«Le banche stanno lavorando in una situazione emergenziale, da remoto, per telefono, o nelle filiali aperte solo per appuntamento. Bisogna rendersi conto che stanno facendo uno sforzo incredibile», rivendica Antonio Patuelli, presidente dell’Abi: «Le moratorie siglate da noi con imprese e sindacati, l’applicazione del decreto del 17 marzo che prevede una moratoria per esempio per i titolari di mutuo prima casa, i fondi di garanzia, ora l’anticipazione della Cigs: è uno sforzo sovrumano. Per far partire questo treno servono regole attuative, programmi informatici nuovi… C’è sempre affollamento, quando un treno è in partenza. Ma bisogna essere tutti costruttivi». Sapendo che senza la mediazione delle banche il sistema economico non si rimette in piedi.
Presidente, che ne pensa della misura annunciata dal ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, di garantire i prestiti alle imprese fino al 25% del fatturato 2019?
«Va nella direzione che noi auspichiamo, che si amplino gli spazi delle garanzie fornite dallo Stato alle imprese. Aspettiamo il testo completo; rimane il fatto che l’Italia, che aveva dato un buon segnale del 17 marzo, è stata poi scavalcata da altri paesi Ue che sulle garanzie alle imprese hanno investito cifre assai più cospicue e metodologie più pregnanti. Dato che l’Italia ha interesse etico e strategico a sostenere le imprese per la ripartenza, è opportuno questo lavoro del ministro».
Che cosa vi aspettate?
«Noi chiediamo al governo che le garanzie si avvicinino il più possibile al 100%, e piene, cioè a prima richiesta Poi le risorse: 1,5 miliardi è stato un segnale iniziale».
Sempre dall’Europa però bisogna passare. Vede progressi?
«Debbo dire che dopo un ritardo di percezione di iniziativa, con le autocritiche che hanno fatto la presidente Ursula von der Leyen e la presidente Bce, Christine Lagarde, è in atto un ravvedimento operoso da parte della Ue, come il programma da 100 miliardi di euro a sostegno della disoccupazione. Ma ne cambiamenti ne occorrono altri».
Quali?
«Primo: l’utilizzazione ai fini di lotta sanitaria ed economica dei fondi accumulati in Europa e pensati originariamente ad altri fini e che ora bisogna riconvertire per la pandemia. Mi riferisco non solo al Mes; ce ne sono anche altri, come il fondo di risoluzione europea. Non è meglio sostenere, con i soldi messi da parte dalle banche, quelle stesse banche ad essere proattive? Poi serve un allentamento della cultura e delle norme estremamente rigide sia sulle banche sia sugli aiuti di Stato, ancora risalenti ai tempi di un’Europa allo stato nascente».
Servono ora gli eurobond?
«I piani di lotta, di resistenza e rilancio economico debbono avere una partecipazione attiva della Ue e quindi bisogna che l’Europa abbia programmi di sviluppo per tutta l’Unione e li finanzi sia con fondi di bilancio sia con bond da essa emesse. Sarebbero molto facilmente sottoscrivibili dalle banche, che così diversificherebbero il rischio rispetto al debito sovrano».
Il viceministro all’Economia, Antonio Misiani, ha aperto al varo di Btp sottoscritti dagli italiani, che hanno 1.400 miliardi di euro fermi nei conti correnti. Bisogna svuotare le banche e dare i soldi allo Stato?
«Apprezzo l’idea di Misiani di questa alleanza tra risparmiatori, Stato e sistema produttivo. Bisogna trovare canali per rafforzare il sistema produttivo e lo Stato».
Come?
«Occorre una riflessione sulla tassazione. Se i Btp non hanno rendimento, o ne hanno troppo poco rispetto al rischio, è chiaro che non attraggono i risparmiatori. Quindi bisognerebbe esentare i titoli di Stato da emettere da ogni imposta presente e futura, come è stato dal Dopoguerra in poi. Con la stessa logica, per favorire un maggiore investimento verso il sistema produttivo nell’azionariato, bisogna ridurre la tassazione degli utili, oggi al 26%, dato che si tratta di utili netti, cioè già tassati. Infine bisogna incentivare i depositi bancari a più lunga durata: serve un minore gravame fiscale dall’attuale 26%, se vincolati».
Ma riuscirete a finanziare le imprese in difficoltà?
«Se ce lo permettono giuridicamente, sì. Debbono allentare quel calendario così sincopato di scadenze in base alle quali al 91esimo giorno di mancato pagamento si deteriora il credito. Se per molte ragioni non è possibile per il debitore rispettare quella scadenza, la tagliola così affilata in tempi di coronavirus mi pare eccessiva».
Autore: Fabrizio Massari
Fonte: Corriere della Sera
«Le banche stanno lavorando in una situazione emergenziale, da remoto, per telefono, o nelle filiali aperte solo per appuntamento. Bisogna rendersi conto che stanno facendo uno sforzo incredibile», rivendica Antonio Patuelli, presidente dell’Abi: «Le moratorie siglate da noi con imprese e sindacati, l’applicazione del decreto del 17 marzo che prevede una moratoria per esempio per i titolari di mutuo prima casa, i fondi di garanzia, ora l’anticipazione della Cigs: è uno sforzo sovrumano. Per far partire questo treno servono regole attuative, programmi informatici nuovi… C’è sempre affollamento, quando un treno è in partenza. Ma bisogna essere tutti costruttivi». Sapendo che senza la mediazione delle banche il sistema economico non si rimette in piedi.
Presidente, che ne pensa della misura annunciata dal ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, di garantire i prestiti alle imprese fino al 25% del fatturato 2019?
«Va nella direzione che noi auspichiamo, che si amplino gli spazi delle garanzie fornite dallo Stato alle imprese. Aspettiamo il testo completo; rimane il fatto che l’Italia, che aveva dato un buon segnale del 17 marzo, è stata poi scavalcata da altri paesi Ue che sulle garanzie alle imprese hanno investito cifre assai più cospicue e metodologie più pregnanti. Dato che l’Italia ha interesse etico e strategico a sostenere le imprese per la ripartenza, è opportuno questo lavoro del ministro».
Che cosa vi aspettate?
«Noi chiediamo al governo che le garanzie si avvicinino il più possibile al 100%, e piene, cioè a prima richiesta Poi le risorse: 1,5 miliardi è stato un segnale iniziale».
Sempre dall’Europa però bisogna passare. Vede progressi?
«Debbo dire che dopo un ritardo di percezione di iniziativa, con le autocritiche che hanno fatto la presidente Ursula von der Leyen e la presidente Bce, Christine Lagarde, è in atto un ravvedimento operoso da parte della Ue, come il programma da 100 miliardi di euro a sostegno della disoccupazione. Ma ne cambiamenti ne occorrono altri».
Quali?
«Primo: l’utilizzazione ai fini di lotta sanitaria ed economica dei fondi accumulati in Europa e pensati originariamente ad altri fini e che ora bisogna riconvertire per la pandemia. Mi riferisco non solo al Mes; ce ne sono anche altri, come il fondo di risoluzione europea. Non è meglio sostenere, con i soldi messi da parte dalle banche, quelle stesse banche ad essere proattive? Poi serve un allentamento della cultura e delle norme estremamente rigide sia sulle banche sia sugli aiuti di Stato, ancora risalenti ai tempi di un’Europa allo stato nascente».
Servono ora gli eurobond?
«I piani di lotta, di resistenza e rilancio economico debbono avere una partecipazione attiva della Ue e quindi bisogna che l’Europa abbia programmi di sviluppo per tutta l’Unione e li finanzi sia con fondi di bilancio sia con bond da essa emesse. Sarebbero molto facilmente sottoscrivibili dalle banche, che così diversificherebbero il rischio rispetto al debito sovrano».
Il viceministro all’Economia, Antonio Misiani, ha aperto al varo di Btp sottoscritti dagli italiani, che hanno 1.400 miliardi di euro fermi nei conti correnti. Bisogna svuotare le banche e dare i soldi allo Stato?
«Apprezzo l’idea di Misiani di questa alleanza tra risparmiatori, Stato e sistema produttivo. Bisogna trovare canali per rafforzare il sistema produttivo e lo Stato».
Come?
«Occorre una riflessione sulla tassazione. Se i Btp non hanno rendimento, o ne hanno troppo poco rispetto al rischio, è chiaro che non attraggono i risparmiatori. Quindi bisognerebbe esentare i titoli di Stato da emettere da ogni imposta presente e futura, come è stato dal Dopoguerra in poi. Con la stessa logica, per favorire un maggiore investimento verso il sistema produttivo nell’azionariato, bisogna ridurre la tassazione degli utili, oggi al 26%, dato che si tratta di utili netti, cioè già tassati. Infine bisogna incentivare i depositi bancari a più lunga durata: serve un minore gravame fiscale dall’attuale 26%, se vincolati».
Ma riuscirete a finanziare le imprese in difficoltà?
«Se ce lo permettono giuridicamente, sì. Debbono allentare quel calendario così sincopato di scadenze in base alle quali al 91esimo giorno di mancato pagamento si deteriora il credito. Se per molte ragioni non è possibile per il debitore rispettare quella scadenza, la tagliola così affilata in tempi di coronavirus mi pare eccessiva».
Autore: Fabrizio Massari
Fonte: Corriere della Sera