L’esigenza di far affluire soldi nei canali disseccati dell’economia italiana alle prese con il Coronavirus può mettere nel cassetto l’esame di fedeltà fiscale che gli enti pubblici devono effettuare sui propri fornitori prima di pagare le fatture sopra i 5mila euro. La sospensione della verifica potrebbe entrare nel variegato pacchetto fiscale che il governo sta costruendo per lo spin off del decreto Aprile, atteso in un consiglio dei ministri ormai quasi inevitabilmente slittato a lunedì.
La mossa rappresenta uno degli snodi centrali del decreto, perché si muove a cavallo fra i due principali temi guida delle nuove misure, fisco e sanità. E completa il pacchetto di interventi per alleggerire gli obblighi fiscali di chi è in debito con l’Erario. Tra le sospensioni in arrivo, infatti, si lavora a quella per evitare i pignoramenti presso terzi così da evitare almeno per i prossimi due mesi che la ex Equitalia possa mettere le mani su conti correnti o su quinti degli stipendi. C’è poi anche quella che sblocca i rimborsi anche per chi ha cartelle esattoriali di importo superiore a mille euro. Anche in questo caso per i prossimi due mesi si potrà compensare la somma a credito anche senza aver saldato il conto con l’agente della riscossione. Sui fornitori della Pa, invece, l’idea è di bloccare nell’emergenza quello che nel gergo delle amministrazioni pubbliche è il “48-bis”, cioè il meccanismo della verifica fiscale disegnato appunto dall’articolo 48-bis introdotto nel testo unico delle imposte sui redditi dal decreto Visco Bersani del 2006. Il meccanismo scritto nella norma antievasione impone agli uffici finanziari delle pubbliche amministrazioni di pagare solo i fornitori fedeli agli appuntamenti fiscali, bloccando la liquidazione delle fratture quando l’impresa ha in carico cartelle di pagamento non onorate. Verifica e blocco scattano quando la fattura e le cartelle valgono almeno 5mila euro (fino al 2017 il limite era il doppio, 10mila euro).
Questo filtro fiscale è tornato nei monitor dei tecnici del Mef alla ricerca di strumenti per sostenere la liquidità delle imprese per due ragioni. Prima di tutto perché tra le risorse bloccate di cui oggi le aziende hanno bisogno come il pane ci sono i pagamenti arretrati delle Pubbliche amministrazioni, una montagna di fatture che negli ultimi anni si è parecchio abbassata ma vale ancora 37 miliardi secondo le ultime stime del ministero dell’Economia (di questi, poco meno di 30 miliardi sarebbero scritti in fatture già scadute). Metà della montagna riguarda pagamenti ai fornitori del sistema sanitario, cioè proprio le aziende a cui spesso oggi vengono chiesti miracoli per consegnare a ospedali e Asl gli strumenti indispensabili per combattere la pandemia. Ma a irrobustire l’ipotesi della sospensione per l’esame fiscale c’è anche la crescente fatica organizzativa delle amministrazioni provate dallo Smart working, e nel caso degli enti locali schiacciate dalla gestione dei bisogni sociali prodotti dal blocco economico.
Il problema è che la catena dei pagamenti si è interrotta in molti punti anche nei rapporti fra privati, e questi inciampi complicano la fedeltà fiscale delle imprese che con meno entrate hanno problemi a versare puntualmente le tasse, con un effetto domino che si chiude appunto con la verifica ex articolo 48-bis. Oltre che con le verifiche fiscali sugli appalti appena confermate ad ampio raggio dall’agenzia delle Entrate. Ma una sua sospensione non basterebbe da sola a liberare i pagamenti pubblici, perché a loro volta le Pa soprattutto locali stanno vedendo esaurirsi molte loro fonti di entrata. Per questa ragione al Mef studiano anche una replica del decreto sblocca-debiti, con prestiti statali gestiti da Cdp per liberare gli arretrati. Una mossa ambiziosa, che per essere tradotta in pratica ha però bisogno di altre emissioni aggiuntive di titoli di Stato perché non ci sono soldi in cassa. Un bel problema, come sanno al Mef.
A cavallo tra fisco e sanità, infine, c’è anche l’idea di prevedere l’Iva agevolata del 5% per mascherine e i cosiddetti presidi Dpi. Con un’avvertenza però: prevedere una norma che non consenta una manipolazione dei prezzi sul materiale sanitario, altrimenti il vantaggio per gli speculatori sarebbe doppio grazie anche all’Iva agevolata.
Autori: Marco Mobili e Gianni Trovati
Fonte: Il Sole 24 Ore
L’esigenza di far affluire soldi nei canali disseccati dell’economia italiana alle prese con il Coronavirus può mettere nel cassetto l’esame di fedeltà fiscale che gli enti pubblici devono effettuare sui propri fornitori prima di pagare le fatture sopra i 5mila euro. La sospensione della verifica potrebbe entrare nel variegato pacchetto fiscale che il governo sta costruendo per lo spin off del decreto Aprile, atteso in un consiglio dei ministri ormai quasi inevitabilmente slittato a lunedì.
La mossa rappresenta uno degli snodi centrali del decreto, perché si muove a cavallo fra i due principali temi guida delle nuove misure, fisco e sanità. E completa il pacchetto di interventi per alleggerire gli obblighi fiscali di chi è in debito con l’Erario. Tra le sospensioni in arrivo, infatti, si lavora a quella per evitare i pignoramenti presso terzi così da evitare almeno per i prossimi due mesi che la ex Equitalia possa mettere le mani su conti correnti o su quinti degli stipendi. C’è poi anche quella che sblocca i rimborsi anche per chi ha cartelle esattoriali di importo superiore a mille euro. Anche in questo caso per i prossimi due mesi si potrà compensare la somma a credito anche senza aver saldato il conto con l’agente della riscossione. Sui fornitori della Pa, invece, l’idea è di bloccare nell’emergenza quello che nel gergo delle amministrazioni pubbliche è il “48-bis”, cioè il meccanismo della verifica fiscale disegnato appunto dall’articolo 48-bis introdotto nel testo unico delle imposte sui redditi dal decreto Visco Bersani del 2006. Il meccanismo scritto nella norma antievasione impone agli uffici finanziari delle pubbliche amministrazioni di pagare solo i fornitori fedeli agli appuntamenti fiscali, bloccando la liquidazione delle fratture quando l’impresa ha in carico cartelle di pagamento non onorate. Verifica e blocco scattano quando la fattura e le cartelle valgono almeno 5mila euro (fino al 2017 il limite era il doppio, 10mila euro).
Questo filtro fiscale è tornato nei monitor dei tecnici del Mef alla ricerca di strumenti per sostenere la liquidità delle imprese per due ragioni. Prima di tutto perché tra le risorse bloccate di cui oggi le aziende hanno bisogno come il pane ci sono i pagamenti arretrati delle Pubbliche amministrazioni, una montagna di fatture che negli ultimi anni si è parecchio abbassata ma vale ancora 37 miliardi secondo le ultime stime del ministero dell’Economia (di questi, poco meno di 30 miliardi sarebbero scritti in fatture già scadute). Metà della montagna riguarda pagamenti ai fornitori del sistema sanitario, cioè proprio le aziende a cui spesso oggi vengono chiesti miracoli per consegnare a ospedali e Asl gli strumenti indispensabili per combattere la pandemia. Ma a irrobustire l’ipotesi della sospensione per l’esame fiscale c’è anche la crescente fatica organizzativa delle amministrazioni provate dallo Smart working, e nel caso degli enti locali schiacciate dalla gestione dei bisogni sociali prodotti dal blocco economico.
Il problema è che la catena dei pagamenti si è interrotta in molti punti anche nei rapporti fra privati, e questi inciampi complicano la fedeltà fiscale delle imprese che con meno entrate hanno problemi a versare puntualmente le tasse, con un effetto domino che si chiude appunto con la verifica ex articolo 48-bis. Oltre che con le verifiche fiscali sugli appalti appena confermate ad ampio raggio dall’agenzia delle Entrate. Ma una sua sospensione non basterebbe da sola a liberare i pagamenti pubblici, perché a loro volta le Pa soprattutto locali stanno vedendo esaurirsi molte loro fonti di entrata. Per questa ragione al Mef studiano anche una replica del decreto sblocca-debiti, con prestiti statali gestiti da Cdp per liberare gli arretrati. Una mossa ambiziosa, che per essere tradotta in pratica ha però bisogno di altre emissioni aggiuntive di titoli di Stato perché non ci sono soldi in cassa. Un bel problema, come sanno al Mef.
A cavallo tra fisco e sanità, infine, c’è anche l’idea di prevedere l’Iva agevolata del 5% per mascherine e i cosiddetti presidi Dpi. Con un’avvertenza però: prevedere una norma che non consenta una manipolazione dei prezzi sul materiale sanitario, altrimenti il vantaggio per gli speculatori sarebbe doppio grazie anche all’Iva agevolata.
Autori: Marco Mobili e Gianni Trovati
Fonte: Il Sole 24 Ore