È allo studio il rinvio delle regole del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (Ccii) anche se ciò potrebbe non essere sufficiente. Un emendamento al decreto Cura Italia prevede il differimento di sei mesi dell’entrata in vigore del dlgs 14/2019. L’Italia potrebbe però addirittura seguire l’esempio di Svizzera, Spagna e Austria che hanno previsto di sospendere e attenuare gli atti esecutivi contro i debitori, comprese le dichiarazioni di fallimento. Le regole previste per condizioni ordinarie di mercato, infatti, sono adatte quando la crisi e l’insolvenza riguardano un numero limitato di imprese e non la maggioranza di esse come sta accadendo a causa dell’emergenza da Coronavirus.
Uno degli effetti più evidenti del lockdown delle attività imprenditoriali è quello di avere messo in ginocchio aziende che prima non presentavano alcun rischio o problema di continuità aziendale. Le proiezioni predisposte da molte società specializzate danno atto che nei prossimi 6/12/18 mesi potrebbero chiudere, fallire o portare i libri in tribunale più del 50% delle imprese. Una situazione di inadempimento, causata dall’emergenza Coronavirus (si veda ItaliaOggi Sette del 30 marzo) è ben differente da una crisi aziendale e gli strumenti di risanamento vigenti non risultano né appropriati né adeguati. Si aggiunga, poi, che un conto è affrontare il rischio default del sistema economico nazionale con una legge, quella fallimentare (r.d. 267/42), conosciuta ed impiegata dal secondo dopo guerra, e un conto è pensare di fronteggiare i tentativi di risanamento o le liquidazioni dei patrimoni applicando il futuro Ccii, che non ha avuto alcun preventivo test, con assoluta impreparazione da parte del sistema giudiziario.
Già a inizio anno il Governo aveva deciso di rinviare al 15 febbraio 2021 la segnalazione delle società in difficoltà per presenza di indicatori e indici della crisi d’impresa o per eccessivi debiti fiscali e previdenziali agli Organismi di composizione della crisi d’impresa (Ocri) che dovrebbero essere costituiti presso ciascuna camera di commercio a ferragosto di quest’anno. Una scelta assai appropriata per evitare di intasare le Cciaa o fare «saltare» le imprese già colpite dal contagio economico del Covid-19.
Ma quando finirà il lockdown molte imprese saranno costrette a difendersi da iniziative di creditori e a predisporre strumenti di recupero della continuità aziendale, obbligati dal nuovo sistema di monitoraggio della crisi d’impresa prevista dall’art. 2086 c.c. che è stato introdotto proprio dal Ccii. Ecco perché è necessario derogare ad alcune regole di base del nostro ordinamento, ora che il virus ha messo a nudo la fragilità del sistema. Imporre rigidità in un momento come questo, impedisce quelle reazioni e soluzioni spontanee alla crisi che altrimenti non si potrebbero trovare, neppure con le migliori leggi al mondo.
Autore: Marcello Pollio e Gianluca Vidal
Fonte: Italia Oggi
È allo studio il rinvio delle regole del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (Ccii) anche se ciò potrebbe non essere sufficiente. Un emendamento al decreto Cura Italia prevede il differimento di sei mesi dell’entrata in vigore del dlgs 14/2019. L’Italia potrebbe però addirittura seguire l’esempio di Svizzera, Spagna e Austria che hanno previsto di sospendere e attenuare gli atti esecutivi contro i debitori, comprese le dichiarazioni di fallimento. Le regole previste per condizioni ordinarie di mercato, infatti, sono adatte quando la crisi e l’insolvenza riguardano un numero limitato di imprese e non la maggioranza di esse come sta accadendo a causa dell’emergenza da Coronavirus.
Uno degli effetti più evidenti del lockdown delle attività imprenditoriali è quello di avere messo in ginocchio aziende che prima non presentavano alcun rischio o problema di continuità aziendale. Le proiezioni predisposte da molte società specializzate danno atto che nei prossimi 6/12/18 mesi potrebbero chiudere, fallire o portare i libri in tribunale più del 50% delle imprese. Una situazione di inadempimento, causata dall’emergenza Coronavirus (si veda ItaliaOggi Sette del 30 marzo) è ben differente da una crisi aziendale e gli strumenti di risanamento vigenti non risultano né appropriati né adeguati. Si aggiunga, poi, che un conto è affrontare il rischio default del sistema economico nazionale con una legge, quella fallimentare (r.d. 267/42), conosciuta ed impiegata dal secondo dopo guerra, e un conto è pensare di fronteggiare i tentativi di risanamento o le liquidazioni dei patrimoni applicando il futuro Ccii, che non ha avuto alcun preventivo test, con assoluta impreparazione da parte del sistema giudiziario.
Già a inizio anno il Governo aveva deciso di rinviare al 15 febbraio 2021 la segnalazione delle società in difficoltà per presenza di indicatori e indici della crisi d’impresa o per eccessivi debiti fiscali e previdenziali agli Organismi di composizione della crisi d’impresa (Ocri) che dovrebbero essere costituiti presso ciascuna camera di commercio a ferragosto di quest’anno. Una scelta assai appropriata per evitare di intasare le Cciaa o fare «saltare» le imprese già colpite dal contagio economico del Covid-19.
Ma quando finirà il lockdown molte imprese saranno costrette a difendersi da iniziative di creditori e a predisporre strumenti di recupero della continuità aziendale, obbligati dal nuovo sistema di monitoraggio della crisi d’impresa prevista dall’art. 2086 c.c. che è stato introdotto proprio dal Ccii. Ecco perché è necessario derogare ad alcune regole di base del nostro ordinamento, ora che il virus ha messo a nudo la fragilità del sistema. Imporre rigidità in un momento come questo, impedisce quelle reazioni e soluzioni spontanee alla crisi che altrimenti non si potrebbero trovare, neppure con le migliori leggi al mondo.
Autore: Marcello Pollio e Gianluca Vidal
Fonte: Italia Oggi