Stress test bancari, si riparte. Oggi scatta il nuovo round di verifiche sui bilanci degli istituti del Vecchio Continente relative al 2020. L’esercizio, avviato dall’Autorità bancaria europea per la prima volta nel 2011, serve a testare ogni due anni la tenuta dei conti degli istituti in due scenari economici, uno di base e uno avverso.
Dopo aver pubblicato nei mesi scorsi il pacchetto di informazioni che comprende la metodologia, i modelli e le linee guida per i modelli da seguire, oggi dunque inizierà formalmente l’esercizio che si concluderà a fine luglio con la pubblicazione dei risultati, mentre sono previste tre scadenze intermerdie (a inizio aprile, metà maggio e fine giugno) per la presentazione degli esiti da parte delle banche all’Eba.
Analogamente all’esercizio 2018, lo stress test seguirà uno schema bottom-up che partirà dall’ipotesi di bilancio statico delle banche. L’impossibilità di considerare le potenziali contromisure che gli istituti potrebbero prendere nelle realtà, è da tempo oggetto di pesante critica da parte delle banche. Inoltre, secondo gli addetti ai lavori, l’ipotesi è che l’esercizio, che si concentra principalmente sulla valutazione dell’impatto dei fattori di rischio sulla solvibilità delle banche a partire da quello di credito, possa mostrare un effetto significativo in particolare sulle banche commerciali. L’esercizio prevede inoltre che le banche siano tenute a mettere sotto stress una serie di rischi: oltre al rischio di credito (comprese le cartolarizzazioni), nel mirino finiranno il rischio di mercato, il rischio di credito della controparte, il rischio operativo, compreso il rischio di condotta. Alle banche infine viene richiesto di proiettare l’impatto degli scenari sul margine di interesse e verificare la tenuta dei profitti.
Da sempre oggetto di grande attenzione da parte del mercato e, viceversa, di forti timori da parte degli operatori, quest’anno gli stress test a detta degli addetti ai lavori non dovrebbero costituire un banco di prova particolarmente insidioso per le banche. L’attenzione nello specifico tuttavia è concentrata sullo scenario avverso, che per la prima volta registrerà in pieno gli effetti cumulati del calendar provisioning. Secondo alcune letture, la misura, che prevede accantonamenti progressive sui crediti deteriorati in più anni fino alla loro piena svalutazione, potrebbe generare impatti non trascurabili sul capitale delle banche, alla luce dell’analisi statica del bilancio.
Si vedrà col tempo se i timori sono giustificati. Va detto che nel frattempo come noto si sta ragionando su un cambio di passo per queste prove che in passato hanno provocato non pochi problemi ad alcune banche italiane, da Mps a Carige. Nei giorni scorsi l’Eba del resto ha lanciato una consultazione pubblica sui possibili futuri cambiamenti negli stress test che si concluderà ad aprile. Obiettivo: rendere le prove più flessibili e in grado di fornire informazioni precise per identificare i rischi.
Fonte: Il Sole 24 Ore
Stress test bancari, si riparte. Oggi scatta il nuovo round di verifiche sui bilanci degli istituti del Vecchio Continente relative al 2020. L’esercizio, avviato dall’Autorità bancaria europea per la prima volta nel 2011, serve a testare ogni due anni la tenuta dei conti degli istituti in due scenari economici, uno di base e uno avverso.
Dopo aver pubblicato nei mesi scorsi il pacchetto di informazioni che comprende la metodologia, i modelli e le linee guida per i modelli da seguire, oggi dunque inizierà formalmente l’esercizio che si concluderà a fine luglio con la pubblicazione dei risultati, mentre sono previste tre scadenze intermerdie (a inizio aprile, metà maggio e fine giugno) per la presentazione degli esiti da parte delle banche all’Eba.
Analogamente all’esercizio 2018, lo stress test seguirà uno schema bottom-up che partirà dall’ipotesi di bilancio statico delle banche. L’impossibilità di considerare le potenziali contromisure che gli istituti potrebbero prendere nelle realtà, è da tempo oggetto di pesante critica da parte delle banche. Inoltre, secondo gli addetti ai lavori, l’ipotesi è che l’esercizio, che si concentra principalmente sulla valutazione dell’impatto dei fattori di rischio sulla solvibilità delle banche a partire da quello di credito, possa mostrare un effetto significativo in particolare sulle banche commerciali. L’esercizio prevede inoltre che le banche siano tenute a mettere sotto stress una serie di rischi: oltre al rischio di credito (comprese le cartolarizzazioni), nel mirino finiranno il rischio di mercato, il rischio di credito della controparte, il rischio operativo, compreso il rischio di condotta. Alle banche infine viene richiesto di proiettare l’impatto degli scenari sul margine di interesse e verificare la tenuta dei profitti.
Da sempre oggetto di grande attenzione da parte del mercato e, viceversa, di forti timori da parte degli operatori, quest’anno gli stress test a detta degli addetti ai lavori non dovrebbero costituire un banco di prova particolarmente insidioso per le banche. L’attenzione nello specifico tuttavia è concentrata sullo scenario avverso, che per la prima volta registrerà in pieno gli effetti cumulati del calendar provisioning. Secondo alcune letture, la misura, che prevede accantonamenti progressive sui crediti deteriorati in più anni fino alla loro piena svalutazione, potrebbe generare impatti non trascurabili sul capitale delle banche, alla luce dell’analisi statica del bilancio.
Si vedrà col tempo se i timori sono giustificati. Va detto che nel frattempo come noto si sta ragionando su un cambio di passo per queste prove che in passato hanno provocato non pochi problemi ad alcune banche italiane, da Mps a Carige. Nei giorni scorsi l’Eba del resto ha lanciato una consultazione pubblica sui possibili futuri cambiamenti negli stress test che si concluderà ad aprile. Obiettivo: rendere le prove più flessibili e in grado di fornire informazioni precise per identificare i rischi.
Fonte: Il Sole 24 Ore