalle esposizioni scadute/sconfinanti, per poi passare all inadempienze probabili o Utp (Unlikely to pay) ed arrivare infine alle sofferenze vere e proprie (quando i debitori sono ormai insolventi).
Scaduti/sconfinati sono definite le posizioni per le quali il debitore ha accumulato un ritardo di 90 giorni rispetto alla data prevista per la sua obbligazione (ad esempio il pagamento della rata mensile di un mutuo). Se in aprile un’azienda non avesse pagato una rata, fino a fine luglio avrebbe tempo di rientrare, prima che il suo credito finisca in tale categoria. Questo significa che fino ad agosto nei bilanci delle banche non cresceranno materialmente i crediti deteriorati, che però potrebbero esplodere nella seconda metà dell’anno. Di quanto?
A dicembre scorso nei bilanci delle banche italiane c’erano ancora 173 miliardi di crediti deteriorati netti, di cui solo 7 miliardi come scaduti/sconfinati (e sono quelli per proteggersi dai quali le banche stanno già alzando gli accantonamenti per possibili perdite su credito). Altri 85 miliardi erano classificati Utp, mentre 81 miliardi erano sofferenze. Se davvero un 10%-20% delle aziende italiane non sopravviverà alla crisi, circa 8,5-17 miliardi di euro degli 85 miliardi classificati come Utp finiranno “in automatico” tra le sofferenze, ma il problema vero verrebbe dal mare di nuovi sconfinati/scaduti che si profilerebbe e che ad oggi nessuno è in grado di stimare con sicurezza.
Per questo le banche, ancora scottate dall’eredità della crisi del debito sovrano nel 2011-2013 (che ha richiesto quasi 6 anni per essere poi “smaltita”) hanno già assunto un profilo prudente e almeno nel caso di Unicredit, dove gli accantonamenti sono già saliti al 2% dei crediti totali (il dato emerge dalla differenza tra l’esposizione lorda, 3,4% dei crediti totali, e quella netta, 1,4%), anche più conservativo che sette anni or sono, quando il sistema bancario italiano registrava, prima dell’esplodere della crisi, un 1,5%-1,6% di accantonamento medio.
Se da qui a fine luglio non arriverà abbastanza liquidità attraverso le misure varate dal governo o facendo ricorso ad altri strumenti, anche gli altri istituti, a partire da Intesa Sanpaolo (accantonamenti pari allo 0,9% dei crediti totali) e Ubi Banca (0,7% dei crediti totali) non potranno che seguire l’esempio della banca guidata da Jean-Pierre Mustier mentre tra le nostre aziende le poche “virtuose” eccezioni rischieranno di finire preda di concorrenti e fondi di private equity.
Cosa faranno in borsa gli investitori sui titoli bancari? C’è da sperare che la rete del Pandemic Program della Bce continui a funzionare senza introppi tenendo a bada i timori degli operatori sulla sostenibilità del debito pubblico italiano. Moloch che nelle ultime stime della Commissione europea salirà al 158,9% a fine anno, il doppio di quello di Olanda e Germania, come eredità della pandemia di Coronavirus. Altrimenti con la pesante recessione del 2020 il copione è già scritto: quello del 2012.
Fonte: Affari Italiani