Gli UtP rappresentano la prossima grande onda del sistema bancario italiano. E’ quanto afferma PWC nel suo ultimo report “The Next Big Wave” dedicato alle inadempienze probabili (Unlikely-to-Pay). Dal report emerge un dato su tutti: nel 2018, in termini di valore netto, gli UtP hanno sorpassato gli NPL. A 31 dicembre, infatti, gli UtP ammontavano a 79 miliardi di euro di valore lordo, pari a 51 miliardi di valore netto, mentre il valore netto degli NPL è sceso a 33 miliardi di euro, per un ammontare lordo di 97 miliardi. Sebbene nell’ultimo triennio gli UtP abbiano registrato un calo, passando da 127 miliardi di euro a 79, ad oggi rappresentano il principale componente delle NPE sui bilanci delle banche italiane, e costituiranno l’elemento chiave nei futuri piani di “deleverage” degli istituti, giocando un ruolo decisivo rispetto ai mercati finanziari e agli obiettivi fissati dai Regolatori.
“Gli UtP, più che un asset class indipendente, rappresentano uno stato temporaneo del debitore – commenta Alessandro Biondi, Co-Head of NPL di PwC – Questo si traduce per le banche italiane in una maggiore difficoltà nel classificare e segmentare i propri portafogli UtP. Le banche infatti dovranno necessariamente riconciliare un approccio single name, cioè basato sulla specificità del singolo debitore UtP con un approccio di cluster (poche posizioni UtP accomunate da caratteristiche comuni) e di portafoglio, se vorranno definire e individuare perimetri di UtP da gestire proattivamente o da cedere sul mercato”.
Dunque mentre il mercato degli NPL va scemando, quello degli UtP sta per esplodere: nel 2019 si sono già affacciati sul mercato nuovi portafogli e si stanno finalizzando alcune transazioni annunciate. E’ di qualche giorno fa, ad esempio, la notizia della maxi cessione da parte di Intesa Sanpaolo di circa 10 miliardi di euro di UtP con un’esclusiva a Prelios di 3,5 miliardi ceduti ad un prezzo di carico in linea con il valore di bilancio, intorno a 63 centesimi di euro rispetto al prezzo nominale. Nel frattempo Unicredit sta per mettere in piedi un’operazione da 13,3 miliardi di UtP; la banca avrebbe già contattato gestori di fondi come Dea Capital e Clessidra sgr, i servicer do Value (ex piattaforma di gestione di Unicredit) e Intrum. Ricordiamo che Clessidra sgr ha appena lanciato un fondo dedicato agli UtP, battezzato Clessidra Restructuring Fund, che punta ad acquistare fino a 300 milioni di euro di crediti UtP vantati dalle banche verso aziende industriali italiane in fase di risanamento.
Ma gli UtP rappresentano un asset class molto più complessa e variegata rispetto agli NPL, anche per gli investitori. Una gestione efficace, volta a riportare il debitore in bonis richiederà forti e specifiche competenze tecniche oltreché capacità finanziarie per (ri)finanziare il debitore stesso. “Un ruolo cruciale nell’affrontare il problema degli UtP sarà assunto dalle cosiddette challenger banks e dai NPL servicer – spiega Pier Paolo Masenza, Financial Services Leader di PwC – I primi, combinando insieme capacità di ristrutturazione, capacità finanziarie e strategie di recupero flessibili, tecnologiche e specializzate, potranno configurarsi come i partner ideali delle banche tradizionali nei loro piani di deleverage. I secondi, attraverso i loro consolidati modelli di business, economie di scala e la conversione in corso da un approccio massivo del credito su logiche di portafogli granulari ad uno “sartoriale” definito sulla base delle caratteristiche dello specifico credito, potrebbero diventare un partner esterno fondamentale per le banche tradizionali nel guidare i processi di ristrutturazione degli UtP di queste ultime.”
Gli UtP rappresentano la prossima grande onda del sistema bancario italiano. E’ quanto afferma PWC nel suo ultimo report “The Next Big Wave” dedicato alle inadempienze probabili (Unlikely-to-Pay). Dal report emerge un dato su tutti: nel 2018, in termini di valore netto, gli UtP hanno sorpassato gli NPL. A 31 dicembre, infatti, gli UtP ammontavano a 79 miliardi di euro di valore lordo, pari a 51 miliardi di valore netto, mentre il valore netto degli NPL è sceso a 33 miliardi di euro, per un ammontare lordo di 97 miliardi. Sebbene nell’ultimo triennio gli UtP abbiano registrato un calo, passando da 127 miliardi di euro a 79, ad oggi rappresentano il principale componente delle NPE sui bilanci delle banche italiane, e costituiranno l’elemento chiave nei futuri piani di “deleverage” degli istituti, giocando un ruolo decisivo rispetto ai mercati finanziari e agli obiettivi fissati dai Regolatori.
“Gli UtP, più che un asset class indipendente, rappresentano uno stato temporaneo del debitore – commenta Alessandro Biondi, Co-Head of NPL di PwC – Questo si traduce per le banche italiane in una maggiore difficoltà nel classificare e segmentare i propri portafogli UtP. Le banche infatti dovranno necessariamente riconciliare un approccio single name, cioè basato sulla specificità del singolo debitore UtP con un approccio di cluster (poche posizioni UtP accomunate da caratteristiche comuni) e di portafoglio, se vorranno definire e individuare perimetri di UtP da gestire proattivamente o da cedere sul mercato”.
Dunque mentre il mercato degli NPL va scemando, quello degli UtP sta per esplodere: nel 2019 si sono già affacciati sul mercato nuovi portafogli e si stanno finalizzando alcune transazioni annunciate. E’ di qualche giorno fa, ad esempio, la notizia della maxi cessione da parte di Intesa Sanpaolo di circa 10 miliardi di euro di UtP con un’esclusiva a Prelios di 3,5 miliardi ceduti ad un prezzo di carico in linea con il valore di bilancio, intorno a 63 centesimi di euro rispetto al prezzo nominale. Nel frattempo Unicredit sta per mettere in piedi un’operazione da 13,3 miliardi di UtP; la banca avrebbe già contattato gestori di fondi come Dea Capital e Clessidra sgr, i servicer do Value (ex piattaforma di gestione di Unicredit) e Intrum. Ricordiamo che Clessidra sgr ha appena lanciato un fondo dedicato agli UtP, battezzato Clessidra Restructuring Fund, che punta ad acquistare fino a 300 milioni di euro di crediti UtP vantati dalle banche verso aziende industriali italiane in fase di risanamento.
Ma gli UtP rappresentano un asset class molto più complessa e variegata rispetto agli NPL, anche per gli investitori. Una gestione efficace, volta a riportare il debitore in bonis richiederà forti e specifiche competenze tecniche oltreché capacità finanziarie per (ri)finanziare il debitore stesso. “Un ruolo cruciale nell’affrontare il problema degli UtP sarà assunto dalle cosiddette challenger banks e dai NPL servicer – spiega Pier Paolo Masenza, Financial Services Leader di PwC – I primi, combinando insieme capacità di ristrutturazione, capacità finanziarie e strategie di recupero flessibili, tecnologiche e specializzate, potranno configurarsi come i partner ideali delle banche tradizionali nei loro piani di deleverage. I secondi, attraverso i loro consolidati modelli di business, economie di scala e la conversione in corso da un approccio massivo del credito su logiche di portafogli granulari ad uno “sartoriale” definito sulla base delle caratteristiche dello specifico credito, potrebbero diventare un partner esterno fondamentale per le banche tradizionali nel guidare i processi di ristrutturazione degli UtP di queste ultime.”