Fare debiti garantiti dallo Stato richiede un’attenta valutazione per evitare la bancarotta preferenziale. In caso di successivo fallimento le imprese beneficiarie rischiano di ledere la par condicio creditorum e trovarsi automaticamente chiamate a rispondere del reato ex art. 216 legge fallimentare (l.f.), per avere acceso finanziamenti privilegiati che hanno come obiettivo l’utilità di soddisfare debiti correnti aventi normalmente natura chirografaria. I finanziamenti erogati dalle banche, infatti, godranno della automatica copertura della garanzia del Fondo di garanzia per le Pmi e in caso di inadempimento del debitore finanziato, la garanzia sarà escussa dall’istituto di credito, surrogando lo Stato nella posizione. La Corte di cassazione ha chiarito recentemente (sent. 2664 del 29 gennaio 2019) che nell’alveo del privilegio previsto dall’articolo 9, comma 5, dlgs. 123/98, per i finanziamenti di cui al medesimo articolo rientrano altresì tutti gli altri interventi di cui al precedente articolo 7, comma 1 e, dunque, anche le concessioni di garanzia. Il d.l. 23/2020 nulla dispone in merito alla natura della garanzia rilasciata, tuttavia, la lettura delle norme porta a ritenere l’applicabilità tout court delle ordinarie disposizioni poc’anzi richiamate, con estensione del privilegio dello Stato da collocarsi immediatamente dopo i dipendenti.
Il dl 23/2020 appena pubblicato in G.U. (n. 94 del 8 marzo) ha introdotto varie misure a favore delle imprese per evitare la crisi e mantenere la continuità aziendale, tuttavia, nessuna disposizione ha derogato alla normativa penale fallimentare. La relazione di accompagnamento, per la verità, fa un breve accenno indicando che l’inibizione delle dichiarazioni di fallimento (sino al 30 giugno 2020) permettono di evitare l’automatica responsabilità degli imprenditori che non devono così ricorrere in proprio all’istituto fallimentare, con attenuazione delle relative responsabilità, ciononostante il limitato periodo di congelamento delle dichiarazioni di insolvenza risulta insufficiente e sicuramente più breve del tempo che occorrerà realmente alle imprese per godere del c.d. bazooka. Il decreto liquidità non prevede alcuna esenzione dai reati fallimentari che, come noto, si consumano quando l’impresa è in bonis, ma vengono puniti solo con la dichiarazione di fallimento o l’accesso al concordato preventivo da parte dell’impresa.
L’art. 216 l.f. stabilisce che è punito con la reclusione da tre a dieci anni, se è dichiarato fallito, l’imprenditore, che ha dissipato in tutto o in parte i suoi beni. La fattispecie rientra nel c.d. reato di bancarotta preferenziale, ovvero quel comportamento che scaturisce dal mancato rispetto della parità di trattamento dei creditori prevista dall’art. 2741 c.c. Il reato, per altro, è procedibile d’ufficio. Fortunatamente, sempre la suprema corte, (sent. 15 aprile 2019, n. 1635) ha stabilito che quando il pagamento di alcuni creditori è volto, in via esclusiva o prevalente, alla salvaguardia della attività sociale o imprenditoriale ed il risultato di evitare il fallimento può ritenersi più che ragionevolmente perseguibile, non può ritenersi sussistente il reato di bancarotta preferenziale. L’esenzione dalla responsabilità, tuttavia, corte di cnon si verifica quando il soggetto agente è consapevole dell’irreversibilità del dissesto nonché della natura chirografaria dei crediti soddisfatti in violazione della par condicio creditorum.
Le aziende devono prestare attenzione. Moltissimi imprenditori che valuteranno con favore la propria posizione anche grazie alle norme introdotte dal d.l. 23/2020, che congelano gli effetti del Coronavirus e permettono ad esempio il mancato automatico scioglimento delle società e il rinvio delle perdite, porterà gli stessi a sperare che le nuove linee di credito siano la cura sufficiente per superare la crisi. La situazione potrebbe, invece, risultare dopo e in concreto assai differente, qualora l’impresa anziché guarire manifesti sintomi di aggravamento.
Diversa è la situazione di quelle imprese che sin d’ora si trovano di difficoltà e in base alle complesse previsioni del mercato, complicato dall’epidemia e dal lockdown, siano già nella possibilità di ponderare una non ripresa del proprio settore e business. Ricorrere a finanziamenti privilegiati per fare fronte a debiti chirografari determinerà un duplice rischio: da una parte la possibilità di aggravare il dissesto e commettere pagamenti preferenziali in violazione della par condicio creditorum, dall’altra creare condizioni che non permetteranno di attivare ed utilizzare strumenti di composizione della crisi quali il concordato preventivo o gli accordi di ristrutturazione dei debiti.
Ricorrere alla nuova finanza richiede un’attenta e preventiva valutazione delle condizioni di equilibrio e ritorno alla normalità dell’impresa, con effettiva capacità di rimborso dei debiti.
Autore: Marcello Pollio
Fonte: Italia Oggi
Fare debiti garantiti dallo Stato richiede un’attenta valutazione per evitare la bancarotta preferenziale. In caso di successivo fallimento le imprese beneficiarie rischiano di ledere la par condicio creditorum e trovarsi automaticamente chiamate a rispondere del reato ex art. 216 legge fallimentare (l.f.), per avere acceso finanziamenti privilegiati che hanno come obiettivo l’utilità di soddisfare debiti correnti aventi normalmente natura chirografaria. I finanziamenti erogati dalle banche, infatti, godranno della automatica copertura della garanzia del Fondo di garanzia per le Pmi e in caso di inadempimento del debitore finanziato, la garanzia sarà escussa dall’istituto di credito, surrogando lo Stato nella posizione. La Corte di cassazione ha chiarito recentemente (sent. 2664 del 29 gennaio 2019) che nell’alveo del privilegio previsto dall’articolo 9, comma 5, dlgs. 123/98, per i finanziamenti di cui al medesimo articolo rientrano altresì tutti gli altri interventi di cui al precedente articolo 7, comma 1 e, dunque, anche le concessioni di garanzia. Il d.l. 23/2020 nulla dispone in merito alla natura della garanzia rilasciata, tuttavia, la lettura delle norme porta a ritenere l’applicabilità tout court delle ordinarie disposizioni poc’anzi richiamate, con estensione del privilegio dello Stato da collocarsi immediatamente dopo i dipendenti.
Il dl 23/2020 appena pubblicato in G.U. (n. 94 del 8 marzo) ha introdotto varie misure a favore delle imprese per evitare la crisi e mantenere la continuità aziendale, tuttavia, nessuna disposizione ha derogato alla normativa penale fallimentare. La relazione di accompagnamento, per la verità, fa un breve accenno indicando che l’inibizione delle dichiarazioni di fallimento (sino al 30 giugno 2020) permettono di evitare l’automatica responsabilità degli imprenditori che non devono così ricorrere in proprio all’istituto fallimentare, con attenuazione delle relative responsabilità, ciononostante il limitato periodo di congelamento delle dichiarazioni di insolvenza risulta insufficiente e sicuramente più breve del tempo che occorrerà realmente alle imprese per godere del c.d. bazooka. Il decreto liquidità non prevede alcuna esenzione dai reati fallimentari che, come noto, si consumano quando l’impresa è in bonis, ma vengono puniti solo con la dichiarazione di fallimento o l’accesso al concordato preventivo da parte dell’impresa.
L’art. 216 l.f. stabilisce che è punito con la reclusione da tre a dieci anni, se è dichiarato fallito, l’imprenditore, che ha dissipato in tutto o in parte i suoi beni. La fattispecie rientra nel c.d. reato di bancarotta preferenziale, ovvero quel comportamento che scaturisce dal mancato rispetto della parità di trattamento dei creditori prevista dall’art. 2741 c.c. Il reato, per altro, è procedibile d’ufficio. Fortunatamente, sempre la suprema corte, (sent. 15 aprile 2019, n. 1635) ha stabilito che quando il pagamento di alcuni creditori è volto, in via esclusiva o prevalente, alla salvaguardia della attività sociale o imprenditoriale ed il risultato di evitare il fallimento può ritenersi più che ragionevolmente perseguibile, non può ritenersi sussistente il reato di bancarotta preferenziale. L’esenzione dalla responsabilità, tuttavia, corte di cnon si verifica quando il soggetto agente è consapevole dell’irreversibilità del dissesto nonché della natura chirografaria dei crediti soddisfatti in violazione della par condicio creditorum.
Le aziende devono prestare attenzione. Moltissimi imprenditori che valuteranno con favore la propria posizione anche grazie alle norme introdotte dal d.l. 23/2020, che congelano gli effetti del Coronavirus e permettono ad esempio il mancato automatico scioglimento delle società e il rinvio delle perdite, porterà gli stessi a sperare che le nuove linee di credito siano la cura sufficiente per superare la crisi. La situazione potrebbe, invece, risultare dopo e in concreto assai differente, qualora l’impresa anziché guarire manifesti sintomi di aggravamento.
Diversa è la situazione di quelle imprese che sin d’ora si trovano di difficoltà e in base alle complesse previsioni del mercato, complicato dall’epidemia e dal lockdown, siano già nella possibilità di ponderare una non ripresa del proprio settore e business. Ricorrere a finanziamenti privilegiati per fare fronte a debiti chirografari determinerà un duplice rischio: da una parte la possibilità di aggravare il dissesto e commettere pagamenti preferenziali in violazione della par condicio creditorum, dall’altra creare condizioni che non permetteranno di attivare ed utilizzare strumenti di composizione della crisi quali il concordato preventivo o gli accordi di ristrutturazione dei debiti.
Ricorrere alla nuova finanza richiede un’attenta e preventiva valutazione delle condizioni di equilibrio e ritorno alla normalità dell’impresa, con effettiva capacità di rimborso dei debiti.
Autore: Marcello Pollio
Fonte: Italia Oggi