Le inadempienze probabili (Utp) sono, tra i crediti deteriorati (Npl), l‘asset class più complessa. Pari a 76 miliardi di euro al 31 dicembre scorso in termini lordi, includendo anche la parte ceduta al di fuori del sistema bancario, rappresentano in base alle nostre stime crediti ancora vivi – sebbene spesso oggetto di ristrutturazione – verso più di 170 mila tra imprese e famiglie produttrici, senza considerare l’indotto e il relativo impatto sociale ed economico. Queste cifre si riferiscono alla situazione ante crisi da Covid-19. Come facilmente intuibile il volume complessivo è destinato a crescere a causa della fase recessiva che seguirà.
Tuttavia l’attenzione verso questa asset class a tutt’oggi è stata piuttosto limitata. Nei decreti recentemente emanati non c’è traccia di alcun sostegno specifico verso gli NPL ed anzi ne sono espressamente esclusi, salvo caso specifici. In questo ambito il dibattito si è concentrato sulla necessità del sistema bancario – spesso stimolata dal regolatore europeo – di “ripulire” i bilanci delle banche dalla presenza dei crediti deteriorati che determina evidenti effetti negativi sull’economicità della gestione. Da questo punto di vista, un effetto sostanziale lo ha avuto l’introduzione nel 2016 della garanzia pubblica “Gacs” che ha favorito negli ultimi quattro anni la cessione di circa 70 miliardi di Npl. Relativamente poco invece si è detto e fatto a sostegno del sistema economico ed imprenditoriale che è, nel caso degli UtP, la controparte al sistema bancario.
Regolatori e policy-makers sono urgentemente chiamati a mediare tra i beni primari collettivi minacciati: la stabilità del sistema bancario, che è condizione necessaria perché le banche agiscano come cinghia di trasmissione tra finanza ed economia, ma anche la tenuta del tessuto imprenditoriale. Il problema si pone con particolare urgenza per gli Utp verso debitori di natura corporate o, tipicamente, piccole-medie imprese che, nel momento della crisi attuale, potrebbero – se ne ricorrono le giuste condizioni – intraprendere percorsi virtuosi di recupero. In questa categoria si trovano sia soggetti impegnati – prima della pandemia – in processi di ristrutturazione o con temporanee difficoltà finanziarie sia imprese “sane” che per effetto della crisi daranno luogo a nuovi volumi di UtP.
A riguardo, la nostra tesi è che sia necessaria una gestione proattiva degli Utp, accompagnata auspicabilmente da una serie di misure – legislative e non – che rappresentino un vero e proprio programma di risoluzione “sistematica” degli Utp con i seguenti obiettivi:
1) creare le condizioni industriali e finanziarie per un salvataggio di tutti quei debitori che abbiano le carte in regole per essere rimessi in carreggiata ad esempio consentendo la nascita di veicoli ad hoc con percorsi che, nel rispetto della normativa esistente, siano tuttavia più rapidi;
2) stimolare le banche – e.g. attraverso forme di credit drag along o prevedendo l’irrilevanza delle cessioni ai fini dei modelli di internal rating- a partecipare in maniera coordinata al programma con il duplice vantaggio di ripulire i bilanci tramite derecognition dei crediti e nel contempo beneficiare di eventuali riprese di valore degli attivi ceduti o conferiti;
3) creare un market place fisico e/o virtuale dove possano incontrarsi domanda e offerta e che possa favorire sia l’accesso di portatori di capitale e nuova finanza sia l’utilizzo di operatori industriali specializzati;
4) favorire la creazione di valore industriale facendo leva soprattutto su “sinergie” territoriali e prevedendo delle facilitazioni di natura procedurale e fiscale finalizzate alle aggregazioni aziendali delle società debitrici trasferite o cedute;
5) facilitare l’immissione di nuova finanza necessaria al turnaround aziendale di cui al punto precedente.
Occorre ripensare urgentemente il modello industriale, finanziario ed economico, pensando ad una soluzione organica che porti ad un allineamento di interessi di tutti i vari stakeholder (debitori e banche in primis, famiglie, territorio e erario) agendo sul corpo normativo di riferimento, ma anche prevedendo una copertura “a garanzia” che potrebbe essere una evoluzione della Gacs o anche semplicemente un’estensione delle garanzie pubbliche previste per i crediti performing.
Autore: Pierpaolo Masenza e Angelo Bonissoni
Fonte: Milano Finanza
Le inadempienze probabili (Utp) sono, tra i crediti deteriorati (Npl), l‘asset class più complessa. Pari a 76 miliardi di euro al 31 dicembre scorso in termini lordi, includendo anche la parte ceduta al di fuori del sistema bancario, rappresentano in base alle nostre stime crediti ancora vivi – sebbene spesso oggetto di ristrutturazione – verso più di 170 mila tra imprese e famiglie produttrici, senza considerare l’indotto e il relativo impatto sociale ed economico. Queste cifre si riferiscono alla situazione ante crisi da Covid-19. Come facilmente intuibile il volume complessivo è destinato a crescere a causa della fase recessiva che seguirà.
Tuttavia l’attenzione verso questa asset class a tutt’oggi è stata piuttosto limitata. Nei decreti recentemente emanati non c’è traccia di alcun sostegno specifico verso gli NPL ed anzi ne sono espressamente esclusi, salvo caso specifici. In questo ambito il dibattito si è concentrato sulla necessità del sistema bancario – spesso stimolata dal regolatore europeo – di “ripulire” i bilanci delle banche dalla presenza dei crediti deteriorati che determina evidenti effetti negativi sull’economicità della gestione. Da questo punto di vista, un effetto sostanziale lo ha avuto l’introduzione nel 2016 della garanzia pubblica “Gacs” che ha favorito negli ultimi quattro anni la cessione di circa 70 miliardi di Npl. Relativamente poco invece si è detto e fatto a sostegno del sistema economico ed imprenditoriale che è, nel caso degli UtP, la controparte al sistema bancario.
Regolatori e policy-makers sono urgentemente chiamati a mediare tra i beni primari collettivi minacciati: la stabilità del sistema bancario, che è condizione necessaria perché le banche agiscano come cinghia di trasmissione tra finanza ed economia, ma anche la tenuta del tessuto imprenditoriale. Il problema si pone con particolare urgenza per gli Utp verso debitori di natura corporate o, tipicamente, piccole-medie imprese che, nel momento della crisi attuale, potrebbero – se ne ricorrono le giuste condizioni – intraprendere percorsi virtuosi di recupero. In questa categoria si trovano sia soggetti impegnati – prima della pandemia – in processi di ristrutturazione o con temporanee difficoltà finanziarie sia imprese “sane” che per effetto della crisi daranno luogo a nuovi volumi di UtP.
A riguardo, la nostra tesi è che sia necessaria una gestione proattiva degli Utp, accompagnata auspicabilmente da una serie di misure – legislative e non – che rappresentino un vero e proprio programma di risoluzione “sistematica” degli Utp con i seguenti obiettivi:
1) creare le condizioni industriali e finanziarie per un salvataggio di tutti quei debitori che abbiano le carte in regole per essere rimessi in carreggiata ad esempio consentendo la nascita di veicoli ad hoc con percorsi che, nel rispetto della normativa esistente, siano tuttavia più rapidi;
2) stimolare le banche – e.g. attraverso forme di credit drag along o prevedendo l’irrilevanza delle cessioni ai fini dei modelli di internal rating- a partecipare in maniera coordinata al programma con il duplice vantaggio di ripulire i bilanci tramite derecognition dei crediti e nel contempo beneficiare di eventuali riprese di valore degli attivi ceduti o conferiti;
3) creare un market place fisico e/o virtuale dove possano incontrarsi domanda e offerta e che possa favorire sia l’accesso di portatori di capitale e nuova finanza sia l’utilizzo di operatori industriali specializzati;
4) favorire la creazione di valore industriale facendo leva soprattutto su “sinergie” territoriali e prevedendo delle facilitazioni di natura procedurale e fiscale finalizzate alle aggregazioni aziendali delle società debitrici trasferite o cedute;
5) facilitare l’immissione di nuova finanza necessaria al turnaround aziendale di cui al punto precedente.
Occorre ripensare urgentemente il modello industriale, finanziario ed economico, pensando ad una soluzione organica che porti ad un allineamento di interessi di tutti i vari stakeholder (debitori e banche in primis, famiglie, territorio e erario) agendo sul corpo normativo di riferimento, ma anche prevedendo una copertura “a garanzia” che potrebbe essere una evoluzione della Gacs o anche semplicemente un’estensione delle garanzie pubbliche previste per i crediti performing.
Autore: Pierpaolo Masenza e Angelo Bonissoni
Fonte: Milano Finanza