C’è chi tenta di anticipare i tempi, come UniCredit. C’è chi, con operazioni piccole, cerca di rispettarli. C’è chi è costretto a tenere le operazioni nel limbo, come Findomestic e Compass. C’è chi non sa bene cosa fare e aspetta di vedere qualche schiarita. Come quasi tutti. L’emergenza coronavirus, tra i mille effetti negativi sull’economia, potrebbe anche avere quello di congelare (o semi-congelare) la pulizia dei bilanci delle banche dai crediti deteriorati. In un contesto incerto, tranne alcune eccezioni, si stanno infatti in gran parte bloccando o posticipando le vendite di sofferenze (Npl) e di prestiti semi-deteriorati (Utp).
Quelle cessioni che dal 2015 avevano permesso alle banche di sbarazzarsi di 192 miliardi di crediti deteriorati, ora rischiano di fermarsi all’ultimo miglio e in vista di una nuova possibile ondata di sofferenze. Nessuno sa per quanto tempo il mercato potrà restare semi-fermo. Nessuno sa come sarà questo mercato, e questo settore, dopo il coronavirus. E come potrebbe cambiare l’attività di recupero crediti, messa ancora più di prima – in una tale emergenza umana ed economica – di fronte a un dilemma: massimizzare i profitti o minimizzare i costi sociali? O, in qualche modo, entrambi?
Una banca sta provando a portare avanti, nonostante tutto, le cessioni di crediti in sofferenza che aveva programmato prima del coronavirus: UniCredit. L’istituto, che su queste operazioni cerca sempre di essere apripista, ha in vendita quattro diversi pacchetti, per qualcosa come 3 miliardi di euro complessivi. Stando alle indiscrezioni raccolte sul mercato, i pacchetti sarebbero tutt’ora in vendita. Anzi, la banca starebbe anche cercando di accelerare i tempi, forse per pulire al massimo il bilancio prima che il mercato si blocchi del tutto. Il condizionale è d’obbligo, dato che – al di là del «no comment» che arriva da UniCredit – la situazione è così incerta che nulla può essere dato per scontato. E la stessa UniCredit sta tutt’ora valutando il da farsi. Sta di fatto che sono in programma da qui all’estate, o al massimo a settembre, le operazioni Tokyo (circa un miliardo di Npl non garantiti a Pmi), Lisbona (un miliardo di portafoglio misto), New York (circa 700 milioni di Npl ipotecari) e Loira (circa 250 milioni di crediti al consumo).
Il problema è che il resto del settore bancario pare in gran parte bloccato. O quantomeno alla finestra, in attesa di tempi migliori e di visibilità. Per esempio le operazioni nel settore del credito al consumo: sul mercato si citano gli esempi di Compass e Findomestic. Parlando con gli operatori del settore emerge un sostanziale congelamento di quasi tutte le operazioni che erano prevedibili in questo periodo. Questo potrebbe diventare un problema, perché il mercato degli Npl aiuta le banche a pulire i bilanci e dunque – indirettamente – a erogare nuovo credito a famiglie e imprese. Se la pulizia si blocca, e se nuove sofferenze arriveranno nei bilanci, allora il problema è di tutti. Col senno del poi, potremmo dire che aveva ragione la Vigilanza della Bce a spingere negli anni passati le pulizie dei bilanci: le banche italiane come avrebbero altrimenti affrontato oggi l’emergenza coronavirus se fossero state ancora piene zeppe di sofferenze come nel 2015?
Il motivo principale per cui il mercato si sta bloccando è legato alla difficoltà di dare un prezzo agli Npl in vendita. Prendiamo, per capire, un credito garantito da un’ipoteca su un immobile: se nessuno sa come andrà il mercato immobiliare, e dunque quanto varrà la garanzia, come si fa a stimare il recupero e dunque valore di quel credito? E come si fa a capire quanto vale un credito in sofferenza nei confronti di persone fisiche, se non si può minimamente prevedere quanti saranno i disoccupati dopo il coronavirus? O i fallimenti? E poi: che impatto avranno le moratorie stabilite dal Governo? Le incognite, insomma, sono tante. Troppe, ad oggi.
«I fondi hanno sospeso gli investimenti – osserva Massimiliano Bertolino, a.d. di Frontis Npl -. Il motivo è che oggi è impossibile valutare un pacchetto di crediti in sofferenza, dato che i recuperi futuri sono incerti». Giovanni Bossi, Ceo di Cherry 106 e co-head di Clessidra restructuring fund, ipotizza che i prezzi degli Npl possano scendere tra il 20% e il 40%, a seconda del tipo di crediti. «Questo perché ci saranno incassi più bassi e ritardati, ma anche per la forte avversione all’illiquidità da parte degli investitori che potrebbe affossare ulteriormente i prezzi».
Meno pessimista Michele Zorzi, direttore commerciale e sviluppo di Guber Banca: «Il coronavirus porterà al mercato degli Npl delle conseguenze negative, ma forse anche alcune positive – osserva -. Bisogna vedere quale sarà il saldo finale per capire dove andranno i prezzi». Un effetto positivo potrebbe essere lo sblocco e lo smobilizzo veloce dei riparti nei fallimenti: «Si stima che ci siano 10 miliardi giacenti nelle procedure fallimentari – osserva Zorzi -. Se venissero sbloccati in fretta, come prevede il decreto Cura Italia, gli incassi sugli Npl salirebbero».
Che il mercato verrà riprezzato, però, lo pensano tutti. Non tutti concordano sul quanto, ma sul riprezzamento sì. E questo non peserà solo sulle banche (che dovranno sopportare maggiori potenziali perdite), ma anche su chi ha comprato Npl negli anni e mesi passati (a prezzi ormai fuori mercato), sullo Stato (che tramite le cosiddette Gacs ha messo la garanzia pubblica sulle cessioni) e sui servicer (le società di recupero crediti).
Anche perché – in tanti ne sono convinti – in futuro dovrà cambiare l’attività di recupero crediti. Non se ne potrà fare a meno, dopo un tale shock sociale ed economico. «Questo lavoro cambierà – osserva Bertolino -, la parte umana dovrà diventare preponderante rispetto a quella legale». Anche Bossi è di questo parere: «Bisognerà dare un maggior supporto ai debitori, se necessario anche finanziario».
Fonte: Il Sole 24 Ore
C’è chi tenta di anticipare i tempi, come UniCredit. C’è chi, con operazioni piccole, cerca di rispettarli. C’è chi è costretto a tenere le operazioni nel limbo, come Findomestic e Compass. C’è chi non sa bene cosa fare e aspetta di vedere qualche schiarita. Come quasi tutti. L’emergenza coronavirus, tra i mille effetti negativi sull’economia, potrebbe anche avere quello di congelare (o semi-congelare) la pulizia dei bilanci delle banche dai crediti deteriorati. In un contesto incerto, tranne alcune eccezioni, si stanno infatti in gran parte bloccando o posticipando le vendite di sofferenze (Npl) e di prestiti semi-deteriorati (Utp).
Quelle cessioni che dal 2015 avevano permesso alle banche di sbarazzarsi di 192 miliardi di crediti deteriorati, ora rischiano di fermarsi all’ultimo miglio e in vista di una nuova possibile ondata di sofferenze. Nessuno sa per quanto tempo il mercato potrà restare semi-fermo. Nessuno sa come sarà questo mercato, e questo settore, dopo il coronavirus. E come potrebbe cambiare l’attività di recupero crediti, messa ancora più di prima – in una tale emergenza umana ed economica – di fronte a un dilemma: massimizzare i profitti o minimizzare i costi sociali? O, in qualche modo, entrambi?
Una banca sta provando a portare avanti, nonostante tutto, le cessioni di crediti in sofferenza che aveva programmato prima del coronavirus: UniCredit. L’istituto, che su queste operazioni cerca sempre di essere apripista, ha in vendita quattro diversi pacchetti, per qualcosa come 3 miliardi di euro complessivi. Stando alle indiscrezioni raccolte sul mercato, i pacchetti sarebbero tutt’ora in vendita. Anzi, la banca starebbe anche cercando di accelerare i tempi, forse per pulire al massimo il bilancio prima che il mercato si blocchi del tutto. Il condizionale è d’obbligo, dato che – al di là del «no comment» che arriva da UniCredit – la situazione è così incerta che nulla può essere dato per scontato. E la stessa UniCredit sta tutt’ora valutando il da farsi. Sta di fatto che sono in programma da qui all’estate, o al massimo a settembre, le operazioni Tokyo (circa un miliardo di Npl non garantiti a Pmi), Lisbona (un miliardo di portafoglio misto), New York (circa 700 milioni di Npl ipotecari) e Loira (circa 250 milioni di crediti al consumo).
Il problema è che il resto del settore bancario pare in gran parte bloccato. O quantomeno alla finestra, in attesa di tempi migliori e di visibilità. Per esempio le operazioni nel settore del credito al consumo: sul mercato si citano gli esempi di Compass e Findomestic. Parlando con gli operatori del settore emerge un sostanziale congelamento di quasi tutte le operazioni che erano prevedibili in questo periodo. Questo potrebbe diventare un problema, perché il mercato degli Npl aiuta le banche a pulire i bilanci e dunque – indirettamente – a erogare nuovo credito a famiglie e imprese. Se la pulizia si blocca, e se nuove sofferenze arriveranno nei bilanci, allora il problema è di tutti. Col senno del poi, potremmo dire che aveva ragione la Vigilanza della Bce a spingere negli anni passati le pulizie dei bilanci: le banche italiane come avrebbero altrimenti affrontato oggi l’emergenza coronavirus se fossero state ancora piene zeppe di sofferenze come nel 2015?
Il motivo principale per cui il mercato si sta bloccando è legato alla difficoltà di dare un prezzo agli Npl in vendita. Prendiamo, per capire, un credito garantito da un’ipoteca su un immobile: se nessuno sa come andrà il mercato immobiliare, e dunque quanto varrà la garanzia, come si fa a stimare il recupero e dunque valore di quel credito? E come si fa a capire quanto vale un credito in sofferenza nei confronti di persone fisiche, se non si può minimamente prevedere quanti saranno i disoccupati dopo il coronavirus? O i fallimenti? E poi: che impatto avranno le moratorie stabilite dal Governo? Le incognite, insomma, sono tante. Troppe, ad oggi.
«I fondi hanno sospeso gli investimenti – osserva Massimiliano Bertolino, a.d. di Frontis Npl -. Il motivo è che oggi è impossibile valutare un pacchetto di crediti in sofferenza, dato che i recuperi futuri sono incerti». Giovanni Bossi, Ceo di Cherry 106 e co-head di Clessidra restructuring fund, ipotizza che i prezzi degli Npl possano scendere tra il 20% e il 40%, a seconda del tipo di crediti. «Questo perché ci saranno incassi più bassi e ritardati, ma anche per la forte avversione all’illiquidità da parte degli investitori che potrebbe affossare ulteriormente i prezzi».
Meno pessimista Michele Zorzi, direttore commerciale e sviluppo di Guber Banca: «Il coronavirus porterà al mercato degli Npl delle conseguenze negative, ma forse anche alcune positive – osserva -. Bisogna vedere quale sarà il saldo finale per capire dove andranno i prezzi». Un effetto positivo potrebbe essere lo sblocco e lo smobilizzo veloce dei riparti nei fallimenti: «Si stima che ci siano 10 miliardi giacenti nelle procedure fallimentari – osserva Zorzi -. Se venissero sbloccati in fretta, come prevede il decreto Cura Italia, gli incassi sugli Npl salirebbero».
Che il mercato verrà riprezzato, però, lo pensano tutti. Non tutti concordano sul quanto, ma sul riprezzamento sì. E questo non peserà solo sulle banche (che dovranno sopportare maggiori potenziali perdite), ma anche su chi ha comprato Npl negli anni e mesi passati (a prezzi ormai fuori mercato), sullo Stato (che tramite le cosiddette Gacs ha messo la garanzia pubblica sulle cessioni) e sui servicer (le società di recupero crediti).
Anche perché – in tanti ne sono convinti – in futuro dovrà cambiare l’attività di recupero crediti. Non se ne potrà fare a meno, dopo un tale shock sociale ed economico. «Questo lavoro cambierà – osserva Bertolino -, la parte umana dovrà diventare preponderante rispetto a quella legale». Anche Bossi è di questo parere: «Bisognerà dare un maggior supporto ai debitori, se necessario anche finanziario».
Fonte: Il Sole 24 Ore