Il cittadino moroso, che occupa un immobile sotto procedura di pignoramento, non perderà il possesso della casa finché non arriverà il decreto di trasferimento. Tale principio, già introdotto un anno fa con l’art. 18-bis del dl 162/2019, viene esteso a tutte le espropriazioni in corso, non solo a quelle avviate da febbraio 2019. E’ quanto prevede un emendamento al Milleproroghe presentato dal Movimento 5 Stelle e appoggiato anche dal PD. Approvato dopo il parere positivo dell’ufficio legislativo del Ministero della Giustizia, il provvedimento estende alle espropriazioni in corso il principio in base al quale il debitore non perde il possesso della casa fino al decreto di trasferimento. In poche parole la casa resta occupata Quindi il giudice non può disporre il rilascio dell’immobile pignorato prima della pronuncia del decreto di trasferimento.
Nel 2016 il Governo Renzi aveva introdotto la possibilità di liberare le case sotto procedura, prima che fossero vendute. Ma, secondo alcune associazioni che tutelano il diritto alla casa, la misura ha avuto costi sociali per migliaia di famiglie e non ha fatto salire i prezzi degli immobili all’asta.
Il M5S rivendica l’emendamento, sottolineando di aver “sempre segnalato l’assurdità di procedure esecutive che portano a far sloggiare in quattro e quattr’otto dai loro immobili cittadini e imprenditori sottoposti a procedura esecutiva. Già nel decreto semplificazioni siamo intervenuti modificando l’art. 560 del codice di procedura civile e prevedendo che quando l’immobile pignorato è abitato dal debitore e dai suoi familiari, il giudice non può mai disporre il rilascio dell’immobile pignorato prima della pronuncia del decreto di trasferimento. In altri termini il debitore, se l’oggetto dell’esecuzione è costituito dall’abitazione principale dove vive con la famiglia, ha la garanzia di potervi permanere fino alla vendita. Adesso, questa norma di tutela nei confronti di cittadini e imprenditori è estesa e si applica anche alle esecuzioni in corso al febbraio 2019. Un intervento che consentirà di evitare circa 100 mila sloggi”.
Ma c’è chi denuncia i possibili impatti negativi del provvedimento sul mercato immobiliare, in particolare sul segmento delle aste giudiziarie. Secondo Confedilizia, infatti, ci sarà una perdita di valore dell’immobile venduto all’asta, che richiederà tempistiche molto superiori per poter entrare nella proprietà di chi l’acquista. C’è un rischio concreto che si producano “numerosi tentativi di vendita infruttuosi che porteranno ad un calo drastico dei prezzi di aggiudicazione, con minore soddisfazione non solo dei creditori, ma anche degli stessi debitori esecutati, cioè proprio dei soggetti che l’intervento di riforma si propone di favorire”.
Già la formulazione iniziale del 2019 – denuncia Confedilizia “rappresentava un radicale stravolgimento della precedente impostazione normativa. Secondo il vecchio testo dell’art. 560, infatti, la permanenza del debitore nell’immobile oggetto di esecuzione forzata costituiva un’eventualità e avveniva a discrezione del giudice dell’esecuzione, che poteva autorizzare il debitore a continuare ad abitare nell’immobile. E in questa prospettiva erano anche previste disposizioni – pure queste soppresse – che dettavano un procedimento semplificato e accelerato per la liberazione dell’immobile. Allo stato, invece, è la liberazione anticipata dell’immobile che rappresenta una mera eventualità, condizionata al verificarsi di determinate ipotesi come la cattiva conservazione dell’immobile oppure l’ostacolato diritto di visita di potenziali compratori. La regola – sottolinea Confedilizia – è l’occupazione del bene da parte del debitore e dei suoi familiari fino al decreto di trasferimento”.
Il cittadino moroso, che occupa un immobile sotto procedura di pignoramento, non perderà il possesso della casa finché non arriverà il decreto di trasferimento. Tale principio, già introdotto un anno fa con l’art. 18-bis del dl 162/2019, viene esteso a tutte le espropriazioni in corso, non solo a quelle avviate da febbraio 2019. E’ quanto prevede un emendamento al Milleproroghe presentato dal Movimento 5 Stelle e appoggiato anche dal PD. Approvato dopo il parere positivo dell’ufficio legislativo del Ministero della Giustizia, il provvedimento estende alle espropriazioni in corso il principio in base al quale il debitore non perde il possesso della casa fino al decreto di trasferimento. In poche parole la casa resta occupata Quindi il giudice non può disporre il rilascio dell’immobile pignorato prima della pronuncia del decreto di trasferimento.
Nel 2016 il Governo Renzi aveva introdotto la possibilità di liberare le case sotto procedura, prima che fossero vendute. Ma, secondo alcune associazioni che tutelano il diritto alla casa, la misura ha avuto costi sociali per migliaia di famiglie e non ha fatto salire i prezzi degli immobili all’asta.
Il M5S rivendica l’emendamento, sottolineando di aver “sempre segnalato l’assurdità di procedure esecutive che portano a far sloggiare in quattro e quattr’otto dai loro immobili cittadini e imprenditori sottoposti a procedura esecutiva. Già nel decreto semplificazioni siamo intervenuti modificando l’art. 560 del codice di procedura civile e prevedendo che quando l’immobile pignorato è abitato dal debitore e dai suoi familiari, il giudice non può mai disporre il rilascio dell’immobile pignorato prima della pronuncia del decreto di trasferimento. In altri termini il debitore, se l’oggetto dell’esecuzione è costituito dall’abitazione principale dove vive con la famiglia, ha la garanzia di potervi permanere fino alla vendita. Adesso, questa norma di tutela nei confronti di cittadini e imprenditori è estesa e si applica anche alle esecuzioni in corso al febbraio 2019. Un intervento che consentirà di evitare circa 100 mila sloggi”.
Ma c’è chi denuncia i possibili impatti negativi del provvedimento sul mercato immobiliare, in particolare sul segmento delle aste giudiziarie. Secondo Confedilizia, infatti, ci sarà una perdita di valore dell’immobile venduto all’asta, che richiederà tempistiche molto superiori per poter entrare nella proprietà di chi l’acquista. C’è un rischio concreto che si producano “numerosi tentativi di vendita infruttuosi che porteranno ad un calo drastico dei prezzi di aggiudicazione, con minore soddisfazione non solo dei creditori, ma anche degli stessi debitori esecutati, cioè proprio dei soggetti che l’intervento di riforma si propone di favorire”.
Già la formulazione iniziale del 2019 – denuncia Confedilizia “rappresentava un radicale stravolgimento della precedente impostazione normativa. Secondo il vecchio testo dell’art. 560, infatti, la permanenza del debitore nell’immobile oggetto di esecuzione forzata costituiva un’eventualità e avveniva a discrezione del giudice dell’esecuzione, che poteva autorizzare il debitore a continuare ad abitare nell’immobile. E in questa prospettiva erano anche previste disposizioni – pure queste soppresse – che dettavano un procedimento semplificato e accelerato per la liberazione dell’immobile. Allo stato, invece, è la liberazione anticipata dell’immobile che rappresenta una mera eventualità, condizionata al verificarsi di determinate ipotesi come la cattiva conservazione dell’immobile oppure l’ostacolato diritto di visita di potenziali compratori. La regola – sottolinea Confedilizia – è l’occupazione del bene da parte del debitore e dei suoi familiari fino al decreto di trasferimento”.