Quattro anni fa Cir metteva per iscritto che il pacchetto di controllo di Sorgenia in bilancio valeva zero. A dirla tutta la famiglia De Benedetti ha meditato fino all’ultimo di partecipare alla ricapitalizzazione necessaria per scongiurare il fallimento. Ma la profonda crisi in cui era precipitata Sorgenia e il debito monstre di 1,8 miliardi concesso dai principali gruppi bancari del Paese hanno imposto scelte rapide e coraggiose. Sia per i compratori sia per i venditori. I compratori erano i debitori del gruppo, le banche appunto (Mps, Intesa Sanpaolo, UniCredit, Ubi e Banco Popolare tra i principali), che hanno trasformato quasi 400 milioni di finanziamenti in equity; i venditori invece erano Cir e il socio austriaco Verbund, usciti di scena con un bilancio dell’investimento in rosso.
Ora il passaggio di proprietà si ripropone, ma rispetto al passato non c’è fretta. Perché nel frattempo Sorgenia è stata risanata, registra utili rotondi, va bene ed è diventata un asset proiettato verso 350mila clienti, tutti digital, e centrali elettriche a ciclo combinato super flessibili per una capacità installata che supera i 3.000 megawatt: in lizza per rilevarla ci sono sei cordate, dove compaiono oltre ad alcuni fondi di private equity, il tandem A2A-Eph, Iren, Acea e da ultimo F2i con il fondo spagnolo Asterion.
Questa volta però le banche da acquirenti ricoprono il ruolo di venditori, pur avendo in questa partita un punto di vista assai privilegiato essendo oltre che socie, anche finanziatrici e spesso sponsor e advisor di alcuni gruppi interessati alla società. Cosa decideranno di fare? Vendere tutto o restare nel capitale puntando a un progetto più grande, di sistema, che potrebbe avere ritorni interessanti? Il Sole 24 Ore ha ricostruito i nuovi assetti di Sorgenia e la mappa dei debiti del gruppo a quattro anni di distanza dal salvataggio. Numeri ancora importanti che a seconda di quale strada sarà scelta dagli istituti potrebbero contenere nell’immediato la perdita finora registrata sull’investimento o rinviare a un secondo tempo il bilancio sul dossier Sorgenia.
Gli assetti di Sorgenia
Le banche azioniste di Sorgenia hanno posto due importanti condizioni che guideranno la scelta della migliore offerta per il gruppo energetico: mettere in sicurezza il debito del gruppo e massimizzare quel “delta” che si ottiene sottraendo la posizione finanziaria netta della società al valore complessivo dell’offerta. Per capire in che misura queste due variabili possono influenzare la selezione del futuro proprietario del gruppo guidato da Gianfilippo Mancini, dossier affidato a Lazard e Colombo & associati, bisogna guardare dunque agli assetti di controllo. Sorgenia è partecipata da una holding, Nuova Sorgenia, che detiene il 99,97% di Sorgenia e il cui primo socio è Banco Bpm con il 33,32% del capitale, seguito poi da Mps, Ubi, UniCredit e Intesa Sanpaolo con quote del 16,67% ciascuno. Il loro impegno è legato agli Strumenti finanziari partecipativi il cui valore in bilancio è contabilizzato per 380 milioni. Nello stesso tempo, però, le banche “socie” sono anche finanziatrici nella società operativa, Sorgenia appunto.
Negli ultimi quattro anni, da quando gli istituti sono entrati nel capitale, Sorgenia ha restituito 570 milioni di debiti. Secondo dati aggiornati a gennaio 2019 il debito lordo viaggiava intorno ai 940 milioni, valore che scende a 770 milioni guardando la posizione finanziaria netta. La mappa dei creditori, secondo quanto ricostruito da Il Sole 24 Ore, è così composta: 322 milioni in capo a Mps, 130 milioni di Intesa Sanpaolo, 119 milioni di Mediobanca, 113 milioni di UniCredit e 77 milioni di Bpm, 74 milioni di Portigon e 57 milioni di Ubi, citando le principali linee in essere. In questo quadro, dunque, appare cruciale cosa il futuro compratore vorrà fare con il debito esistente. Ipotizzando così una offerta nell’ordine di 900 milioni, valore intorno al quale secondo indiscrezioni alcune cordate stanno ragionando, quel “delta” che le banche vogliono massimizzare sarebbe nell’ordine di 130 milioni, valore dato dalla differenza tra l’offerta di 900 milioni e la posizione finanziaria netta di 770 milioni, e risorse capaci di abbattere l’impegno delle stesse banche in Sorgenia sul fronte equity da 380 milioni a 250 milioni.
Le garanzie sul debito
Nello stesso tempo, però, per come è stata immaginata l’operazione, il futuro compratore dovrà mettere in sicurezza il debito di Sorgenia. Il che vuol dire o rifinanziarlo completamente o procedere a una parziale ricapitalizzazione dell’operativa per abbatterlo. In proposito, proprio a inizio settimana, secondo alcune fonti, ci sarebbe stato un board di Sorgenia holding nell’ambito del quale si sarebbe deciso di richiedere ai soggetti in gara le modalità di finanziamento dell’operazione volta a rilevare il gruppo energetico. Un passaggio cruciale proprio ai fini delle garanzie che le stesse banche chiedono sul debito. Anche perché non tutte le offerte pervenute sul tavolo degli advisor, si apprende, puntano a rilevare e “liquidare” le banche socie del gruppo, ma c’è anche chi immagina percorsi diversi che potrebbero vedere gli istituti, o alcuni di loro, accompagnare Sorgenia in una nuova importante fase di sviluppo. Se infatti soggetti come Eph-A2A, Iren o Acea rappresentano operatori del settore interessati all’asset nella sua interezza in quanto sinergico con le loro attività, negli ultimi mesi a sparigliare le carte è stato l’intervento di F2i.
Il fondo infrastrutturale starebbe definendo i dettagli della propria offerta che inizialmente si limitava al conferimento di alcuni impianti di energia rinnovabile in Sorgenia, ma che non è stata ritenuto sufficiente dalle banche azioniste. Da qui i contatti, come riportato da Il Sole 24 Ore di martedì 15 ottobre, con il fondo spagnolo Asterion per definire una componente cash e mettere sul piatto l’offerta mista per il gruppo energetico. Sulla discesa in campo del fondo,il cui interesse verso un produttore di energia elettrica appare secondo alcuni osservatori non del tutto coerente con la mission infrastrutturale, si starebbe formando un allineamento istituzionale. C’è chi fa notare, infatti, come su Sorgenia si giochi una partita più ampia, di sistema, per gli asset in gioco e i soggetti coinvolti.
Il piano allo studio di F2i, che vede Mediobanca come advisor, ma anche tra i principali finanziatori dell’operazione, punterebbe secondo indiscrezioni a coinvolgere alcune banche presenti nel capitale di Sorgenia. E così se istituti come Mps, UniCredit o Ubi, che pur hanno sostenuto Sorgenia nel percorso di turnaround, sarebbero più orientati a un disimpegno immediato altri come Intesa Sanpaolo, presente nella partita come altre banche in più ruoli, in quanto socia, finanziatrice ma anche tra i sottoscrittori di F2i, non escluderebbe a priori secondo alcune fonti un progetto di lungo periodo che potrebbe potenzialmente portare a ritorni interessanti. Si tratta di capire se la cordata F2i-Asterion prenderà per davvero forma e quanto la nuova offerta sarà capace di allineare e convincere tutte le banche azioniste.
Autore: Marigia Mangano
Fonte: Il Sole 24 Ore
Quattro anni fa Cir metteva per iscritto che il pacchetto di controllo di Sorgenia in bilancio valeva zero. A dirla tutta la famiglia De Benedetti ha meditato fino all’ultimo di partecipare alla ricapitalizzazione necessaria per scongiurare il fallimento. Ma la profonda crisi in cui era precipitata Sorgenia e il debito monstre di 1,8 miliardi concesso dai principali gruppi bancari del Paese hanno imposto scelte rapide e coraggiose. Sia per i compratori sia per i venditori. I compratori erano i debitori del gruppo, le banche appunto (Mps, Intesa Sanpaolo, UniCredit, Ubi e Banco Popolare tra i principali), che hanno trasformato quasi 400 milioni di finanziamenti in equity; i venditori invece erano Cir e il socio austriaco Verbund, usciti di scena con un bilancio dell’investimento in rosso.
Ora il passaggio di proprietà si ripropone, ma rispetto al passato non c’è fretta. Perché nel frattempo Sorgenia è stata risanata, registra utili rotondi, va bene ed è diventata un asset proiettato verso 350mila clienti, tutti digital, e centrali elettriche a ciclo combinato super flessibili per una capacità installata che supera i 3.000 megawatt: in lizza per rilevarla ci sono sei cordate, dove compaiono oltre ad alcuni fondi di private equity, il tandem A2A-Eph, Iren, Acea e da ultimo F2i con il fondo spagnolo Asterion.
Questa volta però le banche da acquirenti ricoprono il ruolo di venditori, pur avendo in questa partita un punto di vista assai privilegiato essendo oltre che socie, anche finanziatrici e spesso sponsor e advisor di alcuni gruppi interessati alla società. Cosa decideranno di fare? Vendere tutto o restare nel capitale puntando a un progetto più grande, di sistema, che potrebbe avere ritorni interessanti? Il Sole 24 Ore ha ricostruito i nuovi assetti di Sorgenia e la mappa dei debiti del gruppo a quattro anni di distanza dal salvataggio. Numeri ancora importanti che a seconda di quale strada sarà scelta dagli istituti potrebbero contenere nell’immediato la perdita finora registrata sull’investimento o rinviare a un secondo tempo il bilancio sul dossier Sorgenia.
Gli assetti di Sorgenia
Le banche azioniste di Sorgenia hanno posto due importanti condizioni che guideranno la scelta della migliore offerta per il gruppo energetico: mettere in sicurezza il debito del gruppo e massimizzare quel “delta” che si ottiene sottraendo la posizione finanziaria netta della società al valore complessivo dell’offerta. Per capire in che misura queste due variabili possono influenzare la selezione del futuro proprietario del gruppo guidato da Gianfilippo Mancini, dossier affidato a Lazard e Colombo & associati, bisogna guardare dunque agli assetti di controllo. Sorgenia è partecipata da una holding, Nuova Sorgenia, che detiene il 99,97% di Sorgenia e il cui primo socio è Banco Bpm con il 33,32% del capitale, seguito poi da Mps, Ubi, UniCredit e Intesa Sanpaolo con quote del 16,67% ciascuno. Il loro impegno è legato agli Strumenti finanziari partecipativi il cui valore in bilancio è contabilizzato per 380 milioni. Nello stesso tempo, però, le banche “socie” sono anche finanziatrici nella società operativa, Sorgenia appunto.
Negli ultimi quattro anni, da quando gli istituti sono entrati nel capitale, Sorgenia ha restituito 570 milioni di debiti. Secondo dati aggiornati a gennaio 2019 il debito lordo viaggiava intorno ai 940 milioni, valore che scende a 770 milioni guardando la posizione finanziaria netta. La mappa dei creditori, secondo quanto ricostruito da Il Sole 24 Ore, è così composta: 322 milioni in capo a Mps, 130 milioni di Intesa Sanpaolo, 119 milioni di Mediobanca, 113 milioni di UniCredit e 77 milioni di Bpm, 74 milioni di Portigon e 57 milioni di Ubi, citando le principali linee in essere. In questo quadro, dunque, appare cruciale cosa il futuro compratore vorrà fare con il debito esistente. Ipotizzando così una offerta nell’ordine di 900 milioni, valore intorno al quale secondo indiscrezioni alcune cordate stanno ragionando, quel “delta” che le banche vogliono massimizzare sarebbe nell’ordine di 130 milioni, valore dato dalla differenza tra l’offerta di 900 milioni e la posizione finanziaria netta di 770 milioni, e risorse capaci di abbattere l’impegno delle stesse banche in Sorgenia sul fronte equity da 380 milioni a 250 milioni.
Le garanzie sul debito
Nello stesso tempo, però, per come è stata immaginata l’operazione, il futuro compratore dovrà mettere in sicurezza il debito di Sorgenia. Il che vuol dire o rifinanziarlo completamente o procedere a una parziale ricapitalizzazione dell’operativa per abbatterlo. In proposito, proprio a inizio settimana, secondo alcune fonti, ci sarebbe stato un board di Sorgenia holding nell’ambito del quale si sarebbe deciso di richiedere ai soggetti in gara le modalità di finanziamento dell’operazione volta a rilevare il gruppo energetico. Un passaggio cruciale proprio ai fini delle garanzie che le stesse banche chiedono sul debito. Anche perché non tutte le offerte pervenute sul tavolo degli advisor, si apprende, puntano a rilevare e “liquidare” le banche socie del gruppo, ma c’è anche chi immagina percorsi diversi che potrebbero vedere gli istituti, o alcuni di loro, accompagnare Sorgenia in una nuova importante fase di sviluppo. Se infatti soggetti come Eph-A2A, Iren o Acea rappresentano operatori del settore interessati all’asset nella sua interezza in quanto sinergico con le loro attività, negli ultimi mesi a sparigliare le carte è stato l’intervento di F2i.
Il fondo infrastrutturale starebbe definendo i dettagli della propria offerta che inizialmente si limitava al conferimento di alcuni impianti di energia rinnovabile in Sorgenia, ma che non è stata ritenuto sufficiente dalle banche azioniste. Da qui i contatti, come riportato da Il Sole 24 Ore di martedì 15 ottobre, con il fondo spagnolo Asterion per definire una componente cash e mettere sul piatto l’offerta mista per il gruppo energetico. Sulla discesa in campo del fondo,il cui interesse verso un produttore di energia elettrica appare secondo alcuni osservatori non del tutto coerente con la mission infrastrutturale, si starebbe formando un allineamento istituzionale. C’è chi fa notare, infatti, come su Sorgenia si giochi una partita più ampia, di sistema, per gli asset in gioco e i soggetti coinvolti.
Il piano allo studio di F2i, che vede Mediobanca come advisor, ma anche tra i principali finanziatori dell’operazione, punterebbe secondo indiscrezioni a coinvolgere alcune banche presenti nel capitale di Sorgenia. E così se istituti come Mps, UniCredit o Ubi, che pur hanno sostenuto Sorgenia nel percorso di turnaround, sarebbero più orientati a un disimpegno immediato altri come Intesa Sanpaolo, presente nella partita come altre banche in più ruoli, in quanto socia, finanziatrice ma anche tra i sottoscrittori di F2i, non escluderebbe a priori secondo alcune fonti un progetto di lungo periodo che potrebbe potenzialmente portare a ritorni interessanti. Si tratta di capire se la cordata F2i-Asterion prenderà per davvero forma e quanto la nuova offerta sarà capace di allineare e convincere tutte le banche azioniste.
Autore: Marigia Mangano
Fonte: Il Sole 24 Ore