Il Covid-19 ha messo a dura prova i modelli di business fino ad ora adottati dalle aziende di tutto il mondo e, pur nell’imprevedibilità di questa situazione estrema, ha evidenziato la grande importanza di una adeguata preparazione in termini disaster recovery e business continuity al fine di mitigarne l’impatto. Nel corso del webinar “Piani di gestione della crisi alla prova del Coronavirus”, ANRA, Associazione Nazionale dei Risk Manager ha fatto il punto della situazione assieme a Protiviti, e ha lanciato un sondaggio per analizzare la resilienza delle imprese italiane e la loro preparazione alla gestione della crisi.
Una preparazione non sufficiente, secondo i dati emersi: il 51% delle aziende, infatti, non disponeva di un piano di crisis management prima dell’inizio della pandemia, e tra quelle che lo possedevano, solo il 14% aveva considerato un eventuale scenario pandemico.
Un dato che purtroppo non sorprende gli esperti del rischio: secondo Paolo Rubini, Presidente onorario di ANRA, “Nonostante il rischio sanitario sia mappato da oltre dieci anni, ed inserito tra quelli a più alto impatto, non esiste una reale predisposizione delle aziende allo scenario pandemico, poiché nella scala delle probabilità si posiziona molto in basso rispetto a rischi percepiti come più imminenti e possibili”.
Già nel 2018, questa situazione era riportata nel report dell’Etisphere Institute, che in un’analisi condotta sulle 250 multinazionali più importanti a livello globale evidenziava come i piani di crisis management si concentrassero su rischi maggiormente percepiti, come attacchi cyber (67%) e rischi ambientali (45%), o in gran parte legati alla reputation aziendale (molestie sul luogo di lavoro, (57%) più che alla continuità.
Secondo i dati della survey ANRA – Protiviti, inoltre, il 33% delle aziende che dichiaravano di possedere piani di gestione della crisi non ha mostrato capacità di previsione dei rischi adatte, portando di fatto i piani ad essere inefficaci.
Oltre a trovarsi di fonte a variabili esterne difficilmente prevedibili, quali la globalità e durata del fenomeno, le reazioni da parte della autorità governative, le aziende hanno dovuto far fronte a diverse difficoltà interne, tra cui la mancanza di dispositivi di sicurezza e di personale nei luoghi di lavoro, la scarsa coordinazione nel caso di gruppi multinazionali, e competenze e capacità manageriali non sempre all’altezza.
Secondo Emma Marcandalli, Managing Director di Protiviti: “A pesare maggiormente è stato proprio il mancato aggiornamento dei piani stessi, risalenti a diversi anni fa e focalizzati su scenari prevedibili e noti, con limiti temporali e spaziali di applicazione. Possedere un piano di crisis management, infatti, non è sufficiente a tutelare il business di un’azienda: è fondamentale rivederlo periodicamente ed esercitarlo, in modo che il management e le Unità di Crisi siano pronte a reagire nelle situazioni di emergenza, dove entra in gioco anche la componente psicologica”.
In questo contesto di gestione dell’emergenza, e in preparazione a una fase di graduale ripresa delle attività, la figura del Risk Manager assume dunque un ruolo ancora più essenziale: il 75% delle aziende campione in effetti lo vede coinvolto, oltre che nella mappatura e monitoraggio dei rischi specifici derivanti dalla pandemia, nella definizione ed attuazione dei piani di prevenzione e mitigazione dell’impatto che l’emergenza Covid-19 ha avuto sulle imprese nonché di piani di intervento volti a una futura ripartenza.
“La situazione di emergenza che stiamo vivendo ha permesso al Risk Manager di vedere maggiormente riconosciuto il proprio ruolo, e di incidere sempre più nelle scelte strategiche delle aziende, che in un momento di crisi prolungata si trovano a dover ridefinire i propri modelli di business”, commenta Paolo Rubini. “Continuità operativa e liquidità sono temi centrali, che richiedono piani ad hoc in grado di permettere al top management valutazioni rapide per affrontare in maniera resiliente scenari di business nuovi: in questo la visione del risk manager si rivela essenziale, ed è quindi fondamentale il riconoscimento del suo ruolo a partire da una situazione di ‘normalità”.
Aggiunge Alessandro De Felice, Presidente ANRA: “La dimensione inaspettata della crisi sancisce un punto di svolta storico nella centralità dell’attività di Risk Management come strumento imprescindibile nel processo decisionale e della sua integrazione nella strategia aziendale. La figura del risk manager diventa parte attiva nella creazione del valore, testimoniato dal fatto che quelle aziende che avevano adottato piani di gestione della crisi – anche se non direttamente riferiti alla crisi pandemica, sono anche quelle più resilienti agli impatti e capaci di adattarsi alla situazione”.
Fonte: Anra
Il Covid-19 ha messo a dura prova i modelli di business fino ad ora adottati dalle aziende di tutto il mondo e, pur nell’imprevedibilità di questa situazione estrema, ha evidenziato la grande importanza di una adeguata preparazione in termini disaster recovery e business continuity al fine di mitigarne l’impatto. Nel corso del webinar “Piani di gestione della crisi alla prova del Coronavirus”, ANRA, Associazione Nazionale dei Risk Manager ha fatto il punto della situazione assieme a Protiviti, e ha lanciato un sondaggio per analizzare la resilienza delle imprese italiane e la loro preparazione alla gestione della crisi.
Una preparazione non sufficiente, secondo i dati emersi: il 51% delle aziende, infatti, non disponeva di un piano di crisis management prima dell’inizio della pandemia, e tra quelle che lo possedevano, solo il 14% aveva considerato un eventuale scenario pandemico.
Un dato che purtroppo non sorprende gli esperti del rischio: secondo Paolo Rubini, Presidente onorario di ANRA, “Nonostante il rischio sanitario sia mappato da oltre dieci anni, ed inserito tra quelli a più alto impatto, non esiste una reale predisposizione delle aziende allo scenario pandemico, poiché nella scala delle probabilità si posiziona molto in basso rispetto a rischi percepiti come più imminenti e possibili”.
Già nel 2018, questa situazione era riportata nel report dell’Etisphere Institute, che in un’analisi condotta sulle 250 multinazionali più importanti a livello globale evidenziava come i piani di crisis management si concentrassero su rischi maggiormente percepiti, come attacchi cyber (67%) e rischi ambientali (45%), o in gran parte legati alla reputation aziendale (molestie sul luogo di lavoro, (57%) più che alla continuità.
Secondo i dati della survey ANRA – Protiviti, inoltre, il 33% delle aziende che dichiaravano di possedere piani di gestione della crisi non ha mostrato capacità di previsione dei rischi adatte, portando di fatto i piani ad essere inefficaci.
Oltre a trovarsi di fonte a variabili esterne difficilmente prevedibili, quali la globalità e durata del fenomeno, le reazioni da parte della autorità governative, le aziende hanno dovuto far fronte a diverse difficoltà interne, tra cui la mancanza di dispositivi di sicurezza e di personale nei luoghi di lavoro, la scarsa coordinazione nel caso di gruppi multinazionali, e competenze e capacità manageriali non sempre all’altezza.
Secondo Emma Marcandalli, Managing Director di Protiviti: “A pesare maggiormente è stato proprio il mancato aggiornamento dei piani stessi, risalenti a diversi anni fa e focalizzati su scenari prevedibili e noti, con limiti temporali e spaziali di applicazione. Possedere un piano di crisis management, infatti, non è sufficiente a tutelare il business di un’azienda: è fondamentale rivederlo periodicamente ed esercitarlo, in modo che il management e le Unità di Crisi siano pronte a reagire nelle situazioni di emergenza, dove entra in gioco anche la componente psicologica”.
In questo contesto di gestione dell’emergenza, e in preparazione a una fase di graduale ripresa delle attività, la figura del Risk Manager assume dunque un ruolo ancora più essenziale: il 75% delle aziende campione in effetti lo vede coinvolto, oltre che nella mappatura e monitoraggio dei rischi specifici derivanti dalla pandemia, nella definizione ed attuazione dei piani di prevenzione e mitigazione dell’impatto che l’emergenza Covid-19 ha avuto sulle imprese nonché di piani di intervento volti a una futura ripartenza.
“La situazione di emergenza che stiamo vivendo ha permesso al Risk Manager di vedere maggiormente riconosciuto il proprio ruolo, e di incidere sempre più nelle scelte strategiche delle aziende, che in un momento di crisi prolungata si trovano a dover ridefinire i propri modelli di business”, commenta Paolo Rubini. “Continuità operativa e liquidità sono temi centrali, che richiedono piani ad hoc in grado di permettere al top management valutazioni rapide per affrontare in maniera resiliente scenari di business nuovi: in questo la visione del risk manager si rivela essenziale, ed è quindi fondamentale il riconoscimento del suo ruolo a partire da una situazione di ‘normalità”.
Aggiunge Alessandro De Felice, Presidente ANRA: “La dimensione inaspettata della crisi sancisce un punto di svolta storico nella centralità dell’attività di Risk Management come strumento imprescindibile nel processo decisionale e della sua integrazione nella strategia aziendale. La figura del risk manager diventa parte attiva nella creazione del valore, testimoniato dal fatto che quelle aziende che avevano adottato piani di gestione della crisi – anche se non direttamente riferiti alla crisi pandemica, sono anche quelle più resilienti agli impatti e capaci di adattarsi alla situazione”.
Fonte: Anra